Lirici marinisti/VI/Antonio Giulio Brignole-Sale
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ANTONIO GIULIO BRIGNOLE SALE
I
LA CORTIGIANA FRUSTATA
1.
La man che ne le dita ha le quadrella
con duro laccio al molle tergo è avvolta.
L’onta a celar ch’è ne le guance accolta,
spande il confuso crin ricca procella.
Sul dorso, ove la sferza empia flagella,
grandine di rubini appar disciolta;
giá dal livor la candidezza è tolta,
ma men candida ancor non è men bella.
Su quel tergo il mio cor spiega le piume
e, per pietá di lui giá tutto essangue,
ricever le ferite in sé presume.
In quelle piaghe agonizzando ei langue;
ma nel languir non è il primier costume
che il sangue corra al cor: ei corre al sangue.
2.
Segue
Troppo tenero cor, perché, commosso
di questa cruda a la vermiglia vista,
mandi avvolta in «oimè!» l’anima trista,
a insanguinarsi in quel purpureo dosso?
Che sovra lei brutto flagel sia mosso,
piú dèi goder quanto ella piú s’attrista:
nostro sperar quindi vigore acquista,
è nel suo tergo il suo rigor percosso.
Ché se fínor con l’amorosa fronte
negò dare al languir dolce soccorso,
anzi le piante ebbe al fuggir sí pronte,
or freneralla di vergogna il morso;
poiché per non mostrar le livid’onte
non oserá volgere in fuga il dorso.
3.
Segue
Per qual sua colpa essaminata e vinta
costei, che al bel candor sembra innocente,
sotto le scosse di flagel pungente
il molle dorso a insanguinare è spinta?
Se del mio cor furato appar convinta,
si castighi il suo crin, ch’egli è nocente;
se di mia vita ancisa, il ciglio ardente
paghine il fio: fu da’ suoi dardi estinta.
Ah, non è questo il fallo! Ella è punita
perché allor che io le apersi il mio martire
voltommi il tergo e fe’ da me partita.
E ’l tergo ha duol. Donne, or da voi si mire,
che non ver’voi giusto rigor s’irrita
pel furare o ’l ferir, ma pel fuggire.
4.
Segue
Verso i giardin di Cipro a voi sciogliete,
vezzosetti Amorini, ali odorose;
dolci vïole, morbidette rose
con la tenera man quivi cogliete.
Tra mille e mille quelle sol scegliete
che nelle foglie appariran pietose;
segno ne fia se molli e rugiadose
per lagrime d’amanti le vedrete.
Quindi un flagel ne fate, onde ferita
de l’anime la bella feritrice,
lacerata non sia, ma rabbellita.
Ah, se tardate piú, quest’infelice
avrá i colpi da sferza incrudelita!
E sapete chi sia: v’è genitrice.
II
RICORDI DI UNA MORTA
Per la morte di Emilia Adorni Raggi
De l’arrabbiato can sotto i latrati,
sotto il ruggir de l’anelante fiera,
io t’ho visto esalare, o primavera,
di moribondo odor gli ultimi fiati.
E pur sorgi di nuovo e i pregi usati
teco hai di molli fior, d’aura leggiera;
rinascer tosto entro la guancia altera
miro di rose iblee gli ostri beati.
Ma d’Emilia gentil che si morio
piú non vedrò le belle guance e i rai,
dove un april rilusse, un Sol fiorio.
Degli anni tuoi, mia vita, or che farai?
Vengan pur rose, escan pur gigli, oh Dio,
ch’un aprile per me non fia piú mai!
III
CONTRO LA FEDELTÀ IN AMORE
Chi nel regno almo d’Amore
brama l’ore — trar serene
fuor di pene,
d’una sola amante stolto
non si chiami;
molte n’ami, — ma non molto.
Finga pene per ciascuna,
ma nessuna — abbia la palma
d’arder l’alma;
talor esca in mezzo al viso
breve pianto,
ma fra tanto — in cor sia riso.
La modesta, se ti scaccia,
tu procaccia — che l’audace
ti dia pace;
se la bianca ti beffeggia,
la brunetta
per vendetta — e tu vagheggia.
Quando vede donna bella
che sol ella — nel tuo petto
ha ricetto;
in trofeo, meschin, ti mena,
flagellato,
condannato — a vil catena.
Ma se scorge che tu scaltro,
tosto ad altro — amabil volto
sarai vòlto,
non si mostra piú severa,
ma pietosa,
amorosa, — lusinghiera.
Quel van titolo di fede,
che ognun chiede — e ognun desia,
è pazzia.
A vestirsi è fede avezza
di candore,
ch’è il colore — di sciocchezza.