Michele Strogoff/Parte Seconda/Capitolo XIV. La notte dal 5 al 6 ottobre

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Parte Seconda - Capitolo XIV. La notte dal 5 al 6 ottobre

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Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Seconda - Capitolo XIV. La notte dal 5 al 6 ottobre
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CAPITOLO XIV

la notte dal 5 al 6 ottobre.


Il disegno d’Ivan Ogareff era stato combinato colla massima cura, e salvo contrasti improbabili, doveva riuscire. Era necessario che la porta di Bolchaia fosse libera al momento di consegnarla. Perciò, in quel momento, bisognava assolutamente che l’attenzione degli assediati fosse rivolta ad un altro punto della città. Da ciò una diversione concertata coll’Emiro.

Questa diversione doveva compiersi dal lato del sobborgo d’Irkutsk, a monte ed a valle del fiume, sulla sua riva destra. L’attacco su questi due punti doveva essere condotto seriamente, e al medesimo tempo si doveva fingere un tentativo di passaggio dell’Angara sulla riva sinistra. La porta di Bolchaia sarebbe dunque probabilmente abbandonata, tanto più che, da questo lato, gli avamposti tartari, spinti indietro, sembrerebbero tolti.

Era il 5 ottobre. Fra ventiquattr’ore la capitale della Siberia orientale doveva essere in mano dell’Emiro, ed il gran duca in potere d’Ivan Ogareff.

Durante questa giornata, un movimento inconsueto avvenne nel campo dell’Angara. Dalle finestre del palazzo e dalle case della riva destra si vedevano distintamente importanti preparativi che venivano fatti sul margine opposto. Molti drappelli tartari convergevano verso il campo e venivano [p. 70 modifica]tratto tratto a rinforzare le truppe dell’Emiro. Era la diversione convenuta che si preparava in maniera molto ostensibile.

D’altra parte, Ivan Ogareff non nascose punto al gran duca che vi era qualche attacco da temere da questo lato. Diceva di sapere che un assalto doveva essere dato, a monte ed a valle della città, e consigliò al gran duca di rinforzare questi due punti più direttamente minacciati.

Siccome i preparativi osservati venivano ad avvalorare le raccomandazioni fatte da Ogareff, era urgente tenerne conto. Perciò, dopo un consiglio di guerra, che si riunì nel palazzo, fu dato l’ordine di concentrare la difesa sulla riva destra dell’Angara ed alle due estremità della città, dove i terrapieni venivano ad appoggiarsi sul fiume.

Era per l’appunto quel che voleva Ivan Ogareff. Egli evidentemente non s’immaginava che la porta di Bolchaia avesse a rimanere senza difensori, ma solo che questi fossero in piccolo numero. D’altra parte, Ivan Ogareff stava per dare alla diversione un’importanza tale che il gran duca fosse obbligato di opporle tutte le sue forze disponibili.

Infatti, un incidente d’una gravità eccezionale, immaginato da Ivan Ogareff, doveva ajutare fortemente il compimento de’ suoi disegni. Quand’anche Irkutsk non fosse stata attaccata sopra punti lontani dalla porta di Bolchaia e dalla riva destra del fiume, questo incidente avrebbe bastato ad attirare il concorso di tutti i difensori, là dove Ivan Ogareff voleva precisamente condurli, e doveva al medesimo tempo provocare una catastrofe spaventosa.

Tutto portava dunque a credere che la porta, libera nell’ora indicata, fosse aperta alle migliaja [p. 71 modifica]di Tartari che aspettavano sotto il fitto delle foreste dell’est.

Tutta questa giornata, la popolazione e la guarnigione d’Irkutsk furono continuamente alle vedette. Erano state prese le precauzioni che suggeriva un attacco imminente dei punti fino allora rispettati. Il gran duca ed il generale Voranzoff visitarono i posti rinforzati per ordine loro. Il corpo scelto di Wassili Fédor occupava il nord della città, ma con ordine di portarsi là dove il pericolo fosse più stringente. La riva destra dell’Angara era stata guarnita della poca artiglieria di cui si era potuto disporre. Con queste precauzioni, prese in tempo, grazie alle raccomandazioni fatte così opportunamente da Ivan Ogareff, vi era ragione di sperare che l’attacco preparato non avesse a riuscire. In tal caso, i Tartari, momentaneamente scoraggiati, dovevano senza dubbio differire ad altro giorno un nuovo tentativo contro la città. Ora le truppe aspettate dal gran duca potevano giungere da un momento all’altro. La salvezza d’Irkutsk pendeva dunque da un filo.

