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Nel deserto/Parte I/Capitolo V

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Capitolo V

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V.

Lo zio Asquer visse ancora qualche mese, ma quasi completamente paralizzato: non riusciva che a far qualche passo, sostenuto da Lia e da Costantina, e parlava a stento. Spesso, irritandosi contro la sua impotenza, arrossiva, batteva il bastone per terra e piangeva infantilmente di rabbia.

Ormai la maschera era caduta; egli non fingeva più, non lottava più, vinto dalla fatalità misteriosa tanto temuta e invano scongiurata.

Del matrimonio di Lia non si parlava più; pareva che lo zio Asquer avesse completamente dimenticato la visita di Justo, il discorso interrotto in modo così tragico; e i fidanzati, quasi presi dal rimorso di aver causato loro la disgrazia, e d’altronde sapendo l’infermo condannato [p. 80 modifica]a morir presto, per non irritarlo non lo molestavano più.

Fu un inverno lungo e triste per Lia. Ella non usciva mai perchè lo zio s’irritava quando ella era assente; e lo stato di lui le dava un senso di oppressione; tutto le appariva triste, pauroso, come se la morte si nascondesse negli angoli della casa; lo stesso suo amore per Justo e la speranza di cambiar presto vita, non la rallegravano più. Protetti da Costantina, i due fidanzati si vedevano di notte, quando il malato era già a letto: Justo entrava e usciva come un ladro, senza far rumore, e siccome lo zio Asquer spesso si svegliava agitato, quasi conscio della presenza di un estraneo in casa sua, e chiamava Costantina domandandole chi c’era, i due fidanzati parlavano sottovoce, seduti in un angolo nella penombra della sala da pranzo. I loro discorsi non erano sempre allegri; essi non osavano parlare dell’avvenire e quindi risalivano sempre al passato; ma a Lia pareva che solo i ricordi evocati da Justo fossero interessanti. Quando però egli raccontava qualche sua avventura amorosa, ella provava di nuovo un senso di solitudine, di abbandono: di nuovo, come quel giorno davanti alla fontana, l’uomo sedutole accanto le sembrava uno sconosciuto, un compagno di passaggio; ed ella si credeva una delle figure di cui egli rievocava l’immagine già lontana e sbiadita. [p. 81 modifica]

Costantina origliava dietro l’uscio e i suoi grandi occhi neri brillavano nella penombra, maliziosi e sognatori. Quando il padrone la chiamava e la interrogava sospettoso, per vendicarsi della diffidenza di lui, ella s’attardava nella camera lasciando liberi gli innamorati: Justo naturalmente ne profittava per stringer a sè la fidanzata riluttante e baciarla sulle labbra. Ma neppure allora Lia si sentiva unita a Justo come aveva sognato; il pensiero dello zio che soffriva, e tutto ciò che v’era di ignoto e di estraneo a lei nel passato del vedovo, la separavano da lui.

In marzo egli stette alcuni giorni a letto con una lieve bronchite, e Lia andò a trovarlo nella sua camera. Allora lo sdegno geloso lungamente represso della signora Rosario scoppiò implacabile: senza dirne il motivo ella dichiarò che se ne sarebbe andata alla fine del mese; e siccome Justo si lamentò con Lia, Costantina al solito si immischiò nella faccenda e dopo aver tentato invano di convincer la mulatta a rimanere, la caricò d’insulti e minacciò di romperle la testa. O per paura delle minaccie o per vendicarsi dello offese, la governante se ne andò all’improvviso, prima del giorno fissato.

Costantina s’incaricò di accompagnare Salvador a scuola, e si aggirò tutto il giorno nello strade attorno a via Sallustiana con la speranza d’incontrar la mulatta; ma la donna era [p. 82 modifica]sparita e non si seppe più nulla di lei. Bisognava pensare alle faccende più urgenti. Lo zio Asquer brontolava accorgendosi che qualcosa di spiacevole succedeva intorno a lui. Fremente, con gli occhi torvi scintillanti, Costantina lo aiutò ad alzarsi, lo lavò, lo vestì, e dopo averlo adagiato sulla poltrona gli fece un inchino, coi pugni sui fianchi.

