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Nel deserto/Parte III/Capitolo II

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Capitolo II

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II.

La casina delle glicine, quieti come un nido nel suo cerchio di verde e di azzurro, fu ad un tratto animata dalle grida dei due fratellini.

Salvador correva di qua e di là, attraverso le camere illuminate da una luce glauca e piene d’un forte odore di canfora e di bosco, e tirava Lia per la mano gridando:

— Ma guarda come è bellino! Ma sai che è bello, qui? Altro che la stamberga dagli altri anni!

Nino seguiva: e si guardava attorno e guardava Salvador con ammirazione, ripetendone le parole:

— Ma guarda come è bellino! Ma sai che è bello, qui!

A,un tratto si fermò in mezzo alla terrazza, dalla quale il mare appariva, fra l’azzurro del cielo e il verde della brughiera, come una immensa mezzaluna d’argento, e aprì la bocca, spalancò gli occhi e non parlò più.

Lo stesso senso di sorpresa provava Lia: ella seguiva i bimbi sorridendo con un sorriso vago e misterioso di sonnambula, e pensava:

— Egli mi ama ed io lo amo! [p. 266 modifica]

— L’atmosfera, intorno a lei, era vaporosa e molle; e tutte le cose assumevano aspetti nuovi e fantastici, ed esalavano profumi; le strade erano piane e facili, l’orizzonte pieno di splendore.

Ella aveva ripreso il suo passo elastico; si sentiva lieve, felice: la stanchezza, la tristezza, l’insonnia erano sparite. Eppure in quelle ultime settimane s’era dimagrita, come consumata da un male nascosto; e passando davanti allo specchio Luigi XV del salotto verde della casina, si fermò a guardarsi con sorpresa.

Le parve di esser brutta: il viso, forse per effetto del cristallo appannato e incrinato, era livido e scarno; i capelli aridi.

— Come posso piacergli? — si domandò meravigliata.

Ma subito ricordò che il loro amore non si basava sulle miserie materiali: ella avrebbe amato Piero brutto e anche deforme: e Piero l’amava com’ella appariva, umile e oscura.

Ed ella sognava ancora come una adolescente; un amore casto, senza baci, dedicato a un essere ideale più che ad un uomo vivo; era sicura di sè, e oramai era anche sicura di lui.

— Il signorino non viene? — domandò la guardiana, raggiungendola sulla terrazza.

— Verrà qualche volta, alla festa.

— È tanto buono e gentile. Quando venne, l’altra domenica, abbiamo chiacchierato tanto: ha capito subito ch’io son poveretta ma di buona [p. 267 modifica]famiglia. È poi anche un bel ragazzo, il signorino: ha gli occhi che sorridon come due stelle....

Piccola come una bambina, stretta in un busto dritto e legnoso, la vecchietta volgeva verso Lia la testina vispa, mentre i suoi occhietti scuri, in mezzo alle ciocche dei capelli grigi scarmigliati e spioventi sul viso e sul collo nero e ritorto come una corda, ammiccavano corno quelli del portiere giù alla stazione di Roma.

Lia però non aveva nulla da nascondere nè da confidare. Se il suo amico era premuroso e pieno di cure per lei e per i bambini, che male c’era?

— Sì, è molto buono, — disse con semplicità.

E non si offese quando la vecchietta la condusse nella camera matrimoniale della casino, dicendole:

Qui a destra c’è una camera con due lettini, per i bimbi; a sinistra c’è la camera per il signorino, quando verrà; tutte e tre comunicano fra di loro....

Mentre Lia l’aiutava a preparare i letti, ella raccontò una lunga storia, di cinque fratelli tutti preti, ma dei quali il più giovane era scappato dal Seminario di Corneto, pochi giorni prima di prendere gli ordini, e aveva tradito Dio per l’amore d’una donna.

La donna era lei, la vecchietta, i cui piccoli occhi brillavano ancora al ricordo delle [p. 268 modifica]avventure di gioventù. Essa era di buona famiglia; ma suo padre l’aveva diseredata dopo la sua fuga con un uomo destinato al Signore: e anche lo sposo era stato rinnegato dai suoi fratelli.

— Siamo vissuti lavorando e amandoci, signora mia. Ciuquant’anni siamo stati assieme, poveri ma felici. Se ne togli l’amore, dal mondo, che ne rimane, signora mia?

— È vero, è vero! — disse Lia.

Aggiustate le camere scesero in giardino.

Attraverso gli alberi il mare appariva d’un azzurro argenteo, immobile ed alto come una montagna: le cicale riempivano con un fruscio d’acqua cadente il silenzio del luogo, interrotto soltanto, a intervalli, dal respiro del vento marino. Le cime degli alberi si curvarono, un momento, quasi salutando l’arrivo dei bimbi e di Lia: l’aria si riempì di sussurri e di punti bianchi. Erano i colombi, che disturbati volavano dal giardino al tetto. Poi tutto fu di nuovo silenzio, e nell’aria rimase l’odore caldo e voluttuoso degli oleandri.

