Michele Strogoff/Parte Seconda/Capitolo XIII. Un corriere dello zar

Da Wikisource.
Parte Seconda - Capitolo XIII. Un corriere dello zar

../Capitolo XII. Irkutsk ../Capitolo XIV. La notte dal 5 al 6 ottobre IncludiIntestazione 13 giugno 2023 100% Da definire

Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Seconda - Capitolo XIII. Un corriere dello zar
Parte Seconda - Capitolo XII. Irkutsk Parte Seconda - Capitolo XIV. La notte dal 5 al 6 ottobre
[p. 57 modifica]

CAPITOLO XIII.

un corriere dello czar.


Un movimento simultaneo portò tutti i membri del consiglio verso l’uscio socchiuso. Un corriere dello czar arrivato ad Irkutsk! Se questi uffiziali avessero pensato un istante all’improbabilità del fatto, l’avrebbero certamente avuto per impossibile.

Il gran duca aveva fatto alcuni passi verso il suo ajutante di campo.

— Venga questo corriere! disse.

Entrò un uomo. Sembrava sfinito dalla stanchezza. Vestiva panni da contadino siberiano, logori e laceri, e sui quali si vedeva il foro di qualche palla. Gli copriva il capo un berretto moscovita.

Uno sfregio, mal cicatrizzato, gli fendeva la faccia. Evidentemente quest’uomo aveva fatto una strada lunga e penosa. Le sue calzature, in [p. 58 modifica]pessimo stato dicevano anche che egli aveva dovuto fare a piedi una parte del suo viaggio.

— Sua Altezza il gran duca? disse egli entrando.

Il gran duca gli si avvicinò e chiese:

— Tu sei corriere dello czar?

— Sì, Altezza.

— E vieni?

— Da Mosca.

— Quando hai lasciato Mosca?

— Il 15 luglio.

— E ti chiami?

— Michele Strogoff.

Era Ivan Ogareff. Egli aveva preso il nome e la qualità di colui che credeva ridotto all’impotenza. Nè il gran duca nè altri lo conosceva ad Irkutsk, ed egli non aveva neppure avuto bisogno di trasformarsi in volto. Siccome era in grado di provare la sua pretesa identità, nissuno doveva dubitare di lui. Veniva adunque, sorretto da una volontà di ferro, a precipitare col tradimento e coll’assassinio la catastrofe del dramma dell’invasione.

Dopo la risposta d’Ivan Ogareff, il gran duca fece un cenno, e tutti i suoi ufficiali s’allontanarono.

Il falso Michele Strogoff ed egli rimasero soli nella sala.

Il gran duca guardò Ivan Ogareff per alcuni istanti, e con estrema attenzione. Poi disse:

— Tu eri, il 15 luglio, a Mosca?

— Sì, Altezza, e nella notte del 14 al 15 ho visto Sua Maestà lo czar al Palazzo Nuovo.

— Hai una lettera dello czar?

— Eccola. [p. 59 modifica]

Ed Ivan Ogareff consegnò al gran duca la lettera imperiale, ridotta a dimensioni quasi microscopiche.

— La lettera ti fu data in questo stato?

— No, Altezza, ma ho dovuto lacerarne la busta per nasconderla meglio ai soldati dell’Emiro.

— Sei dunque stato prigioniero dei Tartari?

— Sì, Altezza, alcuni giorni, rispose Ivan Ogareff. Da ciò dipende che, essendo, partito il 15 luglio da Mosca, come dice la data di questa lettera, io non sono giunto ad Irkutsk che il 2 ottobre, dopo settantanove giorni di viaggio.

Il gran duca prese la lettera, la spiegò, e riconobbe la firma dello czar, preceduta dalla formula sacramentale, scritta di suo pugno. Non era dunque possibile verun dubbio sull’autenticità della lettera, e nemmeno sull’identità del corriere. Se da principio la sua faccia truce aveva ispirato una diffidenza di cui il gran duca non lasciò travedere nulla, ora questa diffidenza scompariva interamente.

