Michele Strogoff/Parte Prima/Capitolo VII. Discendendo il Volga

Da Wikisource.
Parte Prima - Capitolo VII. Discendendo il Volga

../Capitolo VI. Fratello e sorella ../Capitolo VIII. Risalendo la Kama IncludiIntestazione 21 maggio 2023 100% Da definire

Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Prima - Capitolo VII. Discendendo il Volga
Parte Prima - Capitolo VI. Fratello e sorella Parte Prima - Capitolo VIII. Risalendo la Kama

[p. 78 modifica]

CAPITOLO VII.

discendendo il volga.


Un po’ prima del mezzodì, la campana dello steam-boat attirava allo sbarcatojo del Volga gran folla di gente, poichè vi erano colà coloro che partivano e gli altri che avrebbero dovuto partire. Le caldaje del Caucaso erano in pressione sufficiente. Più non usciva dal tubo che un fumo leggiero, mentre l’estremità del tubo di scappamento ed il coperchio delle valvole s’incoronavano di bianco vapore.

S’intende che la polizia sorvegliava la partenza del Caucaso, e si mostrava senza pietà pei viaggiatori che non erano nelle condizioni richieste per lasciare la città.

Molti Cosacchi andavano e venivano sulla ripa, pronti a venire in soccorso degli agenti, ma non ce ne fu bisogno perchè non accaddero resistenze.

All’ora stabilita, si udì l’ultimo tocco della campana, gli ormeggi furono allentati; le poderose ruote dello steam-boat batterono l’acqua, ed il Caucaso filò rapidamente fra le due città che compongono Nijni-Novgorod.

Michele Strogoff e la giovane livoniana si erano imbarcati a bordo del Caucaso, e ciò senza alcuna difficoltà, poichè, come si notò, il podarosna fatto in nome di Michele Korpanoff dava facoltà a questo negoziante di essere accompagnato [p. 79 modifica]durante il suo viaggio in Siberia. Era dunque un fratello ed una sorella che viaggiavano sotto la guarentigia della polizia imperiale.

Entrambi, seduti a poppa, guardavano la città profondamente turbata dal decreto del governatore.

Michele Strogoff non aveva detto nulla alla giovinetta, non l’avea interrogata: aspettava che parlasse, se le conveniva di parlare. Costei avea fretta di lasciare quella città, nella quale, senza l’intervento provvidenziale del protettore inatteso, sarebbe rimasta prigioniera. Nulla diceva, ma ringraziava collo sguardo.

Il Volga, il Rha degli antichi, è considerato come il maggior fiume di tutta l’Europa, ed il sue corso non è inferiore a 4000 verste (4300 chilometri). Le sue acque, piuttosto insalubri nella parte superiore, sono modificate a Nijni-Novgorod da quelle dell’Oka, rapido affluente che esce dalle provincie centrali della Russia.

Fu paragonato a ragione l’insieme dei canali e dei fiumi russi ad un albero gigantesco, i cui rami si spartiscono su tutte le regioni dell’impero. È il Volga che forma il tronco di quest’albero, ed ha settanta foci che mettono nel mar Caspio. È navigabile da Rief, città del Tver, vale a dire nella maggior parte del suo corso.

I battelli della compagnia di trasporto da Perm e Nijni-Novgorod percorrono le 350 verste (373 chilometri) che separano questa città da quella di Kazan. Vero è che questi steam-boats hanno solo a discendere il Volga, il quale aggiunge circa due miglia di corrente alla loro velocità propria. Ma quando essi sono giunti al confluente del Kama, un po’ al disotto di Kazan, sono costretti ad abbandonare il Volga per l’altro fiume, di cui [p. 80 modifica]devono allora risalire il corso fino a Perm. A conti fatti, adunque, e benchè la sua macchina fosse poderosa, il Caucaso non doveva percorrere più di sedici verste all’ora. Riservando un’ora di fermata di Kazan, il viaggio da Nijni-Novgorod a Perm doveva dunque durare sessanta o sessantadue ore circa.