La guardiana pregò Lia di visitare la sua casetta, di cui Salvador e Nino avevano già frugato ogni angolo. Cucina, camera da letto, da pranzo e da lavoro, l’unica stanza della guardiana era rallegrata dallo sfondo di una finestra circondata di gelsomini; i fiori tremolavano come stelle bianche sull’azzurro lontano del mare. Ghirlande di gerani secchi decoravano le [p. 269 modifica]pareti: e dentro ogni buco, nei bicchieri, nelle bottiglie e persino entro un imbuto capovolto stavano mazzetti di semprevivi dorati. Lia si guardava attorno con sorpresa. La vecchietta aveva un gusto di artista primitivo, un senso atavico della bellezza e della poesia. Un vecchio libro scucito stava sul canterano di legno rossiccio. Era la «Vita di San Gabriele», e la vecchietta lo offrì subito alla visitatrice, segnandogliene gli episodi più commoventi. Nastrini gialli segnavan qua e là le pagine ch’ella svolgeva e baciava.

— Sapete leggere? — domandò Lia, respingendo il libro. — Me lo darete poi.

— Sapeva leggere mio marito, io no. Ma questo libro non occorre leggerlo: è miracoloso, e se prendete le febbri di malaria, Dio ne scampi, o vi fanno una fattura, ditelo a me, ve lo presterò.

— Grazie tante!

Nel pomeriggio scesero alla spiaggia. La padrona della casetta dove avevano abitato gli altri anni salutò Lia dalla finestra e le domandò quando si sposava.

— Con chi?

— Col signorino che venne qui l’altra domenica.

Salvador s'era voltato ad ascoltare; un’ombra passò nei suoi occhi intenti, e fu con un certo disprezzo ch’egli disse: [p. 270 modifica]

— Mamma, sai, col signor Piero!

Allora Nino afferrò la mano della mamma, e disse anche lui serio:

— Avevi detto che ti sposavi con me!

— Sì, sì, tesoro, con te!

Eppure, non sapeva perchè, le parole della donna non le erano dispiaciute. Dunque la gente indovinava il loro amore? Ebbene, che indovini pure: è un amore che non ha ragione di nascondersi.

Seduta sulle alghe, mentre intorno la sabbia vergine si copriva dello orme di quattro piccoli piedi nudi, ella rifletteva negli occhi la luminosità del mare, ripensando a quegli ultimi quindici giorni passati come un sogno.

Si rivedeva seduta, sul divano del salottino di Piero, e sentiva le mani di lui, lunghe e rasate, stringer la sua con una stretta fraterna. Egli parlava, con la sua voce calda e vibrante, talvolta anche un po’ modulata, e le sue parole erano buone e semplici: parole di un amico che si confida all’amica. Le nuvole del passato svanivano: il presente appariva chiaro e sereno, e più sereno ancora s’annunziava l’avvenire. Amarsi così, sempre così, come due buoni sposi che il tempo e il desiderio appagato hanno reso casti e tranquilli: ella viveva dunque di questa illusione.

Turchino in fondo, sotto l’arco del cielo lilla, verde più in qua, poi violaceo e tigrato d’oro, [p. 271 modifica]il mare si calmava al tramonto, e solo alcune onde si ostinavano a sbattersi contro i banchi di sabbia; ma tornavano subito indietro, e incontrandosi con le altre in arrivo pareva lottassero per convincerle che era inutile avanzarsi. Ma le onde in arrivo le scavalcavano e toccata la sabbia fuggivano a loro volta, convinte che non si poteva andare più in là.

— Anche noi non andremo più in là, non è possibile, — pensava Lia.

Furono i giorni più deliziosi della sua vita, un’oasi nel deserto, circondata di miraggi. Il tempo era ancora primaverile; le macchie fiorite della ginestra profumavano la brughiera, gialle, in mezzo alle distese del mirto fiorito, come fuochi in un campo coperto di nevischio.

Illusione anche questa? Lia trovava bellissimo il paesaggio che le era parso arido e melanconico. Nuvole ondeggianti come veli color di viola gettavano la loro ombra sopra le colline; e verso sera il cielo era tutto rosso e il mare tutto d’oro. Salvador e Nino, quando non stavano sulla spiaggia con la mamma, s’attaccavano alla guardiana, fonte inesauribile di fiabe e di canzonette: seduti sullo scalino della porta con lo braccia sulle ginocchia della vecchia, il viso intento, sollevato verso il visetto mobile di lei, parevano due fiorellini sospesi a un ramo appassito.

Qualche pescatore, terreo e lucido come il rame, attraversava a piedi nudi il sentiero davanti [p. 272 modifica]alla casina, e vedendo Lia e la vecchia deponeva per terra il suo cestino pieno di murene grigie e nere e di scrofani rossastri. Un vecchio ortolano ancora arzillo, col viso come ricoperto da una maschera di crespo rossiccio, gli occhi verdastri scintillanti di vita e di malizia, attraversava spesso il sentiero, con un fazzoletto colmo di erbaggi attaccato ad un bastone. Anche lui si fermava: la vecchia gli sorrideva, lo invitava ad avvicinarsi e guardava dentro il fazzoletto, prendendo un pugno di ciliegie e offrendole ai bambini. Essi guardavano la mamma, guardavano l’ortolano ed esitavano. Ma il vecchio diceva:

— Prendi, prendi! — e la mamma accennava di sì, e Salvador si metteva le ciliegie alle orecchie, e Nino lo imitava, e il cane leccava la mano a tutti.

Di notte Lia, dopo aver messo a letto i bambini, usciva sulla terrazza e s’abbandonava tutta al suo sogno. Le notti eran dolci, profumate. Sotto la piccola falce d’oro della luna nuova il mare appariva, visto dalla terrazza, come una immensa falce di metallo opaco, qua e là scintillante di lumi e di riflessi.