Il gran duca rimase alcuni istanti senza parlare. Egli leggeva lentamente la lettera per comprenderne bene il significato.

Poco stante domandò:

— Michele Strogoff, conosci tu il contenuto di questa lettera?

— Sì, Altezza. Io poteva essere costretto a distruggerla perchè non cadesse nelle mani dei Tartari, e, se fosse seguíto questo, volevo a voce ripeterne esattamente il testo a Vostra Altezza.

— E sai tu che questa lettera ci ordina di morire in Irkutsk, meglio che consegnare la città?

— Lo so.

— E sai pure che essa indica i movimenti delle [p. 60 modifica]truppe che furono combinati per arrestare l'invasione?

— Sì, Altezza, ma questi movimenti non sono riusciti.

— Che vuoi tu dire?

— Voglio dire che Ichim, Omsk, Tomsk, per parlar solo delle città importanti delle due Siberie, furono successivamente occupate dai soldati di Féofar-Kan.

— Ma ci fu combattimento? I nostri Cosacchi si sono essi battuti coi Tartari?

— Molte volte, Altezza.

— E furono respinti?

— Non erano in forze sufficienti.

— Dove ebbero luogo questi scontri?

— A Kolyvan, a Tomsk....

Fin qui Ivan Ogareff non aveva detto che la verità; ma, per sbigottire i difensori d’Irkutsk esagerando i trionfi dell’esercito dell’Emiro, aggiunse:

— E una terza volta prima di Krasnoiarsk.

— E quest’ultimo scontro?.... chiese il gran duca, le cui labbra strette lasciavano passare a stento le parole.

— Non fu solo uno scontro, rispose Ivan Ogareff.

— Una battaglia?

— Ventimila Russi, venuti dalla frontiera e dal governo di Tobolsk, si sono battuti con centocinquantamila Tartari, e, non ostante il loro coraggio, furono distrutti.

— Tu menti! gridò il gran duca cercando invano di vincere la sua collera.

— Io dico la verità, Altezza, rispose freddamente Ivan Ogareff. Fui presente alla battaglia di Krasnoiarsk, ed è là che fui fatto prigioniero. [p. 61 modifica]

Il gran duca si calmò e fece comprendere con un cenno ad Ivan Ogareff che non dubitava della sua veracità.

— In che giorno ebbe luogo questa battaglia di Krasnoiarsk.

— Il 2 settembre.

— Ed ora tutte le truppe tartare sono concentrate intorno ad Irkutsk?

— Tutte.

— Ed a quanti uomini ascendono, a parer tuo?

— A quattrocentomila.

Era un’altra esagerazione di Ivan Ogareff, sempre allo scopo di atterrire gli assediati.

— Ed io non devo aspettarmi verun ajuto dalle provincie dell’ovest? domandò il gran duca.

— Veruno, Altezza, almeno prima dell’inverno.

— Ebbene, ascolta questo, Michele Strogoff. Se anche nessun soccorso dovesse giungermi mai dall’ovest, e dall’est, e fossero seicentomila i barbari, io non cederò Irkutsk.

L’occhio minaccioso di Ivan Ogareff mandò un lampo. Il traditore pareva dire che il fratello dello czar faceva i suoi conti senza il tradimento.

Il gran duca, che era di temperamento nervoso, cercava di mantenersi pacato apprendendo queste notizie disastrose. Egli andava e veniva per la sala, sotto gli occhi di Ivan Ogareff, che lo guardava come una preda riservata alla sua vendetta. Egli si arrestava dinanzi alle finestre, guardava i fuochi del campo tartaro, cercava di cogliere i rumori, la maggior parte dei quali provenivano dall’urto dei massi di ghiaccio trascinati dalla corrente dell’Angara.

Passò un altro quarto d’ora senza ch’egli facesse veruna domanda. Poi, ripigliando la lettera, ne rilesse un periodo, e disse: [p. 62 modifica]

— Tu sai, Michele Strogoff, che in questa lettera si parla di un traditore di cui io dovrei diffidare?

— Sì, Altezza.