Quel giorno, il sole, che si era levato alle sei e venti minuti, tramontava alle cinque e quaranta, dopo aver tracciato per undici ore il suo arco diurno sopra l’orizzonte. Il crepuscolo doveva lottare contro la notte ancora per due ore. Poi, lo spazio sarebbe invaso da folte tenebre, poichè grossi nugoli si arrestavano nell’aria, e non doveva apparire la luna, che era in congiunzione.

L’oscurità profonda doveva favorir meglio i disegni d’Ivan Ogareff.

Già da qualche giorno, un freddo vivissimo preludiava ai rigori dell’inverno siberiano, e quella sera era più sensibile. I soldati appostati sulla riva [p. 72 modifica]destra dell’Angara, costretti a dissimulare la loro presenza, non avevano acceso i fuochi. Essi soffrivano dunque crudelmente di quell’orribile abbassamento di temperatura. A pochi piedi sotto di essi, passavano i massi trasportati dalla corrente del fiume. Tutto quel giorno erano stati veduti, in ischiere fitte, andar rapidamente alla deriva fra le due sponde. Questa circostanza, osservata dal gran duca e dai suoi uffiziali, era stata riputata felice. Era infatti evidente che se il letto dell’Angara fosse ostruito, il passaggio diventerebbe assolutamente impossibile, non potendo i Tartari manovrare nè le zattere nè le barche. Quanto ad ammettere che potessero valicare il fiume sotto i massi di ghiaccio, aggregati dal freddo, era pazzia, poichè, il campo, cementato di fresco, non sarebbe stato tanto consistente da resistere al passaggio d’una colonna d’assalto.

Ma per ciò appunto che questa circostanza pareva favorevole ai difensori d’Irkutsk, Ivan Ogareff avrebbe dovuto desiderare che non avvenisse. Così per altro non fu! Il traditore sapeva bene che i Tartari non cercherebbero di passare l’Angara, e che, almeno da questo lato, il loro tentativo non sarebbe che una finta.

Per altro, verso le dieci pomeridiane, lo stato del fiume si modificò sensibilmente, con massimo stupore degli assediati, ed oramai con loro svantaggio. Il passaggio, impraticabile prima, divenne possibile ad un tratto. Il letto dell’Angara divenne libero. I massi di ghiaccio, che erano andati alla deriva in gran numero da qualche giorno, sparvero a valle, e cinque o sei solamente occupavano allora lo spazio compreso fra le due sponde. Essi non presentavano nemmeno più la struttura di [p. 73 modifica]Chi ha ucciso quest’uomo? (pag. 82) [p. 74 modifica]quelli che si formano nelle condizioni ordinarie e sotto l’influenza d’un freddo regolare. Non erano che semplici pezzi staccati da qualche icefield, le cui fratture avevano un taglio netto.

Gli ufficiali russi, notando questa modificazione nello stato del fiume, ne avvertirono il gran duca. Essa si spiegava del resto in quanto che, in qualche parte stretta dell’Angara, i ghiacci avevano dovuto accumularsi in guisa da formare una chiusa.

Si sa che così era infatti.

Il passaggio dell’Angara era dunque aperto agli assedianti. Donde necessità per i Russi di vigilare più attentamente che mai.

Nessun incidente avvenne fino alla mezzanotte.

Dal lato dell’est, al di là della porta Bolchaia, calma assoluta. Non un fuoco nel fitto delle foreste che si confondevano nell’orizzonte coi bassi nugoli del cielo.

Nel campo dell’Angara, grande agitazione attestata dal frequente viavai delle luci.

A una versta a monte ed a valle dal punto in cui la scarpa veniva ad appoggiarsi ai margini del fiume avveniva un sordo rumore, che provava come i Tartari si tenessero pronti, aspettando un segnale qualsiasi.

Passò un’altr’ora. Nulla di nuovo.

Stavano per suonare le due al campanile della cattedrale d’Irkutsk, e nessun movimento ancora aveva mostrato negli assedianti intenzioni ostili.

Il gran duca ed i suoi uffiziali si domandavano se non fossero stati indotti in errore, e se veramente entrasse nei disegni dei Tartari di cercar di sorprendere la città. Le notti precedenti non eran state certo tanto tranquille, tutt’altro. Si udivano le fucilate nella direzione degli [p. 75 modifica]avamposti, e gli obici solcavano l’aria. Stavolta, invece, nulla.

Il gran duca, il generale Voranzoff, i loro ajutanti di campo, aspettavano dunque, pronti a dare gli ordini secondo le circostanze.