— A quanto pare vostè non può fare a meno di me! Costantina mala, Costantina stupida, e intanto non si può andar avanti senza Costantina. E se io scappo, come si fa, vostè, dica, per piacere?

— C’è Lia, — egli rispose infantilmente.

Ella replicò gli inchini, facendo cenni di saluto con la testa.

— C’è Lia, vero? Sì, c’è Lia! Vostè so l’ha fatta venir qui per riserva, sì; ma crede lei che signoricca sia un pezzo di sughero? E di carne o d’ossa, anche lei, ed è giovane, ed è bella, e ha il diritto di fare quello che fanno lo altre. Quanto vuol scommettere vostè, che scappa anche signoricca? Qui non si può più vivere.

Il vecchio non sopportava queste scene; cominciò a battere il bastone per terra, e il suo viso si contrasse tutto da un lato, dolorosamente.

— Se essa sca.... f.... f.... scappa, — gridò con angoscia e con rabbia, — la colpa sarà tua!... E, e.... io....

— La colpa sarà mia? — ella disse ridendo [p. 83 modifica]con inconscia crudeltà. Ma il vecchio proseguì, tragico e minaccioso:

— Io mi accorgo di tutto, sai! Vedo tutto: so tutto quello che fate. Vi siete incontrate bene, le due capre selvatiche. Vi siete messe in mente di farmi morire prima del tempo; ma una cosa ti dico, Costantina. Tu credi ai morti. Ti tormenterà il mio fantasma.

Ella credeva ai morti. Cadde in ginocchio davanti al padrone e gli baciò la mano.

— Mi perdoni, padrone mio! Sono fuori di me dalla rabbia. La mulatta, quel cane nero rabbioso, è fuggita senza neanche dire addio al bambino.... E quelle son le serve fini, pagate come maestre: e quelle son le donne di fiducia! Ma Costantina non appartiene a questa genìa. Io non lascerò il mio padrone, no, a costo di crepare. Ma anche vostè sia buono. Perchè non vuole che signoricca si sposi? Quando si tratta di simili faccende non bisogna aspettare perchè non si sa mai quello che può succedere.... Signoricca è brava, è buona, ma vostè non le vuol bene, lei non vuol bene a nessuno.

Il vecchio, già calmatosi, brontolò:

— Perchè nessuno mi vuol bene....

Faula!!1. Se non lo volessimo bene non staremmo qui, ai suoi ordini. Signoricca si consuma in silenzio, piuttosto che darle dispiacere, ma vostè è cieco e sordo. [p. 84 modifica]

Con meraviglia ella vide che il padrone non solo non s’inquietava oltre, ma chinava la testa, come colpito, dai rimproveri e dalle osservazioni di lei. Finalmente mormorò:

— Anche la madre di Lia ha voluto sposare un uomo che non amava: poi s’è pentita, ma era tardi. Lia non può amare quell’uomo....

Faula! — ripetè la serva. — Signoricca è innamorata.

— Va a chiamarla!

Quando Lia entrò, fermandosi davanti a lui come in attesa di ordini più che di parole amorevoli, egli sollevò il viso e i suoi occhi smorti ripresero per un momento la loro antica vivacità. Ella era più bella del solito: un attillato vestito di flanellina rossa e una catenella d’oro al collo bastavano per renderla elegante e dar risalto alla sua grazia orientale: lo zio parve guardarla con meraviglia e accorgersi solo allora del cambiamento di lei.

— Te l’ha regalata lui? — domandò, accennando alla catenella.

E subito, mentre Lia toccava il piccolo dono e arrossiva, egli tornò a curvare la testa e disse:

— Perchè, Lia, mancate di confidenza? Mi considerate già come morto?

— Zio, zio! — ella gridò con impeto, ma tosto si dominò, e aggiunse: — voi non volete.... voi avete respinto la domanda....

— Che domanda? [p. 85 modifica]

— Non ricordate, zio? — ella disse, sorpresa.

— Quel giorno che.... vi sentiste male?... Volete che egli ripeta la domanda?

— Eh, c’è bisogno? Non fate già quello che vi pare e piace?

