Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXV

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Primo Periodo - XXV. Combattimento di fanteria

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Capitolo XXV.

Combattimento di fanteria.


L’esercito repubblicano era in preparativi di marcia quando noi lo raggiungemmo. Il nemico, dopo la perdita della battaglia di Rio Pardo rifattosi in Porto Alegre, n’era uscito agli ordini del vecchio generale Giorgio ed aveva preso stanza sulle sponde del fiume Cahò, protetto da’ suoi legni da guerra con numerosa artiglieria e rinforzato da buon nerbo di fanteria, aspettando la giunzione del generale Calderon che avea riunito nella campagna un numero di cavalleria non indifferente, venendo dal Rio Grande.

L’Impero, con tutti i mezzi di corruzione di cui poteva disporre, non mancava d’aderenti nella provincia del Rio Grande, paese ove si può dire come nel Rio de la Plata che gli uomini nascono a cavallo, ed ove lo stesso spirito cavalleresco fa bellicosi gli abitanti. Ma non tutti gli uomini, per cavallereschi che sieno, resistono alle indorature, ai titoli, ai ciondoli, e soprattutto all’onnipossente metallo.

Lo stesso difetto che abbiam notato sopra, cioè la repugnanza dei Repubblicani a star riuniti sotto le bandiere quando non era presente il nemico, facilitava tali mosse allo stesso; e quando il generale Netto, che [p. 77 modifica]comandava le forze repubblicane della campagna, ebbe riunito gente sufficiente per battere Calderon, questi già aveva raggiunto l’esercito grande nel Cahò, dopo d’aver raccolti molti cavalli di cui tanto abbisognavano gl’Imperiali. Il generale Giorgio minacciava quindi con grande superiorità gli assedianti la capitale e li obbligava a levar l’assedio.

Era indispensabile per il presidente della Repubblica con giungere la divisione Netto, per essere in istato di combattere l’esercito nemico, e tale giunzione condotta a buon esito onora moltissimo la capacità militare di Bento Gonçales. Ad un esercito europeo, per motivo delle impedimenta, sarebbe stata impossibile tale manovra.

Noi marciammo coll’esercito da Malacara, prendendo la direzione di San Leopoldo (colonia tedesca); passammo di notte a due miglia dall’esercito nemico, ed in due giorni e due notti di marcia continua quasi senza mangiare giungemmo nelle vicinanze di Taquary, ove incontrammo il generale Netto, che ci veniva incontro. Dissi quasi senza mangiare, e realmente, subito che il nemico ebbe sentito il movimento nostro, marciò forzatamente per combatterci, e ad onta d’esser molto più pesante di noi perchè con artiglierie e bagagli, per varie volte ci raggiunse, mentre noi riposavamo dalle lunghe marcie ed eravamo occupati ad arrostire la carne, unico alimento nostro, e per varie volte ci obbligò di metter gli arrosti1 in spalla e partire con precipitazione per raggiungere la meta.

Nel Piñheiriño a sei miglia da Taquary, si fece alto e si presero tutte le disposizioni per combattere. L’esercito repubblicano, forte di cinquemila uomini di cavalleria e mille di fanteria, occupava le alture del Piñheiriño, piccolo monte semicoperto di pini; l’infanteria nel centro, comandata dal vecchio colonnello [p. 78 modifica]Crescenzio, l’ala destra comandata dal generale Netto, e la sinistra dal generale Canabarro. Ambe le ali erano composte di pura cavalleria, e senza esagerazione, della migliore del mondo, abbenchè farrapa.2 La nostra fanteria, composta in totalità d’uomini di colore, meno gli ufficiali, era pure eccellente, e la brama di combattere generale. Il colonnello Joan Antonio formava la riserva con un corpo di cavalleria.

Il nemico avea quattromila fanti, tremila di cavalleria ed alcuni pezzi d’artiglieria. Egli avea preso posizione dall’altra parte del letto d’un piccolo torrente che divideva i due eserciti, ed il suo contegno non era disprezzevole. Eranvi le migliori truppe dell’impero, ed il vecchio generale Giorgio che le comandava era tenuto per il più capace.

Il generale nemico aveva sino a quel punto marciato arditamente su di noi, e già avea preso tutte le disposizioni per un attacco in regola. Egli avea fatto passare il letto asciutto del torrente da due battaglioni di fanteria, che formaron quadrato subito passati. Due pezzi, collocati in posizione vantaggiosa sull’altra sponda, fulminavano le nostre catene di cavalleria ed i loro sostegni.

Già i valorosi della prima brigata di cavalleria, agli ordini del generale Netto, avevano sguainata la sciabola, e non aspettavano che il suono di carica per lanciarsi sui due battaglioni passati. Codesti bellicosi figli del Continente avevan la coscienza della vittoria. Netto e loro non erano mai stati battuti.