Appoggiata alla balaustrata Lia fissava gli occhi in alto e l’Orsa e le altre costellazioni le sembravano gioielli appartenenti a lei sola; guardava il mare e le pareva il confine del mondo; guardava la collina e la brughiera; e le strade che [p. 273 modifica]le attraversavano, bianche nella notte crepuscolare, le davan l’idea di croci che qualcuno avesse segnato sopra la terra fiorita per ricordare ai sognatori, ai felici, che esiste ancora il dolore.

Così ella sognava ma non dimenticava. La sua ebbrezza era lucida, cosciente. Ella si abbandonava alla gioia di amare, e sentiva che questo era non solo il suo primo, ma anche il suo ultimo amore; ma non dimenticava chi era, e non voleva peccare.

Verso la fine della settimana il tempo mutò. Lia sperava che Piero arrivasse il sabato: ma quando vide il cielo coprirsi di nuvole, pensò che egli forse avrebbe rimandato la sua gita, e all’improvviso si sentì triste.

Ma verso il tramonto, mentr’era affaccendata in cucina, sentì Nino gridare dal sentiero:

— Eccolo, eccolo, viene! Ha la valigia!

E per la prima volta ebbe vergogna di venir sorpresa in cucina dal suo amico, e corse in camera per cambiarsi il vestito. Dunque voleva piacergli più del solito: si accorse di questo suo desiderio, mentre si slacciava turbata il grembiale, e si allarmò, ma non smise di cambiarsi.

Quando scese vide dall’uscio, intorno al tavolo, nella luce verdognola della saletta, i fanciulli intenti, la guardiana non meno curiosa di loro e Piero che apriva la valigetta colma di frutta e di dolci.

Egli era vestito di bianco, con un bel panama [p. 274 modifica]dal nastro nero e rosso, sollevato sui capelli lucenti: e Lia ebbe l’impressione che anch’egli si fosse fatto bello per piacerle.

Ella entrò in punta di piedi. Si guardarono, al di sopra delle testine dei bimbi, ed entrambi sentirono un fremito. Come nelle loro persone, qualcosa era mutato nelle loro anime. Eppure si salutarono senza calore, e Lia domandò, curvandosi sul tavolo:

— Che ha portato di bello?

E distribuì parcamente un po’ di frutta, scegliendo quelle che cominciavano a guastarsi; ripose il resto nella credenza, e volgendosi, prima di chiudere, domandò:

— Che cosa posso offrirle, Piero?

Egli la fissava con uno sguardo languido e avido; ella dovette chinare gli occhi, e quando gli versò da bere la sua mano tremava.

Il pranzo fu servito dalla vecchietta, che s’era anche lei vestita di chiaro, aveva ficcato un pettinino giallo nel nodo dei suoi capelli simile ad una lumaca e faceva la graziosa come una fanciulla. L’ora trascorse felice: sembravano tutti bambini, e l’innocenza dei loro discorsi incoerenti era solo turbata da qualche allusione maliziosa che Piero rivolgeva alla vecchia, e dall’inquietudine di Lia che ogni tanto esclamava:

— Vedrete che tempesta, fra poco!

Per scrutare il tempo salirono sulla terrazza.

Il rombo del tuono pareva salisse dalla [p. 275 modifica]profondità del mare, nuvole simili a enormi teste scapigliate s’affacciavano all’orizzonte e attraverso i loro vapori s’intravedevano fiamme, ruote luminose e mostri di fuoco le cui lingue d’oro lambivano il cielo ed il mare. Ma l’ovest rimaneva sereno, giallo e verde come una radura lontana; l’odore del mirto e della ginestra arrivava col vento.

L’allegria dei bimbi e dei grandi era sparita: tutti tacevano, davanti alla balaustrata, come affascinati dallo spettacolo della tempesta lontana. L’aria diventava umida.

— Ritiriamoci, — disse Lia. — È ora d’andare a letto!

I bimbi protestarono; ma ella prese Nino per mano e lo condusse, riluttante, in camera. Anche Salvador dovette ubbidire, ma entrambi si misero a piangere e ad invocare almeno la presenza del signor Piero. Il signor Piero entrò e si curvò sui lettini, mentre Lia, per calmarli, distribuiva un ultimo dolce. Essi piangevano e le loro lagrime cadevano sul guanciale con le briciole del pasticcino; e Lia ricordava la prima sera del suo matrimonio, ad Anzio, Justo curvo sul lettuccio di Salvador, e si sentiva inquieta.

— Lei dormirà giù, — disse a Piero, quando i bimbi tacquero. — Se vuole uscire questa è la chiave.

— Ma io non esco! Dove vuole che vada con questo tempo? [p. 276 modifica]

Ritornò sulla terrazza, e Lia, quando i bambini si assopirono, andò a raggiungerlo.

— Erano inquieti, stasera, — disse sottovoce. — È questo tempo che rende nervosi....

Egli le prese una mano e non rispose. Appoggiati alla balaustrata, stettero alcuni momenti in silenzio; ma ella sentiva la mano calda ed umida di lui pulsare sempre più forte e aveva paura.

Il vento s’era calmato e la luna appariva tra le nuvole nere, ora come un occhio verdastro cerchiato di occhiaie livide, ora come una fiammella fra cirri di fumo. Gli alberi, immobili sul cielo nero e verdognolo, parevan sospesi sull’orizzonte, e i piccioni bianchi, sul pergolato, erano i soli punti distinti nell’incertezza delle cose intorno.

Questo mistero di cose, questo barlume equivoco, Lia lo sentiva anche dentro di sè. La gioia dei giorni scorsi era sparita per lasciar luogo a un’angoscia indefinita.

