Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XIV

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XIV

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XIV.

Estratto della Bouillotte. — Ragioni che hanno impedito di esporla.

Ecco il soggetto della mia composizione. La signora de la Biche è moglie di un negoziante; ricca, capricciosa e giuocatrice a buono. Isabella sua figlia detesta il giuoco, benchè qualche volta per mancanza di giuocatori sia costretta ad accomodar la partita di sua madre, e profitti dell’occasione per vedere un giovine della conversazione, per cui nutre una passione innocente. La signora de la Biche riceve in casa molta gente. Alcuni vanno per giuocare, altri per far la corte alla ragazza: convien per altro che chiunque o per forza o per amore si adatti al giuoco, non sapendo la signora che cosa farsi della gente che sbadiglia e fa sbadigliare. La sua conversazione è composta d’ogni sorte di giuocatori: havvi il giuocator bello, il cattivo, il nobile, il prudente ed il flemmatico, che per il solito intasca il danaro di tutti. Quando Isabella non è della partita, sua madre la fa sedere accanto a sè; ma se si dà il caso che perda, non altri che la figlia è cagione della sua disgrazia, e perciò l’allontana. Allora il giovine amante procura di finir presto il suo danaro, affine di cedere il posto e andare al caminetto a tener compagnia alla signorina; intanto la madre riscaldata dal giuoco non fa più attenzione a chi va scaldandosi in altra guisa. Gli avvenimenti del giuoco somministrano soggetti di differente specie per dar luogo ad ariette graziose. Nel tempo adunque che si giuoca, che si parla, che si canta, la signorina e l’amico hanno scene piacevoli per cantare essi pure; onde la partita del giuoco va avanti a maraviglia, nè reca la menoma noia agli spettatori. Finalmente vengono a dire alla signora che hanno portato in tavola. Tutti si alzano per andare a cena. I discorsi sopra il giuoco da una parte, le affettuose e tenere espressioni dall’altra, fanno entrare la conversazione nel canto e nel maggior brio. Così termina il primo atto. Il secondo è aperto dal signor de la Biche, che è di ritorno dalle sue terre; fa chiamare Caterina, e le chiede conto dell’andamento di casa sua, di cui ben si è accorto nel rientrare. La vecchia da lungo tempo affezionata alla famiglia, non omette d’informare il padrone della cattiva condotta della signora, non meno che dei pericoli ai quali viene esposta la giovine Isabella. A tali notizie il signor de la Biche è sdegnatissimo contro sua moglie, a cui aveva proibito il giuoco grosso; ed entra in gran timore per la figlia. Sopraggiunge in questo momento un vicino, e questi è lo zio dell’amante d’Isabella, che a nome del nipote ne fa al padre la dimanda. Il signor de la Biche trova conveniente il partito, e promette la figlia al nipote del suo vicino ed amico. Ma ecco nuovamente la brigata che ritorna. Essi escono all’oggetto di compiere l’incominciato affare. Ritornati i giuocatori, la partita ricomincia: la signora de la Biche tiene banco. Il giuocatore flemmatico pone di soprappiù avanti a sè un involto di cinquanta luigi d’oro; la signora non si spaventa, e dà carte; si apre il giuoco, ed egli le fa un va-tout. La signora, che ha un brelan d’asso, non retrocede, ma che! incontra un brelan quadro, perde, ed eccola nella maggior furia. In questo tempo giunge il marito. — Ah! ah! (ella dice, dandogli un’occhiata): non mi maraviglio più se ho perduto; ecco qua la mia disgrazia. — In così dire si alza, e parte. Ad alcuni dispiace, altri ridono. Frat[p. 304 modifica]tanto il signor de la Biche interroga la figlia circa la sua inclinazione, ed essa la manifesta con tutta la schiettezza; ne fa parola anche al giovine; poi fa entrare lo zio: e così resta concluso il matrimonio. Informata la signora di ciò, ritorna, ma per sua unica consolazione riceve dal marito l’alternativa o di lasciare il giuoco per sempre, o andarsene a vivere con i suoi parenti. Ella accetta l’ultima proposizione, e prega la solita compagnia di andare il giorno dopo a far la partita nella casa paterna di lei. La passione del giuoco e le stravaganze de’ giuocatori formano il soggetto della fine.

Ecco l’abbozzo della commedia da me immaginata. Perchè dunque non l’ho io condotta al suo termine? fintantochè non trattavasi che di dialogo, sapevo levarmene bene, e confidava di potere francamente arrischiare la mia prosa sopra un teatro, ove il pubblico aveva per i forestieri moltissima indulgenza. Ma in una opera buffa vi volevano le ariette, e per avere una buona musica è assolutamente necessaria una buona poesia. Conoscevo benissimo il meccanismo dei versi francesi, avevo superate tutte le difficoltà inevitabili ad un orecchio straniero, e mi ero proposti eccellenti modelli da imitare. Mi provai, lavorai, e composi strofette, quartine, ariette intere; ma a dispetto di tutta la cura che mi ero data, vidi chiaramente, che la mia musa, vestita alla francese, non aveva quell’estro bizzarro, quella grazia e quella facilità che un autore acquista in gioventù, e perfeziona nella virilità. Seppi pur troppo rendermi giustizia da me; dimodochè lasciai da parte la mia composizione, e rinunziai per sempre alle attrattive della poesia francese. Avrei anche potuto affidare il mio soggetto a qualche persona che si sarebbe incaricata della versificazione; ma a chi mai io avrei dovuto indirizzarmi? un autore di prim’ordine avrebbe mutato tutta l’orditura della mia composizione, ed un autore mediocre me l’avrebbe guastata. E poi, era questa una bagattella, di cui non facevo gran caso, onde l’avevo posta in dimenticanza senza pena e dispiacere alcuno. La trovai casualmente nello scartabellare i miei fogli in occasione di cercare i ricordi necessari a queste mie Memorie, e volendo partecipare ai miei lettori tutte le mie produzioni, ho creduto di non dovere occultar loro anche questa specie di aborto. Se qualcheduno di loro trovasse mai degno della sua attenzione questo piccolo soggetto, io lo lascio padrone di farne liberamente ciò che gliene parrà; ed ove egli abbia la bontà di consultarmi, gli dirò il mio parere con tutta schiettezza, a rischio anche di dispiacergli, come in simili casi mi è avvenuto parecchie volte. Guardatevi sempre, amici miei, da quei giovani e da quei mediocri autori che a voi ricorrono per consultarvi, e persuadetevi che eglino non vogliono già consigli, ma congratulazioni ed applausi. Provatevi a correggerli, e vedrete con qual tenacità sostengono la loro opinione, e qual colorito diano ai loro sbagli; e se avvenga che voi insistiate, passerete in ultimo per stolti.