Ella s’irrigidì: avrebbe voluto parlargli con dolcezza, ma non poteva.

— Zio, — disse, fredda e sincera, — vi domando perdono: sì, è vero, ci siamo fidanzati. Egli è buono e mi vuol bene: che devo aspettare, che devo pretendere di più?

— Pensa bene a quello che fai, Lia! — egli riprese, a testa bassa, come parlando al suo bastone. — Sei certa di amarlo? Potresti pentirti, dopo, pensaci bene.

— Io lo amo, zio! Lo amerò sempre.

— E suo figlio?

— Sarà mio figlio.

Egli sollevò gli occhi e scosse la testa; solo dopo un lungo silenzio disse:

— Forse era meglio che tu non fossi venuta a Roma.

— No, no, zio! Laggiù sarei morta!

— Si muore anche qui! tutto finisce.

Battè il bastone sul pavimento, abbassò le palpebre e non parlò più: e a Lia parve che col suo stesso aspetto egli volesse dimostrarlo la realtà delle sue parole.

— Si muore sì.... ma.... dopo aver vissuto.... — ella mormorò, e avrebbe dato un anno di vita [p. 86 modifica]per poterlo confortare, chiedergli perdono e con una carezza fargli dimenticare ch’egli era già morto, mentr’ella cominciava appena allora a vivere; ma non poteva, cme se un cristallo infrangibile le impedisse di aver contatto con lui. Uscì, rientrò, per tutto il giorno fu inquieta e triste. Finalmente verso sera, mentr’ella andava su e giù per la camera riordinando alcuni oggetti, lo zio Asquer all’improvviso le domandò con dispetto:

— E dunque.... si può almeno sapere quando vi sposate?

— Niente è deciso, zio!

— Giacchè dovete farlo, fatelo subito; non aspettate la mia morte.

Ella uscì nel corridoio e si mise a piangere di rabbia e di dolore: egli la seguì con gli occhi, senza sollevare la testa, mentre un tremito gli torceva la bocca; poi riprese a battere ostinanatamente il bastone sul pavimento e quel picchiettìo eguale, quasi ritmico, parve calmarlo.

*

Justo e Lia si sposarono verso la fine di aprile. Accompagnati solo da due corrispondenti di giornali esteri si recarono a piedi alla chiesa di San Bernardo e di lì presero una carrozza e andarono in Campidoglio.

Era una mattina dolce, velata; Lia, mentre [p. 87 modifica]la carrozza attraversava le vie e le piazze inondate di una luminosità argentea, si guardava attorno con curiosità, sentiva l’odore delle gaggie e delle rose, e ricordava il giorno del suo arrivo. Roma le era ancora sconosciuta, e così il mondo e la vita. I due testimoni e lo sposo parlavano inglese e spagnuolo; ed ella, che capiva solo qualche parola di quest’ultima lingua, si sentiva, anche in quel giorno, lontana da tutti, abbandonata a sè stessa. Per confortarsi pensava a Salvador sembrandole di vederlo, saltellante e gorgheggiante nella casa del moribondo zio Asquer, come un uccellino in un cimitero. Il bambino infatti dava molto da fare a Costantina mentre questa preparava la colazione: appunto come gli uccelli egli provava una speciale ripugnanza a posare i piedi per terra; le sedie, i divani, i tavolini e i cardini degli usci erano i suoi punti d’appoggio preferiti. Per farlo star quieto Costantina lo incaricò di sgranare i piselli, e per qualche momento regnò una pace profonda, quasi inquietante.

— Salvador, cuoricino mio, che fai?

Egli taceva: ella andò a vedere e trovò un mucchio di buccie e nel grembiale turchino del bimbo solo due o tre granellini di piselli....

— Ah, — gridò disperata, — meglio aver a che fare con le bestie feroci che con bambini della tua età!

Meno male che il padrone, quella mattina, se [p. 88 modifica]ne stava quieto in camera, a testa bassa, con lo mani appoggiate al bastone. Ogni tanto Costantina correva da lui, chiudendo l’uscio del corridoio perchè i trilli di Salvador non arrivassero fin laggiù.