Si sa che Ivan Ogareff occupava una camera del palazzo. Era una sala abbastanza vasta, situata a terreno e le cui finestre mettevano in una terrazza laterale. Bastava fare alcuni passi sulla terrazza per dominare il corso dell’Angara.

Una profonda oscurità regnava in quella sala.

Ivan Ogareff, ritto accanto ad una finestra, aspettava che giungesse l’ora di agire. Evidentemente, il segnale non poteva venire che da lui; e una volta dato questo segnale, quando la maggior parte dei difensosi d’Irkutsk fossero stati chiamati ai punti attaccati apertamente, egli si proponeva di lasciare il palazzo e di andare a compiere l’opera sua.

Aspettava dunque nelle tenebre come una belva pronta ad avventarsi.

Pochi minuti prima delle due, il gran duca chiese di Michele Strogoff — era il solo nome ch’egli potesse dare ad Ivan Ogareff. — Un ajutante di campo si recò alla camera di lui, la cui porta era chiusa, e chiamò....

Ivan Ogareff, immobile, presso la finestra ed invisibile nell’ombra, si guardò bene dal rispondere.

Fu dunque riferito al gran duca che il corriere dello czar non era in quel momento in palazzo.

Suonarono le due. Era l’ora di far compiere la diversione convenuta coi Tartari, preparati all’assalto.

Ivan Ogareff aprì la finestra della sua camera, ed andò a mettersi nell’angolo nord della terrazza laterale. [p. 76 modifica]

Sotto di lui, nell’ombra, passavano le acque dell’Angara, che muggivano rompendosi contro gli spigoli dei pilastri.

Ivan Ogareff cavò di tasca un’esca, l’accese, ed infiammò con essa un po’ di stoppa, che lanciò nel fiume.

Era per ordine di Ogareff che torrenti d’olio minerale erano stati gettati alla superficie dell’Angara!

Sorgenti di Nafta erano aperte al traffico sopra Irkutsk sulla riva destra, fra la borgata di Poshkavsk e la città. Ivan Ogareff aveva risoluto d’adoprare questo mezzo terribile di portar l’incendio ad Irkutsk. Egli s’impadronì dunque degli immensi serbatoi che contenevano il liquido combustibile. Bastava demolire un pezzo di muro per cagionarne lo scolo a fiotti.

Codesto appunto era stato fatto nella notte, alcune ore prima, ed è per ciò che la zattera che portava il vero corriere dello czar, Nadia ed i fuggitivi, galleggiava sopra una corrente d’olio minerale. Attraverso le breccie di quei serbatoj, contenenti milioni di metri cubi, la nafta si era precipitata come un torrente, e, seguendo i naturali pendii del suolo, si era sparsa alla superficie del fiume, dove la sua densità l’aveva fatto galleggiare.

Ecco come Ivan Ogareff intendeva la guerra! Alleato dei Tartari, egli agiva come un Tartaro, e contro i suoi proprî compatrioti!

La stoppa cade sulle acque dell’Angara. In un istante, come se la corrente fosse stata d’alcool, tutto il fiume s’infiammò a monte ed a valle, con rapidità elettrica. Volute di fiamme azzurrognole correvano fra le due rive, e sovr’esse s’innalzavano vapori fuligginosi. I pochi massi di ghiaccio [p. 77 modifica]che se ne andavano alla deriva si squagliavano nel liquido igneo, come cera entro una fornace, e l’acqua evaporata fischiava nell’aria con romore assordante.

In quel momento medesimo cominciarono le schioppettate al nord ed al sud della città. Le batterie del campo dell’Angara tirarono senza riposo, e molte migliaja di Tartari si precipitarono all’assalto dei terrapieni. Le case dei margini, costrutte di legno, presero fuoco d’ogni parte. Un immenso bagliore dissipò le ombre della notte.

— Finalmente! disse Ivan Ogareff.

E poteva applaudirsi a buon diritto! La diversione ch’egli aveva immaginato era terribile. I difensori d’Irkutsk si vedevano tra l’attacco dei Tartari e i disastri dell’incendio. Suonarono le campane, e tutte le persone valide della popolazione corsero ai punti assaliti ed alle case divorate dal fuoco, che minacciava di comunicarsi a tutta la città.

La porta di Bolchaia era quasi libera. A malapena vi erano rimasti alcuni difensori, ed anzi, per ispirazione del traditore, e perchè l’avvenimento compiuto potesse spiegarsi altrimenti attribuendolo ad odî politici, questi pochi difensori erano stati scelti nel piccolo corpo degli esiliati.

Ivan Ogareff rientrò nella sua camera splendidamente illuminata dalle fiamme dell’Angara, che sorpassavano la balaustrata. Poi fece per uscire.