Quello steam-boat, del resto, era assai comodo, ed i passeggieri, secondo la loro condizione od i loro mezzi, vi occupavano tre classi differenti. Michele Strogoff aveva avuto cura di pigliar due camerini di prima classe, perchè la sua giovane compagna potesse ritirarsi nel suo ed isolarsi quando ne avesse voglia.

Il Caucaso era ingombro di passeggieri di tutte le categorie. Un certo numero di trafficanti asiatici avea creduto bene di lasciare subitamente Nijni-Novgorod. Nella parte dello steam-boat riservata alla prima classe si vedevano Armeni in lunghe vesti con in capo certe mitre; Ebrei, riconoscibili ai berretti conici; ricchi Chinesi nel loro costume tradizionale, larghissima veste azzurra violetta o nera, aperta dinanzi e di dietro e coperta da una zimarra a larghe maniche che ricorda nel taglio quella dei sacerdoti; Turchi che portavano ancora il turbante nazionale; Indiani dal berretto quadrato, con un semplice cordone per cintura, taluni dei quali più propriamente designati col nome di Shikarpuris, hanno nelle loro mani tutto il traffico dell’Asia centrale; ed infine i Tartari calzati di stivali ricamati di cordoncini molticolori e col petto anch’ esso coperto di ricami. Tutti questi negozianti avevano dovuto ammucchiare nella stiva e sul ponte i loro numerosi bagagli, il cui trasporto doveva costar [p. 81 modifica]caro, perchè, secondo i regolamenti, non avevano diritto che ad un peso di venti libbre ogni persona.

A prua del Caucaso era adunato un maggior numero di passeggieri, non stranieri soltanto, ma anche Russi, ai quali il decreto non proibiva di tornarsene alle città della provincia.

Vi erano là mujiks, con in capo berretti o caschi, vestiti d’una camicia a scacchi, sotto la loro ampia pelliccia; vi erano contadini del Volga coi calzoni azzurri cacciati entro gli stivali, colla camicia di cotone color rosa, stretta al corpo da una corda, con berretto di feltro, o berrettino piatto. Alcune donne con vesti di percallina a fiorami portavano i grembiali dai vivi colori e la pezzuola a disegni rossi sul capo. Erano principalmente passeggieri di terza classe, che per fortuna non si davano pensiero della prospettiva di un lungo viaggio di ritorno. Insomma questa parte di ponte era molto ingombra; e però i passeggieri di poppa non si avventuravano guari fra quei crocchi.

Frattanto il Caucaso filava, con tutta la velocità, fra le sponde del Volga; incrociava molti battelli, che tirati a rimorchio risalivano il corso del fiume e trasportavano ogni sorta di mercanzie a Nijni-Novgorod, poi passavano carichi di legnami lunghi come quelle interminabili file di sargassi dell’Atlantico, e chiatte cariche fino a rimanere sommerse quasi interamente; viaggi inutili oramai, poichè la fiera era stata bruscamente interrotta da bel principio. Le rive del Volga, impillaccherate dal solco dello steam-boat, si coronavano di voli di anitre che fuggivano mandando grida assordanti. [p. 82 modifica]

Un po’ più lungi, su quelle pianure secche, costeggiate da salici, da alberelle, da ontani si sbandavano alcune vacche di un rosso carico, greggi di montoni dal pelo bruno, numerose agglomerazioni di porci e di porcellini bianchi e neri. Alcuni campi seminati di magro frumento nero, e di segala, si stendevano fino all’ultimo piano di colli semicoltivati che non presentavano alcun spettacolo notevole. In quei monotoni paesaggi la matita di un disegnatore in cerca di luoghi pittoreschi nulla avrebbe trovato da riprodurre.

Due ore dopo la partenza del Caucaso, la giovane livoniana, rivolgendosi a Michele Strogoff, gli disse:

— Tu vai ad Irkutsk, fratello?

