Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XXXVI

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Se il Tributo per se medesimo sia utile, o dannoso

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XXXV XXXVII
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§. XXXVI.

Se il tributo per se medesimo sia utile, o dannoso.


R
Ettificata che sia la distribuzione del tributo, e ridotta alla semplicità di due soli principj; facilitata così la circolazione interna, reso libero il trasporto, sciolto ogni vincolo coercitivo dell’industria, ridotti i Cittadini a vivere sotto leggi chiare, semplici, umane, inviolabili, dato un libero corso alla buona fede protetta con ogni vigilanza, non v’ha dubbio, che la nazione si vedrà progredire al bene. Ma potrà chiedersi, se il tributo ben distribuito sia utile, o nò all’industria nazionale? Varj autori opinarono per il sì, appoggiandosi su questo principio: Il tributo impoverisce gli uomini, dunque accresce i loro bisogni, dunque dà loro una [p. 243 modifica]nuova spinta per essere industriosi. A questo ragionamento a me sembra che se ne possa contrapporre un altro, ed è il seguente: Il tributo sottrae per qualche tempo alla circolazione una parte sensibile della merce universale; dunque diminuirà la circolazione, e seco lei diminuirà l’industria. Di più il tributo è una diminuzione dell’utile prodotto dalla industria; dunque minore stimolo avranno gli uomini per esser industriosi. Riflettono alcuni, che nelle città più floride si pagano i più gravosi tributi, e quasi sembrano a questi attribuirne la prosperità, la quale in vece è cagione che si sopportino senza discapito i gravosi tributi. Se qualche volta su gli Stati animati da una estesa industria una cattiva operazione non produrrà apparentemente mali effetti, ciò avviene, perchè le grandi masse, dove la materia sia ben compatta, riscaldate che sieno sono più lente a perdere il calore. Quanto più è ristretto uno Stato, tanto egli è più facile il rianimarlo, siccome il condurlo alla rovina; a misura che le masse d’uomini grandeggiano, maggior tempo e spinta vi vogliono a dar loro moto sì al bene, come al male.

[p. 244 modifica]È seducente la pittura che può farsi a persuadere, che il tributo sia un bene. Osserviamo generalmente le nazioni della terra, vedremo i climi più dolci, i paesi più fecondati dal Sole esser popolati da nazioni povere, mancanti di attività e che appena conoscono industria; per lo contrario i climi i più ingrati, se non restano deserti, sono abitati da nazioni ricche, e da popoli industriosissimi. Vi vuole un freddo sommo, perchè l’uomo inventi abitazioni deliziose, nelle quali si respiri un’aria soavemente tepida nel maggior rigore dell’inverno. Vi vuole il mare che sovrasti minacciando di sommergere una nazione, perchè ivi le terre diventino i più fecondi giardini del mondo, ricchi di cose peregrine. Vi va un suolo di sasso nudo e sterile, vi va la minaccia di una continua fame, perchè una nazione diventi la più ricca e abbondante del contorno. La voce dispotica del bisogno mette l’uomo nell’alternativa, o perire, o essere industrioso; e l’abitudine è un moto concepito che va sempre al di là dei bisogni, onde il lusso e la delizia regnano su quel suolo medesimo, sul quale la natura vi aveva piantata la morte. I tributi fanno l’effetto [p. 245 modifica]della sterilità: poichè se un campo coltivato da dieci uomini in un paese fecondo produrrà l’annuo frutto per nodrire trenta uomini, resteranno al proprietario del fondo le porzioni di venti uomini ch’ei potrà salariare, e questa sarà la di lui rendita. In un clima ingrato sopra un’estensione eguale di terreno il lavoro di dieci uomini darà frutto per mantenere venti uomini, ed ivi il proprietario non ricaverà se non di che mantenere dieci uomini; ma se nel terreno fecondo s’imponga un tributo, per cui il proprietario della terra debba pagare la metà della sua rendita, non resteranno più, se non dieci uomini anche a quel proprietario da poter mantenere. L’effetto adunque del tributo sulle terre rispetto al possessore si è il medesimo di quello della infecondità originaria sul suolo. Taluni dicono adunque: se l’originaria infecondità spinge l’uomo all’industria, l’effetto medesimo si otterrà colla infecondità artificiale prodotta dal tributo.

Ma questa maniera di ragionare non regge, perchè manca di un dato. L’uomo vede più facilmente i confini immutabili della fisica, che i variabili e fluttuanti [p. 246 modifica]delle opinioni di chi lo governa. Una lunga sperienza venutagli per tradizione gli fa conoscer quali ostacoli fisici debba superare per continuare a vivere su quel terreno sterile sì, ma prediletto, perchè vi è nato; misura le sue forze coll’ostacolo; sa, che colla tale quantità di lavoro potrà superarlo, e godrà poscia con sicurezza il frutto del suo travaglio. Ma quando la infecondità è artificiale, l’uomo vede un odiato ostacolo, che può ingrandirsi a misura che si accresceranno i di lui sforzi per vincerlo. L’uomo li avvilisce per il peso che gli viene imposto, diminuisce la confidenza verso chi regge il suo destino, e si abbandona all’indolenza.

