Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XII

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Prima parte
Novella XII

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Un senese truova la moglie in adulterio e la mena fuori e l’ammazza.


Siena, mia antica patria, fu sempre, come anco oggidí è, molto di belle e cortesi donne copiosa, ne la quale fu giá una bellissima giovane detta Pia de’ Tolomei, famiglia molto nobile. Costei, essendo in etá di maritarsi, fu data per moglie a messer Nello de la Pietra, che era gentiluomo il piú ricco alora di Siena e il piú potente che fosse in Maremma. Ella, che contra il suo volere sforzata dai parenti l’aveva preso, si trovava di malissima voglia, veggendosi bella e fresca di diciotto in dicenove anni ed il marito di piú di cinquanta, che le faceva far piú vigilie che non insegnava messer lo giudice di Chinzicca a la Bartolomea Gualanda sua moglie, e che non fanno molti spagnuoli quando vivono a le spese loro, che d’uno ravaniglio e di pane e d’acqua si pascono. E se pur talora Nello le dava da beccare, faceva il piú de le volte tavola spendendo doppioni, di modo che la bella giovane viveva in pessima contentezza, e tanto piú s’attristava quanto che messer Nello per il piú la teneva in Maremma a le sue castella. Condussela tra l’altre una volta a Siena, dove a lui conveniva star alcun mese per una lite che aveva con la cittá a cagion di confini. Ella in quel tempo deliberò a’ casi suoi provedere e tanto darsi a torno, che avesse abondanza de la cosa di cui il marito le faceva tanta carestia e cosí estremo disagio. E avendo veduti molti giovini de la nostra cittá e ben considerati i costumi, le maniere, i modi e le bellezze di ciascuno, le piacque meravigliosamente un giovanetto de’ Ghisi chiamato Agostino, dal cui ceppo giovami credere che sia disceso il nuovo Mecenate e fautore di tutti i vertuosi de’ nostri tempi, cotanto buono e ricco e sí liberale, cortese ed amatore dei vertuosi, il signor Agostino Ghisi. A questo adunque mettendo gli occhi a dosso e, come vedere lo poteva, mostrandosegli tutta ridente, fece di modo che egli s’avvide che amorosamente da lei era guardato. Onde non schivando punto le fiamme amorose, a quelle aperse largamente il petto e mise ogni studio per far che anco ella s’accorgesse com’egli per lei ardeva. Il che fu assai facile a fare, perciò che ella, come il vedeva, metteva per il sottile mente a tutti gli atti di quello. Ardendo adunque tutti dui, messer Agostino le scrisse un’amorosa lettera e per via d’una buona donna le ne fece dare, e n’ebbe la desiata risposta. Era il comune desiderio di tutti dui di ritrovarsi insieme a ciò che amorosamente si potessero dar piacere, ma, per la molta famiglia che messer Nello teneva, era quasi impossibile che da ora nessuna il Ghisi potesse entrarle in casa che non fosse veduto. Da l’altra parte, ella non poteva uscir di casa né andar in nessun luogo, che non fosse da uomini e donne accompagnata. Onde tutti dui erano di malissima voglia, né sapevano a’ lor casi trovar compenso. Ora avvenne che messer Nello fece da le sue possessioni venir gran quantitá di grani per la provigion de la casa, avendo deliberato di star la seguente vernata in Siena. La Pia, che l’aveva inteso, ne diede avviso al suo amante commettendogli quanto le pareva che devesse fare. Egli, lieto oltra modo di questo, si dispose a far tutto quello che la donna gli aveva scritto. Ora volle la sorte che quel dí che il grano arrivò, messer Nello faceva far certo collegio di dottori in casa del piú attempato di loro per la lite sua, e volle egli sempre starvi presente, di modo che dopo desinare fin a notte scura sempre nel collegio dimorò. Fu portato il grano in quel che messer Nello usciva di casa, ed il suo fattore, fatti venir alcuni facchini, ordinò che il grano fosse portato sopra nel granaio. Il Ghisi, che vestito s’era da facchino, arrivò in quello, e sí bene s’era contrafatto che persona del mondo conosciuto non l’averebbe. Onde fu dal fattore chiamato a portar il grano di sopra. Egli, che altro non desiderava, preso il suo sacco in collo, montò le scale e votò il sacco nel granaio. E sapendo come stavano le camere de la casa, ché altre volte vedute le aveva, ne lo scendere, avendo avvertito ad esser solo, entrò in un camerino e fermò l’uscio di quello, secondo che la donna scritto gli aveva, la quale attenta stava se il suo amante ci veniva. Aveva quella cameretta un uscio che entrava dentro la camera, ove ella alora s’era ridotta, e fingendo di voler dormire si serrò di dentro tutta sola, e aprendo l’uscio trovò il suo caro amante, che di giá quei panni facchineschi s’era spogliato e rimasto era in un farsetto di raso morello. Come ella il vide, cosí con le braccia al collo basciandolo mille volte se gli avvinchiò, e medesimamente egli abbracciò strettissimamente lei. Ma io non starò a raccontarvi per minuto le carezze che si fecero e quante fiate a la lotta giocarono. Pensi ciascuno di voi ciò che egli, se da dovero innamorato fosse, in simil caso farebbe. Avendo la Pia gustato quanto saporiti fossero gli abbracciamenti del suo caro amante e quanto insipidi e rari erano quelli del marito, sí fieramente di nuovo ardore s’accese, che le pareva