— Sì, sorella, rispose il giovine, facciamo entrambi la medesima strada, perciò da per tutto dove passerò io tu passerai.

— Domani fratello, saprai perchè ho lasciato le rive del Baltico per andare al di là dei monti Urali.

— Io non ti domando nulla, sorella.

— Tu saprai tutto, rispose la giovinetta sulle cui labbra apparve un triste sorriso; una sorella non deve nulla nascondere al fratello. Ma oggi non potrei, la stanchezza, la disperazione mi hanno sfinita.

— Vuoi riposarti nel tuo camerino? domandò Michele Strogoff.

— Sì, sì, e domani...

— Vieni dunque...

Egli esitava a finir la frase, come se avesse voluto compierla col nome della compagna che ancora ignorava.

— Nadia, disse ella porgendogli la mano. [p. 83 modifica]

— Vieni, Nadia, rispose Michele Strogoff, e non fare complimenti col fratel tuo Nicola Korpanoff, — e condusse la giovinetta al camerino che era stato fermato per lei nella sala di poppa.

Michele Strogoff tornò sul ponte, cercandovi notizie che potevano forse modificare il suo itinerario; si andò a mescere ai crocchi dei passeggieri, ascoltando ma senza pigliar parte alla conversazione. Del resto, se il caso voleva ch’egli fosse interrogato e costretto a rispondere, si spaccerebbe per Nicola Korpanoff che il Caucaso riconduceva alla frontiera, non volendo egli che si potesse sospettare che un permesso speciale gli desse facoltà di viaggiare in Siberia.

Gli stranieri che lo steam-boat trasportava non potevano evidentemente parlare d’altro che degli avvenimenti del giorno, del decreto e delle sue conseguenze. Questa povera gente, uscita appena dalle fatiche di un viaggio attraverso l’Asia centrale, si vedeva costretta a ricominciarle, e se non manifestava ad alta voce la collera e la disperazione è perchè non osava. Una paura mista di rispetto tratteneva ognuno. Era possibile che ispettori di polizia incaricati di sorvegliare i passeggieri si fossero segretamente imbarcati a bordo del Caucaso; onde era meglio trattenere la lingua, essendo in fin dei conti preferibile l’espulsione alla prigionia in una fortezza. Perciò fra quei crocchi o si taceva o si parlava con tanta circospezione da non poterne cavare alcuna utile notizia.

Ma se Michele Strogoff non ebbe nulla ad apprendere da questo lato, se anzi si chiusero più volte le bocche quando egli si avvicinava — perchè nessuno lo conosceva — le sue orecchie [p. 84 modifica]furono a breve andare colpite dal suono d’una voce che non badava ad essere o no intesa.

L’uomo dalla voce allegra parlava russo, ma con un accento straniero, ed il suo interlocutore, più riservato, gli rispondeva nella medesima lingua, che non era nemmeno la sua lingua originale.

— Come, diceva il primo, come! voi su questo battello, mio caro confratello, voi che ho veduto alla festa imperiale di Mosca, ed intravveduto appena a Nijni-Novgorod?

— Proprio io, rispose il secondo asciutto asciutto.

— Ebbene, schiettamente, non mi aspettavo di essere seguíto così da vicino da voi.

— Io non vi seguo, signore, vi precedo.

— Precedo! precedo! mettiamo che si cammini di fronte e del medesimo passo come due soldati alla parata, e per ora almeno conveniamo che nessuno dei due passerà innanzi all’altro.

— Io vi passerò innanzi.

— La vedremo quando saremo sul teatro della guerra, ma fin là, diancine! siamo compagni di viaggio; più tardi avremo il tempo e l’occasione di essere rivali.

— Nemici.

— E sia pure nemici; voi avete nelle vostre parole, caro confratello, una precisione che mi va molto a sangue; con voi almeno si sa in che mondo si vive!

— E dov’è il male?