Una forte scampanellata la fece trasalire, mentre appunto mandava indietro il bambino che voleva introdursi nella camera del malato. Già gli sposi di ritorno? Aprì e una macchia rossa, un forte profumo di rose la colpirono.

— Manda la signora Bianchi, — disse un giovine cameriere vestito come un damerino. Salvador gli sorrise e Costantina dovette spalancare intera la porta, tanto il cestino delle rose era grande.

— Son vere? — ella domandò a Salvador che già odorava e toccava le belle rose di velluto rosso più grandi del suo viso. Alcune pendevano fuor del cestino e parevano curvate dal peso stesso dei loro grandi petali carnosi come labbra.

Costantina le portò in camera del padrone, spingendo l’uscio col piede: all’urto il vecchio si scosse; sollevò gli occhi smorti e all’improvviso, come riflettendo la porpora delle rose, il suo viso si colorì e persino il bianco dei suoi occhi si venò di sangue.

— Le manda una signora ricca, la signora Bianchi....

— È amica nostra, — disse Salvador con orgoglio, senza però avanzare dall’uscio. [p. 89 modifica]

— Le lascio qui?

Il vecchio non rispose, come còlto da uno stupore profondo: per paura che Salvador entrasse, Costantina si affrettò a deporre il cestino sul tavolo accanto al padrone e corse via trascinandosi addietro il bambino.

— Da noi, in Sardegna, — cominciò a raccontargli per distrarlo, — sì, da noi si mandano mazzolini di fiori, agli sposi, ma sai come? Per tappo a belle bottiglie di vino forte. Se si mandassero fiori soli, così, per quanto belli, la gente riderebbe: e che in uno sposalizio si mangiano fiori?

Lo zio Asquer intanto fissava le rose, e come destati dal loro profumo quasi irritante, ricordi e fantasmi sorgevano intorno a lui. Una figura di donna, alta e bruna come Lia e vestita come lei nei primi giorni dopo il suo arrivo, entrava lieve nella camera bianca e triste, si curvava a scegliere una rosa e gliela porgeva.

Vera immagine di un cuore di donna, dalle cento foglie piegate e ripiegate, dai cento angoli misteriosi, rossa di tutti gli ardori, bruna di tutte le ombre, coperta di rugiada e di polvere, pronta a macchiarsi, a sfogliarsi, a mutar il profumo in cattivo odore, e inaridirsi e imputridire, la rosa vellutata, aveva sempre destato nello zio Asquer un fascino doloroso. La figura dell’unica donna da lui amata sorgeva dalla rosa, come la fata della leggenda, e il ricordo lo [p. 90 modifica]colmava ancora di tenerezza e di umiliazione. Egli era stato amato e rifiutato: la donna aveva tradito un altro per lui e lui per quell’altro: e nello stesso modo s’era comportata verso di lui un’altra amante che egli aveva adorato con tutte le sue forze, senza mai riuscire ad ottenerne i favori: la vita.

Ed ora anche Lia lo abbandonava, anche lei senza aver mai capito di quale amore egli fosse capace, e per un uomo che ella non amava. Sì, come quell’altra; e per una raffinata ironia del caso ecco le rose fatali riapparivano, grandi, moltiplicate, tutte unite lì davanti a lui con le loro pieghe, le loro ombre, le loro labbra fredde e crudeli.

I suoi occhi si riempirono di lagrime, e una di queste scivolò lungo la sua guancia e cadde sull’anello della sua mano morta. Bastò questo per richiamarlo dal suo sogno: asciugò l’anello sul tappeto del tavolo e ricominciò a battere il bastone sul pavimento, di qua e di là, fin dove poteva arrivare, come se schiacciasse qualche insetto che gli sfuggiva. Il suo viso esprimeva ironia e ribrezzo: ma dopo alcuni momenti anche questa crisi nervosa passò, e quando Costantina rientrò egli era calmo, di nuovo con la testa bassa e le mani appoggiate al bastone.

— Come tardano! — disse la serva. — Devo lasciarlo qui, questo cestino? Le dà noia?

