Memorie di un Pulcino/Disobbedienza

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I consigli della Mamma Gastigo
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IV.

Disobbedienza.


Era verso la fine di una bella giornata d’ottobre.

Il sole era calduccino, non alitava, una foglia, e gli uccellini svolazzavano su per le viti, per veder di trovar qualche chicco d’uva rimasta a caso dopo la vendemmia.

I contadini con la Marietta erano in casa tutti affaccendati a preparare le stanze per l’arrivo di certi signori, che tutti gli anni venivano a passare qualche giorno al podere.

Seppi più tardi che que’ signori erano nientemeno che i padroni di quelle belle terre; seppi che erano tre, marito, moglie e un bambino, e che quest’ultimo con tutto che fosse ricco e vestito sempre all’ultima moda, era buono e senza superbia.

La giornata, come vi ho detto, era proprio bella; la mamma, però, non si sentiva troppo bene; se ne stava accovacciata nel pollaio, e ci aveva raccomandato fin dalla mattina d’esser buoni e assennati.

I miei fratelli erano sparsi per il campo, chi in cerca di qualche ghiotto bocconcino, chi per fare una girata: io ero solo solo e m’annoiavo. Di passeggiare non ne avevo voglia, di star fermo neppure; ero proprio irrequieto, e non vedevo l’ora che si facesse buio per andarmene a letto.

A un tratto un timido chicchirichì mi fece voltare, e mi vidi davanti il galletto della Lena, che [p. 25 modifica]stava guardandomi con un’aria fra sorridente e compassionevole.

— Che bella giornata! — diss’egli tanto per cominciare.

— Bellissima, — risposi io, e lì.

— Che cosa fai costì solo solo?

—Nulla, mi annoio; ho una grand’uggia addosso; la mamma si sente male, e quando non la vedo mi par d’esser perso.

— Lo credo! Dev’essere una gran consolazione l’avere una mamma buona e amorosa come la tua. Felice te!

— O tu, — esclamai io maravigliato — non l’hai avuta?

— Pur troppo, ma per poco. È una storia trista la mia, caro pulcino. —

Disgraziatamente mi venne la curiosità di conoscerla, quella trista storia, ma non m’arrischiai a esprimere il mio desiderio, ricordando i consigli che poco avanti mi aveva con tanta amorevolezza dati la mamma.

Il galletto, però, che era furbo quanto sette volpi, me lo lesse negli occhi e con modi dolcissimi:

— Vieni, — diss’egli — c’è più d’un’ora a buio: faremo una giratimi per la viottola, e ti racconterò tutto.

— Ma io non so se fo bene, — risposi balbettando, — la mamma non ne sa nulla.... è malata....

— Ti ha forse proibito di passeggiare?

— Non dico questo, ma....

— Ti ha proibito di star con me?

— Ti pare! [p. 26 modifica]— O dunque?

— Verrò. —

Non avevo animo di dirgli apertamente la verità. Eppoi mi sarebbe troppo dispiaciuto di affliggerlo; e per questi riguardi preferii piuttosto di affligger la povera madre mia, che mi voleva tanto bene e che si fidava interamente di me.

— Senti, — cominciò il galletto; — avrò avuto un mese e mezzo, quando dai miei padroni che erano gente comoda ma di poco cuore, fui strappato dal seno materno e regalato a quella vecchia strega della Lena.

— O perchè la tratti a codesto modo?

— Ho le mie ragioni, sentirai.

— Senti, non c’è ragione che tenga; le,persone non si trattano male, specialmente quando sono lontane e non si possono difendere....

— E io, eh, sarò tanto grullo da dirgliene sul viso queste cose? Per essere ammazzato, cotto e mangiato in un momento, non è vero? Proprio si vede che non hai un fil di giudizio. Basta, seguitiamo il discorso.

— Seguita pure, — dissi con dolcezza — ma non dir cose cattive.

— La Lena, — proseguì con aria grave il galletto — stava, come saprai, con una figliuola, che più tardi si maritò; peraltro allora era ragazza e aveva una gran passione per i fiori e per le bestie; figurati che nel suo salottino la non ci avrà avuto meno di sei o sette gabbioni pieni di cardellini, di merli, di pettirossi e di fringuelli, che a certe ore del giorno facevano un chiasso da incitrullire: pareva di essere in un bosco; poi teneva per la casa un passerotto [p. 27 modifica] stizzoso, che faceva venir proprio la rabbia a vederlo; ma alla padrona le voleva un gran bene, e lei a lui; figurati che quando mettevano la minestra in tavola, il passerotto non faceva discorsi; con un volo si slanciava anche lui sulla tavola, e si metteva a beccucchiar ne’ piatti, che era una vera indecenza.

Ma le padrone, anzi,- gli facevano un monte di feste e un giorno che, vittima della propria gola, cascò nella zuppiera la quale fortunatamente non conteneva che un po’ di minestra asciutta quasi fredda, sai quel che successe? La Teresina cominciò a piangere e strepitare, e ci volle del buono e del bello per farle capire che il suo protetto non s’era fatto alcun male.

Le cose andavano di questo passo, allorché feci entratura in casa. Se tutte quelle giuccherie mi dettero nell’occhio e mi fecero stizzire, immaginatelo.

— Oh io poi, — risposi subito — non me ne sarei curato punto; avrei lasciato fare e mi sarei dato ogni cura di compiere puntualmente il mio dovere, acciocché la padroncina, col tempo, avesse preso a benvolere anche me.

— Dopo tutti gli altri, eh! Bel gusto!

— Ma scusa, quegli altri c’erano avanti di te, ed era giusta che a loro volesse un po’ più di bene....