— Non ve n’è, e perciò alla mia volta vi chiederò il permesso di determinare la nostra condizione reciproca.

— Determinatela.

— Voi andate a Perm... come me? [p. 85 modifica]

— Come voi.

— E probabilmente da Perm vi dirigete ad Ekaterinburgo, perchè è la strada migliore e più sicura per valicare i monti Urali?

— Probabilmente.

— Passata la frontiera, noi saremo in Siberia, vale e dire nel mezzo dell’invasione.

— Ci saremo.

— Ebbene allora, ma soltanto allora, sarà il momento di dire: «Ciascuno per sè e Dio per....»

— E Dio per me.

— Dio per voi solo? Benissimo, ma poichè noi abbiamo otto giorni di neutralità, e poichè certissimamente le notizie non pioveranno per istrada, rimaniamo amici fino al momento di diventare rivali.

— Nemici.

— Giusto!... nemici! ma fino a quel tempo, mettiamoci d’accordo; vi prometto d’altra parte di serbare per me tutto quello che potrò vedere.

— Ed io tutto ciò che potrò intendere.

— Siamo intesi?

— Siamo intesi.

— La vostra mano?

— Eccola.

E la mano del primo interlocutore, vale a dire cinque dita largamente aperte, scrollarono vigorosamente le due dita porte con tutta flemma dal secondo.

— Oh! giusto! disse il primo, stamattina ho potuto telegrafare a mia cugina il testo del decreto, alle 10 e 17 minuti.

— Ed io l’ho mandato al Daily-Telegraph alle 10 e 13.

— Bravo, signor Blount. [p. 86 modifica]

— Troppo buono, signor Jolivet.

— Alla rivincita.

— Sarà difficile.

— Proveremo.

Ciò detto, il corrispondente francese salutò con famigliarità il corrispondente inglese, il quale, inchinando il capo, restituì il saluto con un sussiego tutto britannico.

Questi due cacciatori di notizie, non essendo nè Russi, nè stranieri d’origine asiatica, sfuggivano al decreto del governatore. Erano dunque partiti, e se avevano lasciato insieme Nijni-Novgorod, gli è che il medesimo istinto li spingeva innanzi. Era dunque naturale che avessero preso il medesimo mezzo di trasporto e che seguissero la medesima strada, fino alle steppe siberiane. Compagni di viaggio, amici o nemici, essi avevano dinanzi a sè otto giorni, prima che «la caccia fosse aperta.» Allora sarebbe sorta la gara di destrezza. Alcide Jolivet aveva fatto le prime cortesie, e, per quanto freddamente, Harry Blount le aveva accettate.

Checchè ne sia, al desinare di quel giorno, il Francese, sempre aperto ed anche un po’ loquace, l’Inglese, sempre chiuso e taciturno, trincavano alla medesima mensa, bevendo un Cliquot autentico da sei rubli la bottiglia, generosamente fatto colla linfa fresca delle betulle dei dintorni.

Udendo così discorrere Alcide Jolivet ed Harry Blount, Michele Strogoff aveva pensato:

— Ecco dei curiosi o degli indiscreti che incontrerò probabilmente sulla mia strada e che sarà prudenza tener distanti.

La giovane livoniana non venne a desinare. Essa dormiva nel suo camerino, e Michele Strogoff [p. 87 modifica]non volle farla svegliare. Giunse dunque la sera senza che ella fosse ricomparsa sul ponte del Caucaso.

Il lungo crepuscolo spandeva allora per l’aria una frescura che i passeggieri ricercarono avidamente dopo il calore opprimente del giorno. Quando l’ora fu inoltrata, la maggior parte non pensarono nemmeno a tornare nelle sale o nei camerini. Sdrajati sulle panche, essi respiravano con delizia un po’ di quella brezza prodotta dalla velocità dello steam-boat. Il cielo, a quel tempo dell’anno ed in quella latitudine, doveva appena oscurarsi fra la sera e la mattina; dava dunque al timoniere agio di dirigersi in mezzo ai numerosi battelli che scendevano o risalivano il Volga.