— Egli deve cercare di penetrare in Irkutsk, guadagnare la mia confidenza, e, venuta l’ora di consegnare la città ai Tartari....

— So tutto questo, Altezza, e so pure che Ivan Ogareff ha giurato di vendicarsi personalmente del fratello dello czar.

— Perchè?

— Si dice che quest’uffiziale sia stato condannato dal gran duca ad una degradazione umiliante.

— Sì.... mi ricordo.... Ma se lo meritava, quel miserabile, che doveva più tardi servire contro il suo paese e condurvi un’invasione di barbari.

— A Sua Maestà lo czar, rispose Ivan Ogareff, stava sopratutto a cuore che foste avvertito dei propositi d’Ivan Ogareff contro la vostra persona.

— Sì.... la lettera me ne informa....

— E Sua Maestà me lo disse essa medesima avvertendomi che nel mio viaggio attraverso la Siberia mi guardassi sopratutto da quel traditore.

— E l’hai incontrato?

— Sì, Altezza, dopo la battaglia di Krasnoiarsk. Se avesse potuto sospettare ch’io fossi portatore d’una lettera a Vostra Altezza, nella quale erano svelati i suoi disegni, non mi avrebbe fatto grazia.

— Sì, tu eri perduto! E come hai potuto fuggire?

— Gettandomi nell’Irtyche.

— E sei entrato in Irkutsk?...

— Approfittando d’una sortita che fu fatta questa sera medesima per respingere un drappello tartaro. Io mi sono misto ai difensori della città, ho potuto farmi riconoscere e sono subito stato condotto dinanzi a Vostra Altezza. [p. 63 modifica]

— Bene, Michele Strogoff, rispose il gran duca; tu hai mostrato del coraggio e dello zelo in questa difficile missione. Io non ti dimenticherò — Hai tu qualche favore da chiedere?

— Nessuno, tranne quello di battermi a fianco di Vostra Altezza, rispose Ivan Ogareff.

— E sia pure, Michele Strogoff. Tu sarai quind’innanzi mio ajutante, ed abiterai in questo palazzo.

— E se conforme all’intenzione che gli si attribuisce, Ivan Ogareff si presentasse a Vostra Altezza con falso nome....

— Noi, lo smaschereremo, in grazia tua, che lo conosci, ed io lo farò morire sotto lo knut. Va.

Ivan Ogareff salutò militarmente il gran duca, non dimenticando che egli era capitano nel corpo dei corrieri dello czar, e si ritirò.

Ivan Ogareff aveva adunque rappresentata la sua parte indegna. La fiducia del gran duca gli veniva accordata intera. Egli potrebbe abusarne dove e quando gli convenisse meglio. Abitando in palazzo sarebbe a parte del segreto delle operazioni difensive. Aveva in pugno la situazione. Nessuno in Irkutsk lo conosceva, nessuno poteva strappargli la sua maschera. Risolvette dunque di porsi all’opera senza indugio.

Infatti, il tempo stringeva. Bisognava che la città fosse resa prima dell’arrivo dei Russi dal nord e dall’est, ed era questione di pochi giorni. Quando i Tartari fossero padroni d’Irkutsk, non sarebbe più facile fargliela abbandonare. E ad ogni modo, se anche dovessero sgomberare più tardi, non lo farebbero senza averla ruinata interamente, e senza che la testa del gran duca fosse rotolata ai piedi di Féofar-Kan. [p. 64 modifica]

Ivan Ogareff, avendo tutte le facilità di vedere, di osservare e d’agire, andò fin dal domani a visitare i bastioni. Da per tutto fu accolto con cordiali felicitazioni dagli ufficiali, dai soldati, dai cittadini. Questo corriere dello czar era per essi una specie di legame che li ricongiungeva all’impero. Ivan Ogareff raccontò adunque, con un sussiego che non si smentì mai, le false peripezie del suo viaggio. Poi abilmente, senza insistere troppo sulle prime, parlò della gravità della situazione, esagerando i trionfi dei Tartari, come aveva fatto col gran duca, e le forze di cui questi barbari disponevano. A sentirlo, i soccorsi attesi dovevano essere insufficienti, se anche giungessero, ed era a temersi che una battaglia data sotto le mura di Irkutsk fosse funesta al pari delle battaglie di Kolyvan, di Tomsk e di Krasnoiarsk.