Ma aveva appena aperto la porta, quando una donna si precitava in questa camera colle vestimenta immolate, coi capelli scarmigliati.

— Sangarre! esclamò Ivan Ogareff, nel primo momento di meraviglia, non immaginando che potesse essere altri che la zingara. [p. 78 modifica]

Ma non era Sangarre, era Nadia.

Al momento in cui, rifugiatasi sul masso di ghiaccio, la giovinetta aveva mandato un grido vedendo l’incendio propagarsi sulla corrente dell’Angara, Michele Strogoff l’aveva presa nelle sue braccia, e si era con lei tuffato sott’acqua per cercare nelle profondità del fiume un riparo contro le fiamme. Si sa che il masso di ghiaccio che li reggeva non era più allora che da una trentina di braccia dalla prima ripa, a monte d’Irkutsk.

Dopo aver nuotato sott’acqua, Michele Strogoff era riuscito a toccar la ripa con Nadia.

Michele Strogoff era finalmente alla meta!

— Al palazzo del governatore! disse egli a Nadia.

E dieci minuti dopo giungevano entrambi all’ingresso di questo palazzo, di cui le lunghe fiamme dell’Angara lambivano i basamenti di pietra, senza potervi comunicare l’incendio.

Al di là, le case dell’argine erano tutte in fiamme.

Michele Strogoff e Nadia entrarono senza difficoltà nel palazzo aperto a tutti. In mezzo alla generale confusione, nessuno li vide, benchè avessero le vesti immollate.

Una folla di uffiziali che venivano a cercar degli ordini, e di soldati che correvano ad eseguirli, ingombrava la gran sala a terreno. Colà Michele Strogoff e la giovinetta, in un brusco movimento della moltitudine affollata, si trovarono separati l’uno dall’altra.

Nadia correva, smarrita, attraverso le sale terrene, chiamando il suo compagno, chiedendo d’essere condotta dinanzi al gran duca.

Una porta, che metteva in una camera inondata di luce, s’aprì dinanzi a lei. Entrò essa e si [p. 79 modifica]trovò ad un tratto in faccia a colui che aveva visto ad Ichim, a Tomsk, in faccia a colui la cui mano scellerata un istante più tardi doveva consegnare la città ai Tartari.

— Ivan Ogareff! esclamò essa.

Udendo pronunziare il suo nome, il miserabile fremette, poichè una volta noto il vero esser suo, tutti i suoi disegni fallivano. Una cosa sola gli rimaneva a fare: uccidere colei che poteva smascherarlo.

Ivan Ogareff si gettò contro Nadia; ma la giovinetta, con un coltello in mano, si addossò al muro, determinata a difendersi.

— Ivan Ogareff! gridò ancora Nadia, sapendo bene che questo nome detestato farebbe correre qualcuno in di lei ajuto.

— Vuoi tacere? disse il traditore.

— Ivan Ogareff! gridò una terza volta l’intrepida giovinetta, con voce fatta tuonante dall’odio.

Ebbro di furore, Ivan Ogareff trasse un pugnale dalla cintola, e si fece addosso a Nadia.

Era finita per lei, quando il miserabile, sollevato a un tratto da una forza irresistibile, ruzzolò a terra.

— Michele! esclamò Nadia.

Era Michele Strogoff.

Egli aveva inteso le grida di Nadia; guidato dalla sua voce, era giunto fino alla camera d’Ivan Ogareff ed era entrato dalla porta rimasta aperta.

— Non temer di nulla, Nadia, disse egli mettendosi fra lei ed Ivan Ogareff.

— Ah! esclamò la giovinetta, bada, fratello!... Il traditore è armato!....

Ivan Ogareff si era rialzato, e credendo di poterla far subito finita con un cieco, si precipitò sopra Michele Strogoff. [p. 80 modifica]

Ma, con una mano, il cieco afferrò il braccio del chiaroveggente, e stornando coll’altra l’arma sua, lo buttò a terra una seconda volta.

Ivan Ogareff, pallido di furore e di vergogna, si ricordò che portava una spada. La trasse dal fodero e tornò alla carica.

Anch’egli aveva riconosciuto Michele Strogoff. Un cieco! Egli non aveva, in sostanza, da fare che con un cieco! Facile impresa per lui!

Nadia, spaventata dal pericolo che minacciava il suo compagno in una lotta così disuguale, corse verso la porta chiamando ajuto.

— Chiudi quella porta, Nadia! disse Michele Strogoff. Non chiamare nissuno e lasciami fare! Il corriere dello czar non ha nulla da temere oggi da questo miserabile! Si avvicini, se osa! Lo aspetto.