Egli accennò di lasciarlo: andata via lei [p. 91 modifica]trasse di saccoccia una chiavetta dorata e aprì a stento il cassettino del tavolo, guardandovi dentro a lungo. Era pieno di carte, di lettore, di plichi: egli prese uno di questi, giallo, coperto di grandi sigilli rossi, lo volse, lo pesò con la mano, lo rimise: sollevò poi l’angolo di un’altra busta e ne trasse un involtino di carta velina. Eccola, la rosa morta era lì, coi petali ridotti in cenere rossiccia, il gambo e il calice simili a frammenti di legno corroso: le spine soltanto erano ancora intatte!

Dopo la rosa fu la volta di un foglio azzurrognolo, ingiallito dal tempo, che conservava le traccie delle ostie color di rosa con cui era stato chiuso in forma di busta. Il vecchio lo svolse, piano piano, con la mano non inferma, e rilesse le poche righe scritte con minutissimi caratteri gotici:

«Caro Luigi,

«È inutile e doloroso insistere. La fatalità ci ha rivelato troppo tardi i nostri sentimenti....

«Io mi considero già come legata, all’uomo che ha la mia promessa di fedeltà, e morrei prima di tradirlo. Addio, addio; perdonami; tutto dev’essere finito in questa vita! Forse c’incontreremo in una vita migliore; questa è l’unica speranza che m’incoraggia a vivere.

«Addio per sempre.

«Simona

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Aveva appena finito di leggere quando sentì rientrare gli sposi: Salvador rideva, nascosto dietro un uscio, Costantina gittava alcuni chicchi di frumento sulla sposa, gridando:

— Buona fortuna, buona fortuna!

Egli si affrettò a rimettere il foglio dentro la busta, ma per quanti sforzi facesse non riuscì a chiudere il cassetto. Un fruscio attraversò come un lieve soffio di vento il corridoio, e Lia, vestita di bianco e con un cappello di violette, s’avanzò rapida e si curvò per baciarlo. Ma egli, arrabbiato col suo cassetto, non le badò, ed ella ebbe tempo di vedere il plico giallo coi sigilli rossi: pensò che quello fosse il testamento di lui, e ancora una volta si sentì come respinta da un soffio gelido e si sollevò senz’aver potuto baciarlo.

*

Nel pomeriggio gli sposi e Salvador partirono per Anzio. Fu un viaggio di nozze molto sereno; solo di tanto in tanto Lia s’inquietava perchè il bambino si sporgeva dal finestrino dello scompartimento, e Justo pensava allo zio Asquer che si era mostrato, anche in quel giorno, indifferente e quasi ostile e non aveva badato alle proteste di affetto e alle promesse del suo nuovo nipote.

Ad Anzio andarono ad abitare in una casetta [p. 93 modifica]sul molo. Il luogo era dolce e romantico: un balcone della casetta guardava sul porto verde e quieto come un prato chiuso dalla cornice della riviera violacea disseminata di ville bianche e rosee: dal lato opposto una terrazza si sporgeva sul mare melanconico le cui onde luminose si frangevano contro i blocchi bianchi del molo e più che infuriarsi pareva si divertissero por l’ostacolo che metteva fine al loro monotono andare. Le case nere, con le loro piccole finestre irregolari, i balconi di ferro arrugginiti, la torre che sorgeva allora in principio del molo, davano a quell’angolo di spiaggia un aspetto romantico; Lia si sporse alla terrazza e le parve di essere in un vecchio castello in riva al mare, luogo propizio a un idillio melanconico.

Verso sera mise a letto Salvador, chiacchierando e scherzando come se in vita sua non avesse fatto altro che trattar con bambini, e s’indugiò presso il lettuccio vinta dall’arcano timore di trovarsi poi sola con suo marito.

Suo marito! Ella non poteva convincersi ancora di non esser più sola davanti alla vita.

Salvador chiacchierava addormentandosi, e i suoi occhi si spegnevano come stelle al tramonto mentre il suo visino delicato, le sue manine brune, tutto il suo corpicino agile e liscio aveva alcunchè di molle e di tenero, come un fiore che comincia ad appassirsi.