Queste spiacevoli insinuazioni Ivan Ogareff non le prodigava. Egli metteva una certa circospezione nel farle penetrare a poco a poco nello spirito dei difensori d’Irkutsk. Aveva l’aria di non rispondere se non quando era stretto dalle interrogazioni, e come a malincuore. Ad ogni modo, egli aggiungeva sempre che bisognava difendersi fino all’ultimo uomo e far saltare in aria la città meglio che consegnarla al nemico.

Il male per altro era fatto egualmente, se fosse stato possibile, ma la guarnigione e la popolazione d’Irkutsk non si lasciavano commuovere menomamente.

Di tutti quei soldati, di tutti quei cittadini chiusi in una città isolata all’estremo del mondo asiatico, nissuno avrebbe pensato a parlare di capitolazione. Il disprezzo del Russo per quei barbari era senza confini. [p. 65 modifica]

D’altra parte, nissuno sospettò la commedia odiosa di Ivan Ogareff; nissuno poteva indovinare che il preteso corriere dello czar non fosse che un traditore.

Una circostanza naturalissima fece che, fin dal suo arrivo in Irkutsk, si stringessero rapporti frequenti tra Ivan Ogareff ed uno dei più eroici difensori della città, Wassili Fédor.

Si sa da quali inquietudini questo disgraziato padre era divorato. Se sua figlia, Nadia Fédor, aveva lasciato la Russia il giorno indicato dall’ultima lettera ch’egli aveva ricevuto da Riga, che ne era di lei? Cercava essa tuttavia di attraversare la provincie invase, od era invece prigioniera da un pezzo? Wassili Fédor non trovava sollievo al proprio dolore se non quando aveva qualche occasione di battersi contro i Tartari, — occasione troppo rara rispetto al suo disiderio.

Ora, quando Wassili Fèdor apprese quell’arrivo così inaspettato d’un corriere dello czar, ebbe una specie di presentimento che quel corriere potesse dargli notizie di sua figlia. Non era probabilmente che una speranza chimerica, ma egli l’accarezzò. Quel corriere non era egli stato prigioniero, come Nadia forse era ancora?

Wassili Fédor andò a trovare Ivan Ogareff, il quale prese quest’occasione di entrare in rapporti cotidiani col comandante. Il rinnegato pensava egli forse a trar partito da questa circostanza? Giudicava egli tutti gli uomini da sè medesimo? Credeva forse che un Russo, anche se esiliato politico, potesse essere tanto miserabile da tradire il suo paese?

Checchè ne sia, Ivan Ogareff rispose con una premura finta abilmente alle maniere cortesi del [p. 66 modifica]padre di Nadia. Costui il domani medesimo dell’arrivo del preteso corriere si recò al palazzo del governatore generale. Colà, egli fece conoscere ad Ivan Ogareff le circostanze nelle quali sua figlia aveva dovuto lasciare la Russia europea, e gli disse quali fossero oramai le sue inquietudini in proposito.

Ivan Ogareff non conosceva Nadia, sebbene l’avesse incontrata, alla posta di Ichim il giorno in cui essa vi si trovava con Michele Strogoff. Ma allora egli non aveva badato a lei, come non aveva badato ai due giornalisti. Non potè dunque dare veruna notizia di sua figlia a Wassili Fédor.

— Ma a qual tempo, domandò Ivan Ogareff, vostra figlia dovette uscire dal territorio russo?

— Presso a poco nel medesimo giorno di voi, rispose Wassili Fédor.

— Io ho lasciato Mosca il 15 luglio.

— Anche Nadia deve aver lasciato Mosca quel giorno. La sua lettera almeno mi diceva così.

— Essa era a Mosca il 15 luglio? domandò Ivan Ogareff.

— Si certo.

— Ebbene.... rispose Ivan Ogareff.