Frattanto, Ivan Ogareff, accoccolato come una tigre, non proferiva parola. Egli avrebbe voluto sottrarre all’orecchio del cieco il rumore del suo passo, della sua respirazione medesima. Voleva colpirlo prima ancora ch’egli fosse avvertito della sua vicinanza, ferirlo a colpo sicuro. Il traditore non pensava a battersi, ma ad assassinare colui di cui aveva rubato il nome.

Nadia, spaventata e fiduciosa insieme, contemplava con una specie d’ammirazione questa scena terribile. Pareva che la calma di Michele Strogoff le si fosse comunicata ad un tratto. Michele Strogoff non aveva altra arma che il suo coltello siberiano, e non vedeva il suo avversario armato d’una spada. Ma per qual grazia del cielo sembrava egli dominarlo da tant’alto? Come mai senza quasi muoversi si trovava egli sempre di fronte alla punta della sua spada? [p. 81 modifica]

Ivan Ogareff spiava con visibile ansietà il suo strano avversario. Quella calma sovrumana agiva sopra di lui. Invano, facendo appello alla propria ragione, pensava egli che, nella disuguaglianza di un simile duello, tutto il vantaggio era in suo favore! L’immobilità del cieco gli agghiacciava il sangue. Egli aveva cercato cogli occhi il punto in cui doveva colpire la sua vittima... L’aveva trovato!... E perchè dunque non feriva?

Finalmente diè un balzo e tirò un colpo di spada al petto di Michele Strogoff.

Un movimento impercettibile del coltello del cieco parò il colpo. Michele Strogoff non era stato toccato, e parve aspettare freddamente un secondo assalto.

Un gelido sudore rigava la fronte d’Ivan Ogareff. Rinculò egli d’un passo, e s’avventò di nuovo. Ma questo secondo colpo fu vano al par del primo. Una semplice parata del largo coltello aveva bastato a far sviare l’inutile spada del traditore.

Costui, pazzo di rabbia e di terrore in faccia alla statua vivente, fermò gli sguardi paurosi su gli occhi sbarrati del cieco. Questi occhi, che sembravano leggere fino in fondo dell’anima sua, e che pur non vedevano, non potevano vedere, questi occhi avevano sopra di lui una specie di fascino spaventoso.

Ad un tratto, Ivan Ogareff mandò un grido. Una luce nuova si era fatta nel suo cervello.

— Egli vede! esclamò, egli vede!...

E, come belva che cerchi rientrare nella sua tana, a passo a passo atterrito, rinculò fino in fondo alla sala.

Allora la statua si animò, il cieco mosse dritto [p. 82 modifica]incontro ad Ivan Ogareff, e collocandosi in faccia a lui:

— Sì, vedo! disse. Vedo il colpo di knut con cui ti ho sfregiato il viso, traditore e vigliacco! Vedo il punto in cui ti colpirò! Difendi la tua vita! È un duello ch’io mi degno d’offrirti! Contro la tua spada basterà il mio coltello!

— Egli vede! pensava Nadia. Misericordioso Iddio, è mai possibile?

Ivan Ogareff si sentì perduto, ma per un risveglio della sua volontà, ripigliando coraggio, si precipitò colla spada in pugno sul suo impassibile avversario. Le due lame s’incrociarono, ma all’urto del coltello di Michele Strogoff maneggiato da quelle mani di cacciatore siberiano, la spada si spezzò ed il miserabile, colpito al cuore, cadde a terra morto.

In quel momento la porta della camera fu sfondata, e il gran duca, accompagnato da alcuni uffiziali, si mostrò sulla soglia.

Il gran duca si fece innanzi. Riconobbe nel cadavere giacente a terra colui che credeva essere il corriere dello czar.

E allora, con voce minacciosa:

— Chi ha ucciso quest’uomo? domandò.

— Io, rispose Michele Strogoff.

Uno degli ufficiali gli appoggiò una rivoltella alle tempia, pronto a far fuoco.

— Il tuo nome? domandò il gran duca prima di dar ordine di bruciargli le cervella.

— Altezza, rispose Michele Strogoff, domandatemi piuttosto il nome dell’uomo che giace ai vostri piedi!

— Quest’uomo, io lo riconosco! È un servitore di mio fratello! È il corriere dello czar! [p. 83 modifica]

— Quest’uomo, Altezza, non è un corriere dello czar! È Ivan Ogareff!

— Ivan Ogareff? esclamò il gran duca.

— Sì, Ivan il traditore!

— Ma tu chi sei?

— Michele Strogoff!