Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LXXIX

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Capitolo settantanovesimo - Un colpo a fondo

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All’indomani mattina quando Pietro ebbe lasciata quell’alcova deliziosa, ove aveva spremuta tanta felicità, in una piena notte d’amore, con Lalla, questa si stese mollemente sul letto, ributtandone le coltri e pensando alla promessa del suo novello amante si addormentò, mormorando:

- Verrà quel citrullo? Se non venisse proverebbe di non esserlo. Ma verrà, oh sì verrà. E un sorriso cinicamente beffardo le si disegnò sulle labbruzze coralline e roride, mai sazie di baci.

Che cosa aspettava Lalla?...

Una cosa semplicissima. Duemila scudi che le occorrevano per pagare la sua sarta, la quale le aveva fatto l’ingiuria di pignorarle il mobilio. Senza quei duemila scudi la povera Mélanie, avrebbe dovuto abbandonare il suo quartierino di via del Babuino, quel dolcissimo nido, dove Pietro aveva gustate gioie del cielo; avrebbe dovuto andare in camere ammobiliate, o all’albergo, dove non sarebbe stata concessa loro alcuna libertà; avrebbe dovuto fors’anco tornarsene a Parigi e dire per sempre addio alla bella Italia, alla superba Roma ed al suo amante novellino. Che erano alla fine dei conti duemila scudi? Una vera miseria. Più volte le avevano offerto dei monili che valevano molto di più, per avere un suo bacio, ed ella s’era rifiutata.

Naturalmente queste cose le aveva dette a Pietro, fra un’amplesso e l’altro, fra un sorriso e una lagrimuccia, fra un piccolo bacio e un piccolo morso.
E Pietro si affrettò a prometterle i duemila scudi; ma non li possedeva; per iscrivere a sua madre e farseli mandare, occorreva troppo tempo e per di più un pretesto molto ben colorito. Conosceva però un Giudìo, che prestava all’onesta tassa del 200 per cento, al quale non aveva mai ricorso prima di allora, ma di cui conosceva appuntino le abitudini. Uscendo da Lalla si recò diffilato da lui. Il Giudìo lo accolse, come se lo aspettasse da lungo, cordialmente, affabilmente, rispettosamente. Ma quando Pietro incominciò a toccare il tasto de’ quattrini, insorsero le mille difficoltà. Prima di tutto già non li aveva. Avrebbe dovuto ricorrere ad altri per trovarli e forse li avrebbe trovati; ma si sarebbe accontentato della semplice firma del Tagliacozzo? Lui avrebbe risposto per lui; ma quello là non prestava senza garanzia scritta. Egli il suo nome sulla carta non l’avrebbe posto per tutto l’oro del mondo.

Pietro si impazientiva; ma il Giudìo implacabile continuava nella esposizione delle difficoltà. Intanto Lalla s’era svegliata dal lungo sonno, che aveva riparato le sue forze fisiche, estenuate dall’orgia della notte e si stirava le bellissime membra, come una giovane pantera che sente i primi impulsi dell’amore. Col capo circondato dalle candide braccia che gli facevano cornice, mentre lo sorreggevano, il turgido seno scoperto ed eretto, fra le finissime guarnizioni della camicia, le linee dense e morbide della persona guizzanti, pei suoi moti ferini, aspettava Pietro, sorpresa del suo ritardo.

Erano già le due pomeridiane, quando il giovane Tagliacozzo comparve. Aveva dato una grande battaglia e l’aveva vinta. Il Giudìo si era arreso alle sue istanze e gli aveva procurati duemila scudi. Ma a quale prezzo?
Lalla lo accolse col più carezzevole de’ suoi sorrisi. Gli disse che non aveva voluto accettar prima la sua corte, perché sentiva che lo avrebbe amato troppo, ed ella non voleva amare, perché amando soffriva. Ma ormai era fatto. Ed aveva già provato il primo dolore, per il suo ritardo. Temeva di non rivederlo più; temeva di aver distrutta ogni poesia, con quella prosaica domanda che gli aveva fatta. Era stata una stupidità. Avrebbe potuto farne a meno. Quand’anco le avessero venduto il mobilio, non sarebbe mancato loro un rifugio. Il sole del loro amore, avrebbe allietata anche una spelonca.

Ascoltandola Pietro era inebriato. Avrebbe firmato non una cambiale, ma una risma intera di cambiali, per far piacere a quella celeste creatura, così leggiadra, così amorosa e così disinteressata.