— Che farà, domani, tutto il giorno, con questo brutto tempo? — disse, per liberarsi dall’incantesimo.

Ma egli la prese per la vita, l’attirò a sè.

— Perchè parli così? Non sono venuto per te? Mi pareva di soffocare, tutti questi giorni, mi mancava l’aria. E tu, vuol dire, non hai pensato a me?

Ella cercava di scostarsi; ma all’improvviso [p. 277 modifica]sentì come un velo appannarle gli occhi e le labbra molli e calde di lui cercare le sue.

Allora si divincolò con violenza, pure fremendo di passione, e corse attraverso la terrazza per rifugiarsi nella sua camera. Egli la raggiunse e la fermò.

— Perdonami.... Mi perdoni, Lia; sono fuori di me.

— Se ne vada! — ella impose.

— Sì, sì, cara; tutto quello che vuole.... purchè mi perdoni.

Com’era umile, infantile! Perchè non accordargli il perdono chiesto con tanta tenerezza?

Ella dunque perdonò e si chiuse nella sua camera: ma passò una notte febbrile, e l’orgoglio d’aver vinto il cieco impulso dei sensi non bastava, intanto, a toglierle dalle labbra il sapore delle labbra di lui. A momenti si sentiva perduta: allora l’idea di fuggire la tormentava e la confortava già.

Quando scese al pian terreno trovò la porta aperta. Piero era già uscito ed ella sperò e temette che se ne fosse andato. Ma dopo qualche ora egli rientrò, con un mazzo di fiori campestri e due libellule argentee.

Lia prese i fiori e gli diede il caffè, ed evitò di guardarlo.

Egli ripartì più tardi, dopo averle domandato se doveva ritornare.

— Come vuole, — ella rispose in presenza dei [p. 278 modifica]bambini; ma quando egli fu partito si guardò attorno smarrita. Il veleno dei desiderio serpeggiava oramai nel suo sangue, e tutto, il luogo, il tempo, la lontananza e la stessa docilità di lui contribuivano ad aumentare la sua passione.

Il sabato, non vedendolo arrivare, fu presa da una grande tristezza. Le parve che tutto fosse finito. Il sogno cadeva, spariva come un astro dopo aver compiuto il suo ciclo: e un velo di morte copriva l’anima di Lia.

Avesse almeno scritto! Ma egli non veniva, non scriveva, non sarebbe ritornato più. Tutto era finito.

*

Un giorno arrivò una lettera della zia Gaina.

«Ogni anno, nipote mia, quando torna l’estate, io ti aspetto e prego il Signore che mi dia il conforto di rivederti. Almeno quest’anno potresti deciderti. Qui cominciano le frutta e i ragazzi potrebbero godersela più che nei posti dove li conduci ogni anno. Simone Barca, ritornato da poco dal Continente, dice che là c’è la carestia e che tutto costa caro come nei tempi della guerra. Anche qui, a dire il vero, tutto è rincarato, ma qualche cosa ancora si trova, e chi lavora non soffre la carestia. Ti prego dunque di venire, se vuoi venire, e di non lasciarlo per timore di darmi fastidio. Se ti occorre qualche cosa dimmelo [p. 279 modifica]pure sinceramente, io sarò contenta di aiutarti e intanto ti saluto e bacio i bambini».

Sdraiati sulla sabbia Lia e i bambini leggevano e rileggevano la prosa della vecchia lontana, e guardavano il mare per spiare il passaggio del piroscafo diretto alla Sardegna.

— Rispondi di sì, mamma! — diceva Salvador, sotterrando un piede di Lia nella sabbia.

— Rispondi di sì, mamma! — diceva Nino, sotterrandole l’altro piede.

Lia era pensierosa. Infine ripiegò il foglietto e disse:

— Forse risponderò di sì.

Ma all’improvviso si fece rossa e balzò in piedi. I bimbi guardarono e videro la figura bianca del signor Piero avanzarsi lungo la spiaggia.

— Perchè non avvertirmi? — disse Lia, preoccupata per il pranzo. — Stasera non abbiamo niente!

— Vivremo di poesia, — egli rispose, buttandosi sulla sabbia e appoggiando la testa sul lembo del vestito di lei.

Quando i bambini si furono allontanati, egli riprese un po’ ansante:

— Non mi manda via, vero, no? Non faccia quel viso! Non potevo più vivere senza vederla. Mi guardi!

Lia, seduta sulle alghe, si curvò alquanto e lo guardò. Non sapeva quel che si facesse; era come attirata dal fascino di un abisso; e [p. 280 modifica]quest’abisso, più grande e profondo di quelli del mare, era negli occhi di lui.

— Perchè non vuoi amarmi? — egli disse. — Perchè non vuoi esser mia? Saremo felici, e tu non hai dritto a rinunziare alla felicità. Qualunque donna, al tuo posto, conoscendomi come tu mi conosci, non mi farebbe soffrire così, non si tormenterebbe così.

— Io sono felice! L’amo e mi basta.

— Non è vero! La passione è nei tuoi occhi, Lia: ah, come tu sapresti amare, se volessi! Come saremmo felici.... Lia, Lia.... sii buona, con te, con te, vedi.... Che hai goduto, tu, della vita? Nulla. Lascia che ti ricompensi di tutto. Vedrai! Che importa se il nostro legame è diverso dal solito? È meno forte, per questo? Di che hai paura? Io vivrò per te, vivo già per te! Lia, perchè non mi credi?