La fanteria nostra con bandiere spiegate, scaglionata per divisioni sul più alto della collina, e coperta dal ciglione di quella, fremeva di combattere. Già i terribili lancieri di Canabarro, tutti liberti e tutti domatori di cavalli, avean fatto un movimento avanti, avviluppando il fianco destro del nemico, obbligato per ciò di far fronte anche a destra e disordinatamente.

[p. 79 modifica]I coraggiosi liberti, fieri della loro imponenza, diventavano più saldi, e vera selva di lancie somigliava quell’ incomparabile corpo, composto di schiavi liberati dalla Repubblica, e scelti tra i migliori domatori della provincia, tutti neri, tranne gli ufficiali superiori. Il nemico non aveva mai veduto le spalle di cotesti veri figli della libertà, che certo combattevan per essa. Le loro lancie, più lunghe della misura ordinaria, i loro nerissimi volti, le robuste membra, indurite a perenne e faticoso esercizio, e la loro perfetta disciplina, incutevano terrore ai nemici.

Già la voce animatrice del generale in capo aveva percorso le fila. «Oggi ognun di noi combatterà per quattro,» erano state le poche parole di quel sommo, dotato di tutte le qualità del gran capitano, meno la fortuna. L’anime nostre sentivano il palpito delle battaglie e la fiducia della vittoria. Giorno più bello e più magnifico spettacolo non m’era capitato mai!3 Collocato al centro della fanteria nostra, nel sito più alto, io scopriva l’uno e l’altro esercito.

I campi sottoposti seminati da poche e basse piante nessun ostacolo ponevano all’occhio, e si potevano scorgere i benché minimi movimenti. Lì sotto ai miei piedi, tra pochi minuti sarà decisa la sorte del maggior pezzo del continente americano, il Brasile! Deciso il destino d’un popolo! Codesti corpi sì compatti, sì floridi, sì brillanti, a momenti saranno sciolti, disfatti, orribilmente amalgamati e respiranti libidine di distruzione! Tra poco il sangue, le infrante membra, i cadaveri di tanta superba gioventù brutteranno i bellissimi e vergini campi! Eppure si aspettava anelanti il segno della battaglia. Ma invano! quello non doveva esser il campo della strage!

II generale nemico, intimorito dal fiero contegno dei Repubblicani e dalla fortissima posizione da noi [p. 80 modifica]occupata esitò nell’attacco anteriormente divisato, fece ripassare i due battaglioni, e dall’offensiva che aveva mostrato sin lì, passò alla difensiva.

Il generale Calderon fu ucciso in una ricognizione; quello fu forse uno dei motivi dell’irresoluzione di Giorgio. Non attaccandoci, noi dovevamo attaccarlo. Tale era l’opinione di molti. Ma avremmo ben fatto? Attaccati nelle superiori posizioni del Piñheiriño, eravi molta probabilità di vittoria; ma lasciandole per incalzare il nemico, bisognava traversare il letto del torrente, alquanto scabroso benché asciutto; oltreché la superiorità numerica del nemico non era poca: esso con artiglieria, noi senza un solo pezzo. Infine non si combattè, e si stette l’intiero giorno in presenza con piccole scaramuccie.

È uno dei vizi delle posizioni troppo forti e sovente anche del comodo delle piazze di guerra, che fanno propendere al riposo ed all’inazione, quando si potrebbe trar molto vantaggio dalla risoluzione d’una battaglia. Infiniti sono gli esempi che si potrebbero addurre in appoggio di tale ragione, ed è da deplorare l’avviso dei mastri di guerra italiani (1872), che vogliono seminare la penisola di fortezze per la paura d’armare due milioni di cittadini, ed inviare i preti alle bonifiche delle Paludi Pontine.

Nel nostro campo scarseggiava la carne, e massime la fanteria era famelica. Più insopportabile era la sete, non trovandosi acqua nei siti da noi occupati. Ma quella gente era fatta alla vita di privazioni, e non udivasi senonchè il lamento di non combattere. Concittadini miei! il giorno in cui voi sarete uniti (un po’ lontano sventuratamente) e sobri come i figli del continente, lo straniero non calpesterà il vostro suolo, non contaminerà i vostri talami: l’Italia avrà ripreso il suo posto tra le prime nazioni del mondo!

Nella notte il vecchio generale Giorgio era sparito, e nella mattina non scorgevasi il nemico da nessuna parte, e per motivo della nebbia, sino verso le dieci [p. 81 modifica]antimerdiane fummo ignari delle sue nuove posizioni. Verso quell’ora alfine si scorse, occupando le forti posizioni di Taquary.

Io sono certo che la sagace manovra del nemico non mancò di cagionare cordoglio nel nobile cuore del capo della Repubblica. Ma non v’era rimedio: egli avea perduto una splendida occasione di rovinare l’Impero e probabilmente assicurare il trionfo del suo paese.

Poco dopo ebbesi notizia che la cavalleria nemica passava il fiume Taquary, coadiuvata dalla squadra imperiale. Il nemico era dunque in ritirata, e bisognava attaccarlo in coda nel suo passaggio.

