Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XXX

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Capitolo trentesimo - Un assassinio di notte

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Capitolo XXIX Capitolo XXXI

Dopo mesi di riposo, il 17 febbraio 1816 ebbi una doppia esecuzione a fare in piazza del Popolo, ma i delinquenti non avevano alcun rapporto fra loro, e senza alcuna relazione erano i reati pei quali subivano l’estremo supplizio. Il primo fu Francesco Perelli romano, un giovane operaio condannato, per omicidio premeditato, alla forca semplice. Era stato trovato dai gendarmi in via Florida, di notte vicino al portone di un palazzo dove era stato commesso un assassinio in persona di un cittadino. Aveva ancora in mano uno stilletto affilatissimo con breve impugnatura di ferro, intriso di sangue, e pur di sangue erano inzuppati i suoi abiti. Non oppose resistenza di sorta all’arresto. Condotto innanzi al bargello non seppe o non volle dir nulla. Pareva inebetito. Era orrore del misfatto commesso? Era timore delle conseguenze penali che lo aspettavano? Era una prostrazione d’animo cagionatagli dalla passione che gli aveva armata la mano? Nessuno avrebbe arrischiato di affermarlo sopra coscenza.

L’ucciso era un giovane di belle sembianze, vestito signorilmente, ed appartenente a nobile e ricca famiglia. I birri lo avevano trovato bocconi sul lastrico in un lago di sangue che gli usciva gorgogliando da una ferita alla gola e da un’altra al petto in direzione del cuore. Doveva essere stato colpito da pochi minuti. Lo sollevarono e l’adagiarono a sedere sul marciapiede, appoggiandogli le reni al muro; ma non si reggeva e non dava alcun segno di vita. Bussarono tosto al portone innanzi al quale era caduto. Accorse il portiere, aprì ed informato del fatto, uscì fuori con un lume e tosto riconobbe il morto, esclamando:

- Don Enrico!... Povero don Enrico!

Poi aggiunse:

- Ma già la doveva finire così. Benedette donne.

- Lo conoscete dunque? chiesero i birri.

- Altro che conoscerlo! È il figlio del padrone di casa.

- Credete che sia stato grassato?

- Ma che grassato, non vedete che porta gli anelli alle dita e la catena d’oro al panciotto?

Era infatti così. Gli frugarono in tasca e gli trovarono la borsa, con molti zecchini e scudi dentro e un medaglione d’avorio colla miniatura d’una bellissima fanciulla, montato con gran lusso e fregiato di brillanti. L’ucciso venne portato nel camerino del portinaio, con ordine di non toccarlo, prima che fossero giunti gli inquirenti. E i birri un po’ tardi, se si vuole, ma pur sempre in tempo, si lanciarono fuori del palazzo per vedere se trovavano traccia dell’assassino. Lo incontrarono infatti a via Florida a pochi passi soltanto del delitto, appoggiato ad una parete della strada e precisamente sotto un lampione, per cui dalle macchie di sangue che aveva sul vestito, dal pugnale che teneva fra mani lo riconobbero subito.

Per parecchi giorni si mantenne nel suo mutismo assoluto, e in quello stato di accasciamento nel quale era caduto subito dopo che fu commesso il delitto. Né le lusinghe, né le minaccie avevano potuto nulla sopra di lui. Il giudice si disperava per non potere trovare un mezzo di scuoterlo. Finalmente il quinto giorno, non appena se lo vide comparire innanzi gli disse:

- Francesco Perelli, voi non siete né un ladro, né un volgare assassino. Noi abbiamo in gran parte assodato il movente del vostro delitto. Questo ritratto che è stato scoperto in tasca alla vittima, ci servì di filo conduttore per le indagini.

Il delinquente pareva uscisse, man mano che il giudice parlava, da quello stato di semistupidità, in cui era da tanti giorni immerso: ascoltava con attenzione il suo interlocutore e negli occhi gli balenavano l’intelligenza e l’odio.

Il giudice gli porse il ritratto, dicendogli: - Guardate, un po’, Perelli, se lo riconoscete?

L’accusato afferrò il ritratto, gli diede una occhiata rapida e proruppe in un grido:

- Mia sorella!... L’infame!

- Vostra sorella, precisamente - rispose il giudice assecondandolo. Quindi, provando ad indovinare, riprese:

- Don Enrico era il suo amante?

- Il suo seduttore, dite il suo iniquo seduttore; la causa del suo disonore e della mia rovina.

- Calmatevi e narratemi i particolari di questa seduzione. Badate d’essere sincero e leale; non vi lasciate acciecare dall’odio. La verità, la verità sola può salvarvi.

Francesco chinò la testa e due lagrime cocenti gli irrigarono le gote.

- Un uomo che piange è un uomo vinto - pensò il giudice - saprò subito la verità, tutta la verità.

E riprese l’interrogatorio.