Le sue parole e le sue promesse erano dolci come il mormorio delle onde; e tutto intorno era chiaro, dolce, infinito. Il vento di ponente increspava il mare calmo come un lago; a un tratto un piroscafo rosso e bianco apparve piccolo come una barca, sulla linea color malva dell’orizzonte, e lentamente sparì, come affondandosi nelle onde.

Salvador si avvicinò, s’appoggiò alle spalle di Lia e disse:

— Sai dove va quel piroscafo? Al nostro paese. Fra giorni noi saremo là, a guardare, sopra coperta, e tu, di qui, ci farai addio col fazzoletto. [p. 281 modifica]

Piero balzò a sedere e guardò Lia: il suo viso esprimeva stupore e collera.

— È vero? Partite?

Ella accennò di no con la testa, ma Salvador protestò:

— Come, non hai detto poco fa che andremo dalla zia Gaina?

Allora Lia, sotto gli sguardi egualmente interrogativi e diffidenti dell’amico e del fanciullo, non seppe mentire:

— Sì, penso.... desidero di andare a visitare la zia, ma per poco; ancora non sono decisa.... però....

— Voi non partirete! Non voglio! — gridò subito Piero; ma vide Lia arrossire e Salvador fissarlo a sua volta sorpreso e adirato, e si buttò sulla sabbia per frenarsi e non parlò più finchè il fanciullo non si fu di nuovo allontanato.

Ma bastarono quei pochi attimi e lo sguardo di Salvador per richiamar Lia dai suoi sogni.

Ah, il soave amante di pochi istanti prima parlava già come un padrone! Ricordi disgustosi le tornarono in mente: le maldicenze del pittore, l’impressione ch’ella stessa provava nei primi tempi osservando lo sguardo freddo ed egoista del suo taciturno inquilino....

Intanto egli s’era di nuovo sollevato e le ripeteva, con voce che supplicava e ordinava:

— Tu non partirai: non voglio. Adesso no, adesso no.... [p. 282 modifica]

— Adesso o più tardi è la stessa cosa, — ella disse, alzandosi.

Egli però le afferrò il lembo del vestito e non le permise di allontanarsi. Era tornato umile e supplichevole.

— Adesso no, Lia! Ho bisogno di te; se tu mi lasci.... io non so cosa farò... Sarò un uomo perduto.... sarò come quei bambini lì.... se tu li lasciassi soli, qui, davanti al mare.... Che farebbero? Si perderebbero, cadrebbero nel mare.... Così io, Lia, se tu mi lasci adesso....

— Calmatevi, — disse Lia, dandogli finalmente del voi. — Non partirò, ve lo prometto.... basta che anche voi siate buono....

— Tutto, tutto quello che tu vuoi! Ma non lasciarmi....

Al ritorno trovarono la tavola apparecchiata e la vecchietta vestita di bianco e col pettinino giallo nei capelli ravviati. Un cestino di frutta, bottiglie di vini e di liquori, dolci e pasticci preparati con gusto nei vassoi di porcellana, rallegravano la tavola su cui la vecchia aveva anche messo un mazzo di garofani violacei.

— Che ha fatto? — gridò Lia a Piero, quasi offesa per quei doni. — Ah, vede, lei mi mortifica sempre!

Tuttavia il pranzo fu lieto, chiassoso. Si parlò nuovamente dell’ortolano amico della guardiana, di San Gabriele, dei sei fratelli preti.

Un bicchierino di malaga fece ballare e cantare [p. 283 modifica]la vecchietta i cui occhi di lattante fissavano con un’espressione maliziosa e benevola i due bei giovani seduti davanti a quella tavola fiorita che sembrava una mensa di nozze. A un tratto, mentre i due fratellini correvano fuori, verso il ponte, per vedere il treno, ella s’avvicinò a Lia o le prese una mano, e altrettanto fece con Piero, e unì le due mani, fra le sue, dicendo:

— Dio vi benedica!

— Eccoci sposati! — disse Piero, mentre Lia ritirava la sua mano.

Ed entrambi risero, ma con un’ombra di tristezza negli occhi.

*

Egli rimase tre giorni nella casina delle glicine. Il secondo giorno volle fare il bagno, e si aggirò a lungo attorno a Lia nella spiaggia luminosa di sole, alto, pieghevole, col corpo nettamente disegnato dalla maglia nera, mettendo in mostra tutta la sua agilità, la sua bellezza, la sua nudità, come un bel fauno attorno alla ninfa desiderata.

Lia arrossiva e abbassava gli occhi come una fanciulla. Un’atmosfera di ebbrezza li avvolgeva; anche lei, spinta dal solo istinto di piacergli, aveva finalmente deposto gli abiti neri, e indossava una semplice vestaglia bianca che la [p. 284 modifica]rendeva più bruna e più giovane. I bambini la guardavano con curiosità: Nino le toccava la veste, come per assicurarsi che era lei: Salvador le diceva:

— Mi sembri un’altra.

Sì, ella si stentiva un’altra; e sfuggiva gli sguardi del fanciullo, perchè le sembrava che egli le leggesse nell’anima.

Eppure nulla di nuovo accadeva. Piero non la tentava più, non le stringeva neppure la mano: solo, la sera del terzo giorno, la pregò di andare a passeggio con lui attraverso la brughiera, fino al mare.

I bimbi dormivano già.

— La vecchia starà qui fino al nostro ritorno. Dieci minuti soli; andiamo, — egli disse, — vieni.

