Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo VIII/Gentile Giacomo (il giovine)

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Capitolo VIII - Gentile Giacomo (il giovine)

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GENTILE GIACOMO (il giovine).

Primo frutto delle nozze di Carmine Gentile e di Caterina Amicucci di Canzano, fu Giacomo, nato il dì 5 febbrajo del 1717. Sentendosi dalla natura disposto all’arte del dipingere, per dedicarsi ad essa non gli bisognò andare in cerca di maestri: dappoichè suo padre era a quei dì in Castelli uno di coloro, che avean titolo e fama di buoni pittori. Bramosissimo d’imparare, seguì con costante animo gli ammaestramenti di lui: i quali di non poco ajuto gli furono nel malagevole sentiero, in che si era messo con grande zelo ed amore. Dietro siffatto avviamento, rafforzando il suo ingegno con studî e fatiche, giunse assai per tempo ad esser pari al padre nella pittura: anzi in più parti avendolo avanzato, le sue opere furono anche ai suoi dì desiderate, specialmente in Napoli, dove egli stesso si conduceva a spacciarle1. Tutto dedito alla sua arte [p. 71 modifica]amò meglio viver libero, che menar moglie: l’unico divertimento ch’egli prendea, per ristorarsi delle continue fatiche, era la caccia. Così consumò la sua vita non lunga, della quale passò ai 4 febbrajo del 1765.

Questo pittore dipinse paesi e scene campestri, e si dilettò sopra tutto di seguire il genere storico: i suoi dipinti son lodati massimamente per la bella e giudiziosa composizione. Il Bonghi nel descrivere una maiolica, in cui questo artefice ha colorato Mosè salvato dalle onde, dopo averla confrontata col quadro del Pussino rappresentante il medesimo subbietto, fa vedere come il famoso dipintore francese è vinto nella composizione dal nostro Giacomo Gentile. non sarà discaro ai nostri lettori leggere la descrizione di questa leggiadra maiolica con le stesse parole dell’autore.

«Parole non bastano a significar la bellezza di un’altro stupendo lavoro del Gentile, condotto sur un ovale di un parlmo e mezzo di larghezza, il Mosè salvato dalle onde.

Son quattro figure di donne, ed un bambino in un cesto galleggiante sul Nilo: son tre grossi alberi, una verde acclive sponda di fiume, ed una lontana linea di cerulei monti, che costituiscono cotesto dipinto; eppure tanta semplicità di composizione ha prodotto un’opera portentosa di verità e di effetto. Le linee, le tinte, l’aggrupparsi delle piante, il distacco dei piani, la morbidezza de’ colori, il variae e disgradare della luce, il risalto del davanti son tali pregi del paese nel quale si muovono le figure, da rimanervi [p. 72 modifica]storditi al pensiero delle dificoltà superate, dello effetto prodotto.

E che dirò io della verità e della vaghezza delle figure? Curva sulla sponda e sulle ginocchia protende la bella figlia di Faraone ambo le braccia per raccogliere dal fiume il sorridente bambino, che a lei come a madre di rivolge, quasi implorandone materna cura. Tutta l’anima della giovanetta è passata nelle sue braccia, che distende quanto più puote per giungere fino al cesto che le galleggia dinnanzi, e già ne tocca i vimini dell’orlo più prossimo, e già le ride in volto il piacere ineffabile del ben fatto. Curve anch’esse sulla sponda, e l’una all’altra abbracciata, vedete altre due giovanette seguaci della Egizia Principessa, che pur sorridono e s’inebbriano alla vista del bellissimo fanciullo. La più bella figura poi, secondo che a me pare, è quella della quarta giovanetta, nella quale vlle l’artista figurare l’amorosa Maria, sorella del bambino, che quasi presaga della salvazione del suo fratellino, piega le braccia con malizioso sorriso, ed ha quasi l’aria di dire: ben lo sapevo, che dal naufragio saresti campato avventuoso e caro fratel mio. Oh! lasciate pur ch’io lo ripeta, di questo capolavoro del Gentile è impossibile il far descrizione che valga a significarne le bellezze. Conviene vederlo, conviene rimirarlo e considerarlo; eppur non verrà mai la sazietà, nè vi stancherete dal prodigargli la vostra ammirazione.

Ho dinanzi mentre scrivo, la incisione in rame del [p. 73 modifica]gran quadro del Prussino esprimente il medesimo subbietto. Ma Iddio mel perdoni, a me sembra fuori possibilità di dubbio la immensa superiorità della composizione dell’umile dipintor figulino degli Abruzzi sopra quella del famoso artista francese. Il quale ha messo un lungo arcato ponte sul Nilo, che giammai fu ne tollerasse il peso, ha messo sulla sponda del fiume e prossima al ponte una piramide, che non vi fu mai, ha messo il Nilo personificato con la corona di alga, e col cornacopia, mescolando la inutile allegoria alla storia, ed ha poi messa tanta quieta alterigia, e poco men che indifferenza nella positura e nel volto della Principessa, che vi par proprio ch’ella comandi l’annegamento, megli che provvegga alla salvazione del bambino. Non è mia colpa, ma della pochezza del mio ingegno, se il gran nome del Pittor francese non vale a frenare il mio giudizio: ma lo amor sincero e ragionato che io porto al magnifico lavoro del mio buon pittore abruzzese, fa in me tacere ogni tema di biasimo per troppo avventato giudizio; e scrivo siccome internamente mi va dettando la impressione che in me desta la bell’opera del Gentile».2

Son rare le pitture segnate del suo nome, perchè mentre visse il padre, se ne astenne per rispetto di lui: ma si conoscono di leggieri per la bontà del [p. 74 modifica]disegno, per la finitezza del lavoro, per la morbidezza del pennello, e molto più per le delicatissime incarnagioni, nel che era valente maestro, come si è detto al capitolo VII. Però cadde non di rado nel languido e nell’ammanierato per lo soverchio studio che poneva nei suoi dipinti. Ho varie opere di questo artefice, fra le quali un quadretto alto un palmo, e largo uno e mezzo, rappresentante Mosè al roveto ardente. Alla destra del quadro è effigiato Mosè, dal cui volto pieno di maestà traspare il grande legislatore e capitano del popolo ebreo. Le braccia aperte e levate in alto, e la positura del corpo in atto di farsi indietro, mostrano la maraviglia e lo spavento ond’è compreso il suo animo in vedere il bastone tramutato in serpente. Dinanzi a lui vedesi il roveto ardente, e tra le fiamme e le ondate di fumo (in luogo del Signore come fece Carlo Lebrun nel trattare tale soggetto) si scorgono tre Angioli, che lasciano indovinare al riguardante il punto onde parte la voce dell’Altissimo.

Le altre pitture da me possedute rappresentano l’Annunciazione, la Fuga in Egitto, la Presentazione di Gesù al tempio, Cristo all’orto, ed il Martirio di S. Orsola e delle sue seguaci.

Note

  1. V. Documento Y.
  2. Intorno alle maioliche di Castelli, lettera al Comm. Quaranta, pag. 28 e 29. — Nap. 1856.