Justo andava dal lettuccio al balcone, e [p. 94 modifica]quando la sua figura si disegnava nera sullo sfondo glauco, nel vano della finestra, Lia sollevava gli occhi e lo guardava con inquietudine. A che pensava egli? Non ricordava, un’altra sera lontana, un’altra donna amata? Quando Salvador chiuse gli occhi, ella s’avvicinò in punta di piedi al balcone, quasi paurosa d’interrompere i sogni di suo marito: egli la prese per la vita, ma continuò a fissare i lumi che si accendevano qua o là e si riflettevano nell’acqua verdognola del porto, tra la rete degli alberi dei velieri e l’ombra delle paranze. Figure nere sorgevano sull’orlo chiaro della banchina, come disegnate sullo specchio dall’acqua: una fisarmonica suonava in lontananza, con un motivo monotono e nostalgico che ricordava a Lia il suo paesetto, la sua brughiera; le stelle apparivano ad una ad una sul ciclo verde sempre più chiare e numerose come se la terra si avvicinasse lentamente a loro nell’infinito.

E Lia ricordava il palmizio, le notti della landa, il cielo sardo, il silenzio del paesaggio pieno di grandiosa desolazione. Tutti i suoi sogni s’erano avverati. Ella era davanti a uno dei più bei paesaggi del mondo; aveva uno sposo, una famiglia. Ma un crepuscolo strano, fatto di luminosità e di ombre, simile a quello che regnava sul mare, le velava l’anima. Ella era certa che il pensiero di Justo, in quel momento, non le apparteneva intero. Egli pensava certamente [p. 95 modifica]al passato, a un’altra donna: e anche fra le braccia di lui ella sentiva un senso di abbandono, e anelava, a qualcosa di ignoto come quando, fanciulla, sognava nel crepuscolo della brughiera.

VI.

Giorni quieti e deliziosi passarono.

I due sposi si amavano senza eccessiva passione, e Lia non si faceva illusioni su Justo, il quale d’altronde si mostrava qual era, un uomo cioè non più giovane, un po’ esaurito cerebralmente e fisicamente, ma bonario, calmo, lavoratore: il vero capo di famiglia.

Una cornice di poesia rallegrava la loro modesta luna di miele, e Salvador distraeva Lia dallo sue prime impressioni di sposa, dandole con le sue carezze, le sue moine e le sue monellerie un senso di freschezza, di giocondità e talvolta anche di sorpresa.

Ella vedeva nel bimbo tutto un mondo nuovo: le astuzie, le bugie, e nel medesimo tempo la logica e le pretese morali di Salvador la interessavano quasi quanto i discorsi di Justo. E lo amava come una vera madre, cioè anche fisicamente, e tutte le supreme bellezze di quel piccolo corpo nuovo, lo splendore degli occhi, dei dentini, della pelle purissima, il profumo dell’alito che sapeva di latte e di [p. 96 modifica]vainiglia, la grazia del sorriso e del pianto, tutto le dava un senso di gioia e pareva volesse ricompensarla di quanto mancava allo sposo già un poco appassito. Salvador li accompagnava nelle loro passeggiate lungo la spiaggia o sui rialzi erbosi coperti di fiori: e rideva con le onde e il suo grido si confondeva con quello delle allodole: era come uno spirito di gioia che rendeva più bello e più vivo il paesaggio, e rianimava e riallacciava gli sposi quando la noia di quei giorni insolitamente oziosi cominciava a distrarli e a dividerli.

Un giorno, mentre scendevano alla spiaggia, il postino consegnò a Justo una lettera col bollo di Roma. Era di Costantina, che dava cattivo notizie del padrone. «Dopo la partenza di signoricca egli è molto abbattuto; non parla più e sta sempre a testa bassa. Sarebbe forse bene che signoricca venisse a vederlo; poi potrà tornarsene ad Anzio».

— Devo andare? — domandò Lia inquieta.

— Torneremo tutti assieme.

Lia lesse e rilesse la lettera, diventò pensierosa, ma non parlò più finchè non arrivarono agli scogli sotto le grotte di Nerone. Era una sera luminosa; dalle colline arrivava il profumo della nepitella, e il mare d’oro o di viola era così calmo che rifletteva nitidamente le paranze simili a grandi fenicotteri argentei con un’ala in aria e l’altra immersa nell’acqua.

  1. Bugia.