Sulle prime Lia rifiutò; non lasciava mai soli i bambini. Egli provava una sorda irritazione contro di loro, sembrandogli ch’essi fossero oramai il solo ostacolo che lo divideva da Lia; ma si frenava e pazientava.

Chiamò in aiuto la vecchia.

— Diteglielo voi che venga un momento a passeggio. Andremo solo fino ai piedi della collina: la sera è così bella!

La guardiana spinse Lia verso la porta, e stette a guardare i due giovani, mentre s’allontanavano per il sentiero.

Piero precedeva, Lia seguiva, come cieca, [p. 285 modifica]guardando per terra; ma allo svolto del sentiero egli la prese per la vita e così camminarono in silenzio per un piccolo tratto. All’improvviso Lia si svincolò e sedette sull’orlo del sentiero, vinta da una stanchezza e da un languore ineffabili. Egli sedette presso di lei e le prese la mano. E tacquero entrambi, come ascoltando e aspettando. Il crepuscolo li avvolgeva d’un velo glauco e roseo.

Oltre il prato verde, il mare immobile sembrava un prato azzurro: tutto il paesaggio era verde e cilestrino, e solo al confine della brughiera, attraverso una fila di pioppi già neri, s’intravedeva il cielo rosso.

Il lamento d’una fisarmonica e un fischio che ne ripeteva il motivo monotono e melanconico davano l’illusione che lassù nel boschetto vagasse un gregge, e che un pastore appoggiato al fusto di un pioppo suonasse il suo zufolo.

Tutto il paesaggio era puro, primitivo, adatto al sogno e all’idillio. A un tratto la fisarmonica tacque, e poi anche il fischio, e regnò solo, nella luminosità del crepuscolo che pareva emanata dai prati e dal mare, il zirlio tremulo e argentino dei grilli.

Un’armonia ineffabile si diffuse allora nella natura che si assopiva: il paesaggio, il mare, il cielo, la luce, le voci delle cose, formarono una stessa poesia, dolce, infinita: il sogno. E i due innamorati, come assorbiti anch’essi dalla fusione [p. 286 modifica]divina di tutte le cose, unirono le loro labbra, e si sentirono un essere solo.

La prima a riprendersi fu Lia. Si sentì perduta e un istinto di difesa la spinse ad alzarsi ed a fuggire come dallo studio del pittore. Ma l’uomo la seguiva, questa volta, deciso a non lasciarsela più sfuggire.

Sulle prime egli fu ancora dolce e carezzevole; ma già un fremito di rabbia si univa al suo desiderio troppo fino a quel momento deluso. Raggiunse Lia nel sentiero, la riprese per la vita, le baciò le mani. Le sue parole erano deliranti, come quelle dell’altro.

— Perchè fuggi, Lia? Puoi andare in capo al mondo; ti raggiungerò: sei mia ed io son tuo.

Ella taceva, a capo chino.

— È tempo, cara, è tempo! Quanti giorni perduti! Ma adesso tu non diffidi più di me, vero, Lia? Baciami.

Ma ella si scostava e non potendo di più affrettava il passo, trascinandolo attaccato a lei come un ubbriaco.

— Io ti ho amato fin dalla mattina in cui tu sei entrata da me per domandarmi come stavo. Ricordi? Il bambino s’era sentito male. Poi, ricordi, quando venni qui? Due anni, Lia! È da due anni che trascino il mio tormento. Vederti e non averti! Confessalo, nessun altro uomo sarebbe stato capace di tanto....

Lia affrettava il passo. Vinta dalla dolcezza [p. 287 modifica]dell’ora e della passione, provava tuttavia, in fondo all’anima una tristezza profonda e aveva paura dell’uomo che oramai le camminava a fianco come un nemico pronto a ghermirla. Ah, mille volte meglio l’aperta violenza che quella seduzione di tutti i momenti, la vittoria dell’uomo esperto nelle guerre d’amore.

Ma a misura che si riavvicinavano alla casina, ella si sentiva meno sola, il pericolo s’allontanava e l’istinto della difesa cresceva. Aveva inoltre l’illusione di veder un’ombra saltellare dietro le macchie del sentiero: s’immaginava che Salvador, profittando della sua assenza, si fosse alzato e la seguisse e la spiasse.

Illuso anch’egli sul silenzio di lei, l’uomo la seguiva, prodigandole baci e parole d’amore; ancora pochi istanti e sarebbe stato felice. Perchè dunque non esser gentile, e non scostarsi all’urto lieve di lei, quando furono in vista alla casina e in pericolo quindi di esser veduti?

— La vecchia è là, sulla porta, — mormorò Lia, precedendo.

E sentiva l’uomo seguirla ansante, come il cacciatore dietro la preda....

— La vecchia, come una buona fata, ci ha sposato, lo sai, Lia! Si è accorta ch’era giunta l’ora. Chi adesso potrà più dividerci? Lia? Parla: perchè taci?

— Era così bello vivere così! — ella disse infine, tentando di difendere ancora il suo sogno. [p. 288 modifica]

— Ma perchè? Non siamo liberi d’amarci? Abbiamo già sofferto tanto, Lia! La vita è breve; la nostra felicità non farà male a nessuno. Non sei stanca di soffrire, tu?

Lia diede un piccolo grido soffocato.

— Sì, son stanca! Adesso basta.

— Basta, basta, sì, — egli ripetè; e credette il patto concluso.

Sulla soglia della porta la vecchia s’era addormentata. Lia dovette scuoterla per svegliarla, e pensò:

— Ecco, poteva accadere una disgrazia ai bambini ed io ero così lontana da loro!