quasi impossibile poter vivere senza aver di continuo appresso il suo amato Ghisi. Medesimamente il giovine l’aveva trovata tanto benigna e gentile ed amorevole, che gli pareva d’esser in paradiso. Ella, dopo che alquanto stette a trastullarsi con l’amante uscí del camerino ed aperse la camera, e stata un poco con le sue donne, sapendo il marito non dever esser a casa fin a sera, ritornò dentro il camerino mostrando aver faccende da fare. Quivi adunque lietamente dimorando insieme e divisando tra loro del modo che si potessero trovar de l’altre volte in simil piacere, a ciò che secondo che questa era stata la prima non fosse l’ultima, molte altre cose dissero tra loro e divisarono, e non gli parendo di trovar nessun buon mezzo che piacesse loro, disse il Ghisi: – Unica signora mia e vita de la mia vita, quando vi paresse di creder al mio conseglio e che lo stimiate buono, penso che saria cosa facile che de l’altre volte ci trovassimo a goder insieme. E per questo io sarei d’openione, vita mia cara, che voi vedessi d’eleggervi una de le vostre damigelle de la qual possiate fidarvi, e a lei apriste il petto vostro, a ciò che col mezzo suo io possa talora travestito venir in casa con quel modo che noi trovaremo esser il meglio. – La Pia, a cui non pareva aver donna in casa che fosse a questo proposito, mal volentieri pigliava questo partito. Nondimeno tanto era l’amore che ella al suo amante portava, che ancora che ci avesse veduto la manifesta morte era astretta di compiacergli; pensando poi che si potrebbe pur alcuna volta con lui ritrovarsi ed aver di quei buon dí che cominciato aveva a gustare, e forse ancor qualche buona notte, rispose a l’amante che metteria ben mente qual devesse per segretaria di questi amori prendere. In questi parlamenti mescolavano piú volte soavissimi basci e pigliavano anco quelli amorosi diletti che tanto dagli amanti si ricercano. Cosí passarono quella giornata con estrema contentezza. Su la sera poi la Pia aperse l’uscio del camerino che rispondeva su la scala, e, non v’essendo a quell’ora persona, fece uscir l’amante, il quale nel suo abito da facchino col sacco in spalla e la sua fune a cintola, scese le scale ed anco che di sotto fosse da qualcuno di casa veduto, senza che alcuno il conoscesse, via se n’andò. Restò la donna mal contenta del partir de l’amante, ma tanto ben sodisfatta di lui, che le pareva in quelle poche ore che era stata con lui aver gustato e goduto assai piú di piacere che non aveva fatto in tutto il tempo de la vita sua. Il Ghisi altresí non si poteva saziare di pensar quanta era stata la gioia che con la sua Pia aveva sentito, che veramente di nome e d’effetto era Pia. Ella poi, scielta tra l’altre sue donne una che le parve a proposito, a quella narrò tutto l’amor del Ghisi e suo, pregandola non solamente a tener celata questa cosa, ma a disporsi d’aiutarla, a ciò che talvolta il Ghisi si potesse trovar seco. Promise la damigella di far il tutto e d’esser segretissima, di modo che, adoperando tutte due l’ingegno loro, le venne alcuna volta fatto che ’l Ghisi, ora vestito da furfante ed ora da donna, si ritrovò con esso lei, e dieronsi molto buon tempo parecchie volte, del che l’una e l’altra parte viveva contentissima. Ma la fortuna, che di rado lascia che dui amanti lungamente in pace godino il lor amore, ed in poco di mèle sparge sovente assai assenzio, disturbò questi felici amori, perciò che essendosi assecurati troppo gli amanti, e usando meno che discretamente insieme, avvenne che un vecchio di casa, cresciuto ed allevato con messer Nello, s’avvide un dí che la damigella furtivamente aveva messo fuor del camerino il Ghisi vestito da poltronieri. Il perché entrato in sospetto di ciò che v’era, si mise molte fiate in agguato, per ispiar meglio la veritá, e insomma s’accorse un dí che ’l Ghisi vestito da donna era uscito fuor del camerino, e vide la damigella usar certi atti che piú gli accrebbero di sospetto, conoscendo manifestamente a l’andare ed agli atti che era il travestito non femina, ma uomo. Ma non s’appose perciò che fosse il Ghisi od altri. Il perché quel dí medesimo disse il tutto a messer Nello, il quale deliberando incrudelir contra le donne, e non osando far niente in Siena ove il parentado de la moglie era potente, messo ordine a le cose de la lite, si levò a l’improvviso con la famiglia di Siena, e giunto in Maremma ove era signore, poi che con forza di tormenti ebbe la veritá da la bocca de la damigella, quella fece strangolare, ed a la moglie, che giá presaga del suo male miseramente piangeva, disse: – Rea femina, non pianger di quello che volontariamente hai eletto; pianger devevi alora che ti venne voglia di mandarmi a Corneto. Raccomandati a Dio, se punto de l’anima ti cale, ché io vo’, come meriti, che tu muoia. – E lasciatola in mano dei suoi sergenti, ordinò che la soffocassero; la quale, dimandando mercé al marito e a Dio divotamente perdono dei suoi peccati, fu da quelli senza pietá alcuna subito strangolata. Questa è quella Pia che il vertuoso e dottissimo Dante ha posta in Purgatorio. Io ciò che narrato vi ho, trovai giá brevemente annotato in un libro di mio bisavolo, ove erano molte altre cose descritte degli accidenti che in quelle contrade accadevano.