In ciò non titubò il nostro generale. Marciammo dunque risolutamente alla battaglia. La cavalleria nemica avea bensì passato il fiume, aiutata in quel passaggio da vari legni imperiali, ma la fanteria era rimasta tutta sulla sponda sinistra in forti posizioni, protetta da bastimenti da guerra e da un bosco di piante d’alto fusto, foltissimo. La seconda nostra brigata di fanteria, composta del terzo e del secondo battaglione, era destinata ad iniziare l’attacco. Essa caricò con tutta la bravura possibile, ma il numero dei nemici era soverchiamente superiore, ed i nostri coraggiosi militi, dopo d’aver fatto dei prodigi di valore, furono obbligati di ritirarsi sostenuti dalla prima brigata, composta del primo battaglione della marina e degli artiglieri senza cannoni. Tremendo fu quel combattimento di fanteria nel bosco, ove il frastuono delle fucilate e dei rami infranti, tra densissimo fumo, somigliava ad infernale tempesta. Non meno di cinquecento d’ambo i lati fu la perdita tra morti e feriti. I cadaveri dei valorosi Repubblicani furon trovati sino sulla sponda del fiume, ove avevano impetuosamente baionettate il nemico; ma per sventura senza risultato e senza profitto fu tanta prodezza, poiché, soperchiata la seconda brigata da forze molto superiori ed obbligata a ritirarsi, si sospese il conflitto. Giunta la notte, il nemico potè liberamente ultimare il suo passaggio sulla sponda destra del Taquary.

[p. 82 modifica]Tra le brillanti qualità del generale Bento Gonçales molti notavano il difetto di risolutezza, origine dei disastrosi insuccessi delle sue operazioni, ed avrebbero creduto meglio, una volta impegnata una brigata di fanteria sproporzionatamente debole a petto d’un nemico sì numeroso (cioè uno contro sei almeno), che si avesse dovuto completare l’attacco, lanciandovi la prima brigata e quanta cavalleria armata di carabine trovavasi nell’esercito nostro. Io giudico nello stesso modo: che cioè, quando si sta iniziando un attacco, vi si deve ponderatamente riflettere; ma una volta deciso, vi si deve impegnare ogni forza disponibile, sino alle ultime riserve. A meno che non sia una ricognizione, cioè attaccare il nemico, fingendo d’impiegarvi tutte le forze, e quando riconosciuto, o riconosciute le sue posizioni ed il suo numero, obbligandolo di metterlo in evidenza, ripigliar allora le proprie posizioni. In tal caso da parte nostra abbiamo eseguito una semplice ricognizione, ma bisogna star sempre pronti a respingere un attacco vero del nemico.

Un attacco generale poteva veramente darci una brillante vittoria, se facendo perder piede al nemico lo precitavamo nel fiume. Egli certamente trovavasi in condizione di timore per l’atto d’esser da noi perseguita nella sua ritirata, e forse non difettava di probabilità di riuscita il lanciar tutte le forze all’assalto. Il generale in capo credè bene di non avventurare una generale battaglia, e la totalità d’una fanteria unica che possedeva la Repubblica. Egli senza dubbio si pentì di non aver dato battaglia il giorno antecedente, in cui.i suoi militi, tutti in campo aperto, avrebbero operato miracoli. Il fatto sta che una vera perdita fu quel conflitto per noi, non avendo come supplire alla perdita di circa la metà de’ nostri prodi fanti, quando per il nemico la perdita di cinquecento uomini di fanteria era insignificante.

Il nemico rimase sulla sponda destra del Taquary e perciò quasi totalmente padrone della campagna. Noi [p. 83 modifica]riprendemmo la strada di Porto Alegre per ricominciare l’assedio.

Le condizioni della Repubblica erano alquanto peggiorate; ripassammo a San Leopoldo alla Settembrina,4 quindi a Malacara nell’antico campo. Di lì a pochi giorni si trasferì l’accampamento a Bellavista, posizione più vicina alla laguna dos Patos verso greco da quella di Malacara. Nello stesso tempo il generale Bento Gonçales ideò altra operazione, il cui risultato, se felice, poteva migliorare d’assai lo stato degli affari nostri.



Note

  1. L’arrosto di vaccina, principale alimento dei militi americani, si cuoce infilzato con un ramo verde degli alberi della foresta, quindi facile portarsi in spalla.
  2. Gli Imperiali chiamavano farrapos (cenciosi) i Repnbblicani e questi caramurù gli altri (uomini di fuoco, nel dialetto indigeno).
  3. Che gusto per un discepolo di Beccaria nemico della guerra! Ma che volete: ho trovato sul sentiero della mia vita gli Austriaci, i preti ed il dispotismo!
  4. Settembrina, nome d’un villaggio vicino a Porto Alegre nominato così dai Repubblicani in onore del mese in cui fu proclamata la Repubblica. Prima chiamavasi Viamão (Vidi la mano) perchè da quel punto vedevansi i cinque fiumi che formano il Rio Grande.