Io credo adunque, che un tributo generalmente sia sempre una diminuzione d’industria, eccettuato soltanto qualche tributo opportunamente imposto o sull’uscita, o sull’entrata di alcuna merce; nel qual caso può essere di giovamento positivo all’industria. Per conoscere che il tributo è generalmente una diminuzione d’industria, ascendiamo a quei principj, dei quali si è accennato altrove qualche cosa. Se in una nazione non si pagasse tributo, e vi fosse un’organizzazione di governo necessaria a mantenere una società; qualora un’estera [p. 247 modifica]nazione fosse ingiusta verso di lei, o minacciasse d’invaderla, bisognerebbe che una parte della nazione abbandonasse l’agricoltura e i mestieri, si ponesse in armi, e accorresse alla pubblica difesa frattanto che l’altra parte della nazione resterebbe occupata all’annua riproduzione, con cui mantenesse e se stessa e i suoi difensori. In questa ipotesi non può dubitarsi che verrebbe scemata l’industria nazionale e l’annua riproduzione di tanto, quante sono le braccia che avessero abbandonata l’agricoltura e i mestieri per la pubblica difesa. In vece di ciò; io vece di togliere all’occasione del bisogno le braccia all’agricoltura e ai mestieri si sono soldati degli uomini, i quali per lor professione si sacrificano unicamente alla difesa dello stato, e in vece di trasmettere immediatamente parte delle derrate, e delle merci necessarie al vitro de’ difensori, i proprietarj di quelle e di queste le cambiano colla merce universale, e la consegnano all’erario per alimentare i difensori. L’effetto sarà dunque il medesimo in un caso, come nell’altro; cioè che l’industria sarebbe assai maggiore, e sarebbe maggiore la riproduzione annua, se fosse eseguibile il chimerico progetto di abolir tutti i carichi, siccome il più stupido e il più [p. 248 modifica]crudele fra gli uomini che disonorasse ii Trono di Augusto osò proporre al Senato di Roma.

Sempre sarà più innocuo il tributo, quanto più celeremente passerà dalle mani del contribuente all’erario, e da questo agli stipendiati, o alle opere pubbliche; poichè allora sebbene siasi dato un moto forzoso a una parte della merce circolante, ella però ritornerà nella contrattazione col minore intervallo possibile a moltiplicare i contratti, e tanto più sarà innocuo il tributo, quando si distribuisca sul luogo medesimo che lo contribuisce, e quanto più si dividerà in molte mani uscendo dall’erario.


Annotazioni.

Uscendo dall’Erario. Tutto questo Paragrafo è destinato a provare, che il tributo è sempre una somma, che per un tempo si sottrae dalla circolazione, che il tributo è una diminuzione d’industria, e che perciò è piuttosto un male, ma un male necessario. A me sembra tutto il contrario; cioè che il tributo piuttosto ajuta la circolazione, che aumenta l’industria, che ben lungi di essere un mal necessario, è un bene grandissimo. Per provare, che il tributo piuttosto accresca la circolazione, basterà servirmi delli [p. 249 modifica]stessi Principj dell’Autore. Se fosse vero che le somme, che ripartitamente si pagano all’Erario, fossero altrettante somme sottratte per un tempo sensibile alla massa circolante, tutta la massa circolante diminuita sarebbe costretta a supplire a que’ medesimi contratti, a cui una massa maggiore suppliva prima dell’esazione. Dunque necessariamente si dovrebbe aumentare la rapidità del movimento della circolazione, e dovrà dal danaro ammassato scaturirne nella circolazione altrettanto, quanto nel tributo se ne sottrae, frattanto che sopravvenendo le spese, che si fanno e dal Sovrano, e da tutti quelli che da lui sono salariati, si aumenterà la massa circolante, e per conseguenza il numero de’ contratti. Che poi aumenti l’Industria, si vede in primo luogo essere una conseguenza dell’accresciuta circolazione. In secondo luogo considerando quante beneficenze si spandono da un Erario bene amministrato nelle Società colte, non è necessario a verun Europeo di uscire dalla propria Nazione per riconoscere questa verità. Coi tributi si stendono le strade Reali, che facilitano e condensano sempre più gli utili Commercj; coi tributi si dirigono e frenano le acque o inutili, o rovinose in canali, che diminuiscono le spese dei trasporti; coi tributi si corredano le forze maritime, e terrestri. Le manifatture di lana, di cuojo, di canape e d’ogni specie, Opere di legni, di pietre, lavori di metalli ricevono dai tributi, per quest’oggetto, un alimento sempre nuovo e sempre rinascente. Coi tributi si [p. 250 modifica]premiano le Lettere, e si nutre l’elettrica fiamma degl’Ingegni indagatori della verità. La speranza perfeziona l’industria, come il bisogno la fa nascere; e i tributi mantengono alacre e viva quella speranza ne’ petti degli Uomini, i quali meditano, scrivono, si agitano per ogni verso per meritarsi di parteciparne una parte. I tributi bene ripartiti, bene esatti, bene impiegati sono que’ fili invisibili, che tengono una moltitudine d’uomini condensata, e riunita a vivere nello Stato di perfetta Società, senza de’ quali le Nazioni si sfrantumerebbero nell’Anarchia e nella confusione. Tutto ciò è un bene grandissimo. Io ho cercato, quanto i brevi confini di una Nota lo permettevano, di mettere i tributi sotto quel punto di vista, in cui l’incognito Autore non ha giudicato di considerarli. La rapidità del suo volo in una Scienza così vasta e complicata non gli ha permesso, o ha sdegnato di rivolgere gli occhi alla varietà degli oggetti, e alla moltitudine delle vedute, con cui si mostrano, agl’Ingegni più lenti e più timidi.