Manuale di Epitteto/Preambolo del volgarizzatore

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Preambolo del volgarizzatore

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Epitteto - Manuale di Epitteto (Enchiridion) (Antichità)
Traduzione dal greco di Giacomo Leopardi (1825)
Preambolo del volgarizzatore
Manuale di Epitteto Manuale
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Preambolo del Volgarizzatore.

Non poche sentenze verissime, diverse considerazioni sottili, molti precetti e ricordi sommamente utili, oltre una grata semplicitá e dimestichezza del dire, fanno assai prezioso e caro questo libricciuolo. Io per veritá sono di opinione che la pratica filosofica che qui s’insegna, sia, se non sola tra le altre, almeno piú delle altre profittevole nell’uso della vita umana, piú accomodata all’uomo, e specialmente agli animi di natura o d’abito non eroici, né molto forti, ma temperati e forniti di mediocre fortezza, ovvero eziandio deboli, e però agli uomini moderni ancora piú che agli antichi. So bene che a questo mio giudizio è contraria la estimazione universale, reputandosi comunemente che l’esercizio della filosofia stoica non si confaccia, e non sia pure eziandio possibile, se non solamente agli spiriti virili e gagliardi oltre misura. Laddove in sostanza a me pare che il principio e la ragione di tale filosofia, e particolarmente di quella di Epitteto, non istieno giá, come si dice, nella considerazione della forza, ma si bene della debolezza dell’uomo; e similmente che l’uso e l’utilitá di detta filosofia si appartengano piú propriamente a questa che a quella qualitá umana. Perocché non altro è quella tranquillitá del[p. 82 modifica]l’animo voluta da Epitteto sopra ogni cosa, e quello stato libero da passione, e quel non darsi pensiero delle cose esterne, se non ciò che noi chiamiamo freddezza d’animo, e noncuranza, o vogliasi indifferenza. Ora la utilitá di questa disposizione, e della pratica di essa nell’uso del vivere, nasce solo da questo, che l’uomo non può nella sua vita per modo alcuno né conseguire la beatitudine né schivare una continua infelicitá. Che se a lui fosse possibile di pervenire a questi fini, certo non sarebbe utile, né anco ragionevole, di astenersi dal procacciarli. Ora non potendogli ottenere, è proprio degli spiriti grandi e forti l’ostinarsi nientedimeno in desiderarli e cercarli ansiosamente, il contrastare, almeno dentro sé medesimi, alla necessitá, e far guerra feroce e mortale al destino, come i sette a Tebe di Eschilo, e come gli altri magnanimi degli antichi tempi. Proprio degli spiriti deboli di natura, o debilitati dall’uso dei mali e dalla cognizione dell’imbecillitá naturale e irreparabile de’ viventi, si è il cedere e conformarsi alla fortuna e al fato, il ridursi a desiderare solamente poco, e questo poco ancora rimessamente; anzi, per cosí dire, il perdere quasi del tutto l’abito e la facoltá, siccome di sperare, cosí di desiderare. E dove che quello stato di nimicizia e di guerra con un potere incomparabilmente maggiore dell’umano e non mai vincibile, dall’un lato non può avere alcun frutto e dall’altro lato è pieno di perturbazione, di travaglio, d’angoscia e di miseria gravissima e continua; per lo contrario questo altro stato di pace, e quasi di soggezione dell’animo, e di servitú tranquilla, quantunque niente abbia di generoso, è pur conforme a ragione, conveniente alla natura mortale, e libero da una grandissima parte delle molestie, degli affanni e dei dolori di che la vita nostra suole essere tribolata. Imperocché veramente a ottenere quella miglior condizione di vita e quella sola felicitá che si può ritrovare al mondo, non hanno gli uomini finalmente altra via se non questa una, di rinunciare, per cosí dire, la felicitá, ed astenersi quanto è possibile dalla fuga del suo contrario. Ora la noncuranza delle cose di fuori, ingiunta da Epitteto e dagli altri stoici, viene [p. 83 modifica]a dire questo appunto, cioè non curarsi di essere beato né fuggire di essere infelice. Il quale insegnamento, che è come dire di dovere amar sé medesimo con quanto si possa manco di ardore e di tenerezza, si è in veritá la cima e la somma, sì della filosofia di Epitteto, e sì ancora di tutta la sapienza umana, in quanto ella appartiene al ben essere dello spirito di ciascuno in particolare. Ed io, che dopo molti travagli dell’animo e molte angosce, ridotto quasi mal mio grado a praticare per abito il predetto insegnamento, ho riportato di cosí fatta pratica e tuttavia riporto una utilitá incredibile, desidero e prego caldamente a tutti quelli che leggeranno queste carte, la facoltá di porlo medesimamente ad esecuzione.