— Sì, eh? Come si vede che ragioni proprio da quello stupido che sei.

— Che discorsi son questi? — interruppi io tutto risentito.

— Via, via, — riprese con più dolcezza il galletto — non mi fare il permaloso, ma piuttosto sta’ bene attento alle mie parole: Chi sono più utili, i polli o gli uccellini? [p. 28 modifica] — Eh, sicuro, i polli....

— I polii, caro mio, fanno le uova, offrono all’uomo un alimento salubre, sostanzioso....

— Per codesto, anche gli uccellini.... — E non potei tirare avanti. Scommetto che i lettori indovineranno il perchè!

— Gli uccelli, — proseguì tranquillamente il mio spietato compagno — sono un piatto di lusso, e tutti non ci possono arrivare a comprarli, eppoi per i malati e per le persone deboli, non è cibo adattato; i polli invece....

— Per carità, — mormorai con un fll di voce — mutiamo discorso....

— Sia pure. Convieni però che noialtri siamo superiori a quelle insolenti bestiole?

— Lo credo!

— E non ti par dura il vedersi trascurato e messo in un canto, per colpa di chi? D’uno spregevole passerotto, che finalmente non è buono ad altro che a mangiar le mosche!

— Eccone un’altra delle belle. O chi ti dà ad intender codeste cose? Il passerotto non è utile? Pover’a te! Se tu potessi farti capire, vorrei che tu ne dimandassi al signor Giampaolo. Non sono utili i passerotti? O chi li mangia tutti gl’insetti nocivi che brulicano pe’ campi, se non essi, rendendo per tal modo un gran servigio agli agricoltori? Già, senti, se ci si guarda ben bene, non c’è nulla d’inutile in questo mondo: e perfino le bestioline più umili, a qualcosa sono buone; anzi, per tornare a’ passerotti, ti dirò che in un certo paese di cui non ricordo più il nome, li avevano sperperati nella falsa supposizione [p. 29 modifica]che fossero dannosi a’ campi coltivati; sai quel che dovettero fare in capo a due anni? Li richiamarono in fretta e furia, perchè le terre erano gremite di bachi, i quali visto che potevano darsi bel tempo senza paura, avevano stabilito il loro domicilio nei più bei cavoli e nelle insalatine più appetitose. Che ne dici?

— Dico che forse avrai ragione; ma intanto io quella vita non la potevo durare; la bile mi soffocava; sai quel che mi messi a fare? La Teresina, come ti ho detto, aveva una gran passione anche per i fiori, e tutti i giorni veniva fuori con rinvoltini pieni di semi che le regalavano le sue amiche; si dava gran cura di scegliere i vasi più adatti, di empirli di terra, e poi di metterci i suoi semi. Era quel che volevo.

Appena aveva voltato l’occhio, io mi mettevo subito a beccarli, e in men di cinque minuti distruggevo un lavoro che le era costato assai tempo; figurati la sua stizza quando se ne avvedeva! Dava in ismanie, si metteva a piangere, e io intanto me la godevo.... Ah! Ah! —

E il galletto si mise a ridere con quel certo riso di chi è contento del fatto suo.

Ma io, serio serio:

— Ti pareva di far delle belle cose, eh? Non ti vergogni a raccontarle?

— No davvero. Dunque, secondo te, uno si deve prendere in santa pace tutti i dispetti senza cercar di ricattarsi?

— Nessuno ti faceva dei dispetti: eppoi quand’anche qualcosa ci fosse stato, il tuo dovere era di pazientare; non ci si vendica mai; con la vendetta [p. 30 modifica]si perdono tutte le ragioni e non si acquista nulla, altro che dei dispiaceri....

— Ma io non ne provai, no, dei dispiaceri! Anzi quando mi ricattavo ero tutto contento!

— Segno che sei proprio cattivo e indurito nel vizio; va’, va’, io non ti voglio più bene, e mi pento d’essermi accompagnato con te. Voglio tornar subito dalla mamma. —

Con tutte queste ciarle s’era fatto tardi, e l’ora in cui solevo andare a letto era trascorsa da un pezzo; pensai alla povera madre mia; chi sa come stava in pensiero!

— Andiamo a casa, — dissi subito al galletto — non vedi che è buio? Ma dove siamo? Nel nostro podere no dicerto.... io non mi ritrovo....

— Lo credo! L’abbiamo passato da un pezzo il tuo podere, caro il mio predicatore!

― Dunque spicciamoci, — dissi tutto affannato — chi sa come ci aspettano.... Che cosa abbiamo fatto, Dio buono!

— La sai la strada per tornare a casa? — mi domandò a un tratto il galletto, dopo un minuto di silenzio che mi parve un secolo.

— No, che vuoi? Non sono mai uscito dal campo di Giampaolo; tu però la sai; oh andiamo, andiamo! —

Invece di affrettarsi, il mio sciagurato compagno si fermò, e con una certa voce beffarda che non dimenticherò mai, mi disse:

— Facevo male o bene a vendicarmi della Teresina?

— Facevi male, — risposi con franchezza. [p. 31 modifica]— Ero dunque un cattivo, — proseguì sullo stesso tuono.

— Sicuro che eri cattivo.

— Benone. Ora dimmi un po’: Mi vuoi bene ?

— Se tu prometti di emendarti, sì.

— E se non mi emendo?

— Allora no.

— Ebbene, signor pulcino coraggioso, io la lascio in compagnia de’ suoi buoni sentimenti, i quali, spero, saranno più che sufficienti a ricondurla a casa; io, intanto le auguro una felicissima notte. —

E quel perverso sparì rapidamente dietro alcune piante e mi lasciò solo solo in quel campo solitario.