Pure, fra le undici e le due del mattino, essendo la luna nuova, annottò quasi. I passeggieri la più parte dormivano allora, ed il silenzio non era turbato che dal rumore delle palette che battevano l’acqua ad intervalli eguali.

Una specie d’inquietudine teneva sveglio Michele Strogoff. Andava egli e veniva, ma sempre stando a poppa; una volta, peraltro, gli accadde di oltrepassare la camera delle macchine. Egli si trovò allora nella parte riserbata ai viaggiatori di seconda e di terza classe.

Colà si dormiva non solo sulle panche, ma anche sui fardelli, sui bagagli e sulle tavole del ponte. I marinaj di quarto soltanto se ne stavano in piedi sul castello di prua. Due luci, una verde, l’altra rossa, gettate dai fanali di tribordo e di babordo, mandavano qualche raggio obliquo sui fianchi dello steam-boat.

Ci voleva una certa attenzione per non calpestare i dormenti sdrajati capricciosamente qua e [p. 88 modifica]là. La maggior parte erano mujiks, avvezzi a coricarsi sul duro ed a cui le tavole di un ponte dovevano bastare. Pur avrebbero assai male accolto, senza dubbio, il malaccorto che li avesse svegliati a calci.

Michele Strogoff badava dunque a non urtare nessuno: andando così verso l’estremità del battello, non aveva altra idea fuorchè combattere il sonno con una passeggiata un po’ più lunga.

Ora egli era arrivato alla parte anteriore del ponte e già saliva la scala del castello di prua, quando intese parlare accanto a sè. Si arrestò. Le voci parevano venire da un crocchio di passeggieri avviluppati di scialli e di coperte, che era impossibile riconoscere nell’ombra. Ma accadeva talvolta, se il camino dello steam-boat in mezzo alle volute di fumo mandava qualche fiamma rossiccia, che paresse di veder correre delle scintille attraverso il crocchio, come se migliaja di pagliuzze si fossero accese a un tratto.

Michele Strogoff stava per passar oltre, quando udì più distintamente certe parole pronunziate in quella lingua bizzarra che già aveva colpito le sue orecchie nella notte, sul campo della fiera.

Per istinto gli venne in mente di ascoltare; protetto dall’ombra del castello egli non poteva essere veduto; e quanto a vedere i passeggieri che discorrevano, gli era assolutamente impossibile. Dovette adunque accontentarsi di porgere ascolto.

Le prime parole non avevano alcuna importanza, — almeno per lui — ma gli permisero di riconoscere le due voci di donna e d’uomo che aveva inteso a Nijni-Novgorod. D’onde raddoppiamento d’attenzione da parte sua. Non era [p. 89 modifica]impossibile, infatti, che quegli zingari, di cui aveva inteso un frammento di conversazione, espulsi insieme con tutti i loro congeneri, fossero a bordo del Caucaso.

E fu ventura ch’egli ascoltasse, perchè intese distintamente questa dimanda e questa risposta fatte in idioma tartaro:

— Si dice che un corriere sia partito da Mosca per Irkutsk!

— Si dice, Sangarre, ma o quel corriere giungerà troppo tardi, o non giungerà.

Michele Strogoff sussultò involontariamente a questa risposta che lo toccava in modo così diretto; cercò egli di riconoscere se l’uomo e la donna che avevano parlato fossero coloro che sospettava, ma l’ombra era troppo densa e non vi potè riuscire.

Alcuni istanti dopo, Michele Strogoff, senza essere veduto, si era spinto a poppa dello steam-boat, e colla testa fra le mani si sedeva in disparte. Si avrebbe potuto credere che dormisse.

Non dormiva e non pensava a dormire. Pensava a questo, non senza viva apprensione:

— Chi mai conosce la mia partenza, e chi ha interesse a conoscerla?