Appena furono dentro, nella saletta a vetri, Piero chiuse la porta e riafferrò Lia per attirarla nella sua camera; ma ella pareva pronta a svenire, era livida in viso, coi lineamenti rigidi, le mani fredde e gli occhi pieni di terrore.

— Vado a vedere i bambini; lasciami andare a vederli! — supplicò, come domandando una grazia prima di morire.

Egli la lasciò, ma la seguì fino alla terrazza, dicendole:

— Ti aspetto qui....

Ella entrò e chiuse l’uscio: non vedendola ritornare egli fu preso da un impeto di rabbia. Si torse le mani e picchiò forte all’uscio.

— Lia! Lia! Son qui.

La voce supplichevole e smarrita tornò a farsi udire dietro l’uscio: [p. 289 modifica]

— Vattene, Piero: è inutile, non posso venire....

— Lia! Tu ti prendi gioco di me!

Ma la voce insisteva:

— Per pietà vattene! Non svegliare i bambini: va, Piero, va....

Egli non parlò più; ma a lungo Lia lo sentì andar su e giù per la terrazza, furente d’amore e di rabbia.

*

Quando si alzò, al sorgere del sole, lo trovò ancora sulla terrazza, ma pronto a partire. Le sembrò che egli avesse atteso tutta la notte, lì, al l’aperto; era livido in viso, con gli occhi cerchiati e i baffi spioventi: e si meravigliò di trovarlo brutto.

— Parto, — le disse con voce rauca.

Lia lo fissava in viso, triste ma calma.

— Perdonami!

Ma egli le volse le spalle, e come un ragazzo bizzoso andò ad affacciarsi alla balaustrata.

— Non ho nulla da perdonarti! Lasciami; tu non mi ami!

— Piero, — ella replicò, toccandogli lievemente una spalla — tu non credi a quello che dici....

Egli non rispose, e rimasero entrambi silenziosi, per alcuni istanti, come immersi nella [p. 290 modifica]contemplazione del paesaggio tranquillo. Un velo d’oro copriva le colline e il mare, e fluttuava intorno sugli alberi scintillanti, sulle macchie della brughiera e nell’aria serena. Tutto era pace e silenzio: pareva che persino il mare non dovesse muoversi più.

Solo nel cuore dei due che si amavano continuava la lotta e la tempesta. Lia pensava palpitando:

«Se lo lascio partire adesso non lo rivedrò più.»

Egli diceva a sè stesso:

«Sarà lei che mi verrà dietro, adesso, e mi supplicherà di non lasciarla.»

E all’improvviso si sollevò e la guardò con occhi teneri e minacciosi.

— Tu non mi ami, Lia! Una donna che veramente ama non fa così come tu fai! Non esaspera l’uomo che la ama, e non lo offende chiudendogli l’uscio in faccia!

— Piero! — ella gridò, smarrita.

— Perchè fai così? Dimmelo! E inutile che mi tormenti!

— Non era questo il nostro patto.

— L’amore non ha patti! Io ti amo e non ragiono più: se tu ragioni vuol dire che non ami....

Lia avrebbe voluto dirgli: eppure tu ragioni, in questo momento! ma non volle discutere. Sì, era meglio lasciarlo partire.

— Calmati, Piero. Tu lo sapevi ch’ero una donna così.... fatta all’antica.... Lo sapevi, sì: anzi [p. 291 modifica]dicevi che mi volevi bene per questo.... Dunque non è vero.... Anch’io posso dirti che non mi ami perchè non ti basta il possesso della mia anima....

— Tu ragioni sempre.... — egli ripeteva con crescente rancore.

— Ricordati, Piero.... quando mi parlavi di tua moglie.... Dicevi: ella mi ha reso infelice perchè nell’amore vedeva solo il piacere.... Ricordati.... Tu dicevi che volevi insegnarle il contrario.

Ma il ricordo poco opportuno accrebbe il furore dell’uomo deluso. Afferrò Lia per le braccia e la scosse tutta. Com’eran cattivi i suoi occhi! Non sapeva perchè, ma Lia non riusciva a liberarsi dal ricordo della sua prima avventura.

— Basta, Lia! Non esasperarmi oltre! Lasciami partire, piuttosto che continuare così: mi sono illuso e basta; ma non continuare in una commedia che mi rende ridicolo ai miei stessi occhi....

— Ma perchè ridicolo? Ma tu non ricordi nulla, davvero! Ricordati: dicevi: possibile che esista solo il male?...

— Il male è nel rinunziare alla vita, Lia! Basta, basta, addio. Tu non mi conosci....

— E neppure tu mi conosci!

— No; questo no! Ti conosco bene: sei la diffidenza in persona: e per questo non puoi amare nè abbandonarti alla gioia di vivere. Di me tu hai sempre diffidato, fin dal primo momento che [p. 292 modifica]m’hai conosciuto: e in tutto questo tempo non hai fatto altro che offendermi con la tua ostilità, e attirarmi e respingermi, e prenderti gioco di me, infine. M’hai baciato e m’hai chiuso l’uscio in faccia.... come fossi un malfattore! E così fai con la vita, tu: l’ami, e la sfuggi. Combattere per te, per renderti felice, è inutile e dannoso.... quasi come il combattere e soffrire per.... quell’altra.... Entrambe egoiste....

— Ah, Piero! — gridò Lia, mortalmente offesa. — Questo poi no! Basta, sì, basta; tu non ragioni davvero. Vattene!