Poi correggendosi:

— No, sbaglio.... confondevo le date.... è disgraziatamente troppo probabile che vostra figlia abbia dovuto valicare la frontiera; non vi rimane che una speranza, ed è che si sia arrestata apprendendo le notizie dell’invasione tartara.

— Wassili Fédor abbassò il capo. Egli conosceva Nadia e sapeva bene che nulla aveva potuto trattenerla dal partire.

Ivan Ogareff aveva commesso, gratuitamente, un atto di vera crudeltà. Con una parola egli [p. 67 modifica]poteva rassicurare Wassili Fédor. Sebbene Nadia avesse passata la frontiera siberiana nelle circostanze che sono note, Wassili Fédor, ravvicinando la data in cui sua figlia si trovava a Nijni-Novgorod, e l’altra del decreto che vietava d’uscirne, ne avrebbe, senza dubbio, argomentato che Nadia non aveva potuto essere esposta ai pericoli dell’invasione, e che essa era ancora, mal suo grado, sul territorio europeo dell’impero.

Ivan Ogareff, obbediente alla sua natura, da uomo che più non sapevano commuovere le sofferenze degli altri, poteva dire questa parola...

E non la disse.

Wassili Fédor si ritrasse col cuore affranto. Dopo quel colloquio, l’ultima sua speranza era svanita.

Nei due giorni che seguirono, 3 e 4 ottobre, il gran duca fece venire più volte il supposto Michele Strogoff, e gli fece ripetere tutto quanto egli aveva inteso nel gabinetto imperiale del Palazzo Nuovo. Ivan Ogareff, preparato a tutte le domande, rispose senza mai esitare. Egli non celò, di proposito, che il governo dello czar era stato assolutamente sorpreso dall’invasione, che la sommossa era stata preparata nella massima segretezza, che i Tartari erano già padroni della linea dell’Obi, quando giunsero le notizie a Mosca, e, finalmente, che nulla era pronto nelle provincie russe per gettare in Siberia le truppe necessarie a respingere gl’invasori.

Poi, Ivan Ogareff, interamente libero de’ suoi movimenti, cominciò a studiare Irkutsk, lo stato delle sue fortificazioni, i loro punti deboli, affine di approfittare più tardi delle proprie osservazioni, caso mai qualche circostanza gli impedisse di [p. 68 modifica]consumare il suo tradimento. Più che altro esaminò la porta di Bolchaia, che voleva consegnare ai Tartari.

Due volte, la sera, egli venne sullo spalto di questa porta. Vi passeggiava, senza timore di scoprirsi ai colpi degli assedianti, i cui primi posti erano a meno di una versta dai bastioni. E sapeva bene di non essere esposto, perchè veniva riconosciuto. Egli aveva intraveduto un’ombra che si spingeva fino a’ piedi dei terrapieni.

Sangarre, rischiando la vita, cercava così di mettersi in comunicazione con Ivan Ogareff.

D’altra parte, gli assediati godevano da due giorni una tranquillità a cui i Tartari non gli avevano avvezzi dal principio dell’assedio.

Era per ordine d’Ivan Ogareff. Il luogotenente di Féofar-Kan aveva voluto che qualsiasi tentativo per pigliare la città a viva forza fosse sospeso. Così dopo il suo arrivo ad Irkutsk, l’artiglieria taceva assolutamente. Forse — almeno egli lo sperava — la sorveglianza degli assediati rallenterebbe. Ad ogni modo, agli avamposti, molte migliaja di Tartari si tenevano pronti a slanciarsi contro la porta indifesa, appena Ivan Ogareff avesse fatto conoscere l’ora d’agire.

Codesto non poteva tardare. Bisognava finirla prima che i corpi russi giungessero in vista d’Irkutsk. Ivan Ogareff prese il suo partito, e quella sera, dall’alto dei bastioni, cadde un biglietto fra le mani di Sangarre.

Era il domani, nella notte dal 5 al 6 ottobre, alle due del mattino, che Ivan Ogareff aveva risoluto di aprire le porte al nemico.