Il Bandello a la molto vertuosa signora


la signora Camilla Scarampa e Guidobuona salute


Sentito ho molte fiate disputare qual di queste due passioni piú tosto uccida un uomo, o la gioia od il dolore, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni per approvar quanto dicevono, con dire che gli spiriti vitali in una smisurata allegrezza essalano e in un gran dolore si ristringono e si affogano. E ben che tutto il dí questa materia sia messa in campo, a me pare che ancora la lite sia sotto il giudice e che resti indecisa; ché, se bene disse il nostro gentil messer Pietro Barignano in un suo madrigale,


cangia sperar mia voglia,


ché non si muor di doglia


non è perciò che se talora l’allegrezza ha levato ad uno la vita, che anco non si truovi chi di dolor sia morto. Il che si potrebbe per essempi pur assai provare. Ma per ora, che il dolore rompa lo stame de la vita umana, mi contenterò con un sol caso avvenuto, non è molto, a una signora de l’istesso vostro nome e sangue, dimostrare. E perché non solamente in quello si vede esser certo che la doglia ammazza l’uomo, ma anco vi si comprende l’amore immenso che la moglie al marito portava, come l’ebbi udito lo scrissi. Io era questo carnevale passato ne la vostra patria d’Asti, ove stetti alcuni dí in casa del signor conte Giovan Bartolomeo Tizzone vostro cugino e per Massimigliano Cesare di quella cittá governatore. Quivi de la proposta lite contrastandosi, il signor Giovanni Rotario narrò il caso di cui parlo. Onde, come ho detto, avendolo scritto, non ho voluto che senza il vertuoso vostro nome si veggia; perciò che parlando de la signora Camilla Scarampa, mi è parso convenevole che a la signora Camilla Scarampa si doni e consacri, e tanto piú volentieri ve lo mando, quanto che la signora vostra madre ed il signor Aloise Scarampo vostro fratello, che furono a la narrazion presenti, affermarono la detta signora Camilla esser stata del vostro sangue, e voi per quella aver il nome che avete. Il che sará cagione che questa mia novella non potrá esservi se non cara, e giovami credere che sará cagione di farmi veder qualche bella vostra composizione, parendomi un’etá che io non ho da voi né lettere né rime; e pur vi deverebbe talora sovvenire di me che tanto vi son servidore. Ma com’esser può che di cosí nobil morte e pietosa di questa vostra parente voi negli scritti vostri non abbiate fatto mai menzione alcuna? ché in vero merita esser tenuta viva ne la memoria de la posteritá. State sana.