— Sì, me ne vado; è meglio: ci rivedremo quando mi amerai in modo diverso.

La lasciò e s’avviò per scendere.

Lia diventò pallida come una moribonda: aprì le labbra per chiamarlo, ma non poté: un tremito la scuoteva tutta.

Finalmente si decise a scendere e lo trovò nella saletta ancora chiusa, con la valigia in mano, pronto ad andarsene. Nell’avvicinarsi, ella vide la sua figura e quella di lui accigliata e fosca, riflesse dall’invetriata verdognola, e le sembrò di veder due fantasmi incontratisi per caso in un luogo pieno di penombra e di tristezza. Addio; tutto era finito davvero: egli se ne andava da una parte, ella se ne sarebbe andata da un’altra: e di nuovo il deserto in mezzo a loro.

Allora sentì cadere il suo rancore, e prese la mano di Piero, e si curvò, come parlando a [p. 293 modifica]quella mano fine e feminea che invano aveva tentato di aprirle il mondo dei sogni.

— Perdonami! Lasciamoci in pace....

— Lasciamoci in pace! — egli ripetè; ma la sua mano era fredda ed inerte.

Lia lo accompagnò fino al sentiero, e lo guardava con occhi pietosi. Dopo tutto egli era buono: se ne andava vinto e umiliato, e l’ultimo sguardo che le rivolse nel lasciarla era ancora supplichevole e pieno di speranza. Ma quando egli si fu allontanato, ella tornò di corsa nella terrazza e seguì con uno sguardo mutato la figura bianca di lui che parve dissolversi nella luce rosea del mattino. Le sembrò che un silenzio infinito, tale che nessun rumore sarebbe più valso a interromperlo, regnasse intorno a lei.

— Perchè ho fatto così? — si domandò.

E non sapeva rispondersi. Per virtù, per paura di soffrire, o, com’egli aveva ben detto, per mancanza d’amore? Non sapeva. Perchè era suo destino.

Ma subito sentì che la sua vera passione cominciava allora. L’uomo era appena sparito ed ella già ne invocava il ritorno con uno spasimo d’attesa disperata. Si buttò per terra e si mise a piangere. Le lagrime lo cadevano sul petto, sulle mani, sul grembo: e le pareva di piangere su sè stessa come sopra un cadavere. [p. 294 modifica]

*

Il grido dei bambini la riscosse. S’alzò e si scosse le vesti come sollevandosi da un luogo polveroso, ed entrò da loro, ma le loro moine e i loro baci non la confortarono. Una torbida marea di passione le gonfiava le vene, le velava gli occhi. Durante la giornata si trascinò di qua e di là, e alla sera, stanca, frustata dai suoi desideri, tornò nella terrazza, ov’egli l’aveva aspettata la notte prima invano, come invano avrebbe atteso lei d’ora in avanti: e come lui, andò su e giù, a lungo, sotto le stelle, nel velo pietoso della notte....

Le sembrava che una vendetta si compiesse in lei: ella aveva giocato a un triste gioco e perdeva: l’amore si vendicava con tutte le sue furie.

— Perchè ho fatto così? — si domandava ancora.

E adesso la risposta veniva, chiara, crudele. Perchè non amava abbastanza: ma fra pochi giorni, fra poche ore forse, al cader di un’altra sera come quella, la grande passione l’avrebbe vinta: ed ella richiamerebbe l’uomo, come già lo richiamava nella sera dolce piena di stelle.... [p. 295 modifica]

*

Ma a un tratto gl’istinti atavici si risvegliarono in lei. Fuggire, nascondersi, come fanno tutti gl’isolani quando un pericolo li minaccia. La casetta fra le rovine, le camere della zia Gaina arredate di vagli e di canestri con la croce contro le tentazioni, le apparivano come un rifugio in un luogo inesplorato.

Ancora incosciente, arsa dalla febbre d’amore, cominciò a rimettersi il vestito nero, e si mise a scrivere alla zia, raccontandole puerilmente le sue inquietudini, come una volta aveva scritto allo zio Asquer.

«Io verrò da voi per qualche tempo, zia Gaina mia; finchè si smorzerà alquanto questo fuoco che mi arde e mi fa diventar pazza.

«Io ho paura di perdermi. Che accadrà di me e dei bambini che non hanno altri all’infuori di me?

«Egli non li ama; li odia, anzi, perchè sono un ostacolo ai suoi desideri. E so io cedo a questi, lo sento, ben presto egli si stancherà anche di me. Che accadrebbe allora? Sarei infelice più di quel che lo sono adesso. Lo so, lo so. Egli diceva di volermi bene come ad una sorella, ed invece mi voleva per amante. Tutti eguali, gli [p. 296 modifica]uomini! O zia mia, se sapeste com’è il mondo! Tutti aggrediscono una povera donna sola, come le fiere, nel deserto, assaliscono il viandante solitario. Io non ho nessuno a cui chieder consiglio, a cui rivolgermi; ed ho paura persino di me stessa, anzi di me stessa più che degli altri, perchè io sono la mia peggiore nemica. Qualunque cosa faccia mi causo del male; se rimango mi perdo, se fuggo mi procuro un’infelicità grande. Perchè io amo quell’uomo come non ho mai amato; sento che questa è la vera, la sola passione della mia vita, e tutto mi spinge a credere che egli sia sincero, che mi ami e sia infelice per causa mia».

Lagrime di pietà o di tenerezza ricominciarono a solcarle il viso arso; ma come la lettera allo zio Asquer, anche questa non partì mai.