Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XL

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Prima parte
Novella XL

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Inganno usato da una scaltrita donna al marito con una subita astuzia.


Io, signor mio, porto ferma openione che se questa matina voi non mi levavate d’impaccio, che noi ancora ci trovaremmo in campagna al sole. E non è perciò questo il primo piacere che da voi, la vostra mercé, ho ricevuto, e spero tuttavia che non debbia esser l’ultimo. Ora per una picciola ricompensa del fastidio che stamane vi diedi, poi che pregato me n’avete potendomi senza verun rispetto comandare, vi dirò una piacevol novella che al mio parere alquanto vi diletterá. Io parlerò d’una materia di cui tutto il dí accadeno essempi, cioè de le beffe che le donne fanno ai lor mariti. Dico adunque che Cocco Bernardozzo fu ne la cittá di Foligno ai giorni suoi sí per nobiltá di sangue come per grandissimo patrimonio il piú notabil gentiluomo di quella cittá, in modo che niuno v’era che a lui s’agguagliasse. Era poi d’una bella e grata presenza; ma d’industria, accortezza, sagacitá e de l’altre doti, cui senza, l’uomo poco vale, niente aveva, di sorte che piú tosto da Grosseto si poteva chiamare che da Foligno. Egli ebbe per moglie Domicilla figliuola d’Andreuccio Raineri, giovane fresca e bella, e tanto avveduta che poche donne erano de la prontezza ed acutezza d’ingegno che in lei si conoscevano. Ella non stette a pena dui mesi col marito che de la dapocaggine di quello troppo ben s’avvide, e oltra questo conobbe che egli era molto piú vago di quel d’altrui che del suo di casa, imperciò che quante femine vedeva, con tutte si domesticava e si metteva in pratica. Né crediate pertanto che di gentildonne egli si dilettasse, ché una per miracolo non ne averebbe mirata in viso; ma le massare, lavandare, fornaie e simil sorte di femine erano il suo gioco. Credo io che fosse di natura di corbo, il quale vie piú volentieri a le carogne si gitta che a buona carne. Cosí faceva Cocco, che tra queste vilissime femine sempre s’avventava a la piú sozza e mal netta che ci fosse, di modo che Guccio Imbratta, Porco o Balena, come lo vogliamo appellare, l’averebbe perduta seco. Aveva anco Cocco un’altra taccarella, che volentieri andava in zoccoli per l’asciutto, ove la moglie l’averebbe voluto portar in nave per il piovoso. Dei disonesti modi del marito accortasi Domicilla, piú volte con lui se ne dolse come di cosa che in suo danno ritornava. Ma che valeva il dolersi? Ella cantava a’ sordi, e Cocco era pur disposto di seguir il suo consueto stile di vivere, di maniera che Domicilla faceva vigilie che mai non furono in calendario, e le massare e i ragazzi trionfavano. Governava Domicilla l’entrate del marito, ed egli a questo vi s’accordava, avendo pur tanto vedere che conosceva che da sé non era buono a governare. Per questo, poi che ella piú volte indarno col marito ebbe questionato, cacciò di casa quante donne, servidori e paggi che v’erano, e ritenne solamente una fante non molto attempata, ma meno appariscente che puoté. Pigliò anco un famiglio che aveva presso a trenta anni, il piú da poco e poltrone che dir si possa, che vestisse e spogliasse il marito ed avesse cura d’un cavallo che in casa era rimaso. Ella diceva fra sé: – Se io non potrò donne in casa tenere secondo il mio grado, a la croce di Dio, mi aiuterò coi danari a far i bisogni de la casa, e questa per far la cucina sará buona fin che a Dio piacerá. Cocco anco, poi che cosí vuole, cosí abbia e si serva d’un sol fante, e se menerá paggi per casa io gli romperò il capo. – Veggendosi poi tanto magramente trattar nel letto, ove ella averebbe voluto esser con vezzi ed abbracciamenti festeggiata, pensò, se Cocco altronde il vivere si procacciava, che anco a lei non si devesse disconvenire a ritrovare chi a’ suoi bisogni provedesse. Ma trovandosi cosí scarsa di famiglia, non sapeva come governarsi. E tuttavia pensando e chimerizzando come far devesse a trovare chi talora in luogo del marito le scotesse il pelliccione, le venne gittato l’occhio a dosso a Petrone, ché cosí il famiglio era nomato. Egli era, come s’è detto, molto da poco, ma di persona assai ben formato. Con costui si dispose Domicilla esperimentare la sua ventura e veder ciò che sapeva fare, e cominciandogli a far carezze e a domesticarsi con lui, aspettava oportunitá di tempo a dever dar essecuzione ai suoi desiderii. Pareva a la donna che di Petrone niuno devesse aver dotanza, ed essendo egli in casa, che la cosa poteva segretamente longo tempo durare. Avendo poi messo mente piú per sottile a la natura di lui e di quello gli appetiti considerati, il conosceva piú ghiotto del danaro che l’orso del mele. Onde si deliberò per forza di danari piegarlo a’ suoi appetiti. Ora mentre che ella era in cotai pensieri, Cocco aveva giá adocchiata Nardella, ché cosí si diceva la fante, e volte assai s’era provato d’esser con lei; ma il fatto mai non successe. Era Cocco tanto da poco che non voleva la pena di tentar donne fuor di casa, temendo pure d’esser dal volgo beffato. E se alcuna volta si gettava a qualche fanciullo, con dui o tre baiocchi si cavava il suo disonesto appetito. Ora parendogli che con la fante si poteva di leggero accordare e che per esser in casa ci era gran comoditá, le faceva tuttavia buon viso e la proverbiava in atto di scherzare, quando però Domicilla non v’era. Ella che di piacer al padrone si teneva da molto piú, andava in contegno facendo vista che di lui non le calesse. Nondimeno talora lo guardava con la coda de l’occhiolino sí nascosamente che madonna non se ne avvedeva. Non era mai Cocco stato oso d’affrontarla con parole amorose, ma con cenni e con gli occhi l’aveva fatta avvista del suo amore. E non gli dando l’animo di scoprirsele, fece pensiero andar una notte a la camera ove ella dormiva e giacersi con lei. S’era Nardella un giorno di festa tutta strisciata e fatta molto, per fantesca, polita, avendosi messo il boccacin bianco con uno grembial giallo; e veggendo il padrone che fiso la guardava, ella mirava lui di modo che pareva proprio che lo invitasse a giocar seco a le braccia. Il che Cocco veggendo si propose che la seguente notte fosse quella che devesse dar il compimento al suo amore. Domicilla che molto piú del solito vide quella polita, s’imaginò che d’alcun compagnone de la contrada si fosse invaghita e non vi pose altrimenti fantasia. Ma in effetto ella s’era cosí concia per meglio piacer a Cocco. Era di state ed essendosi cenato di buon’ora come si costuma, dopo la cena Cocco andò fuor di casa a diporto, e Petrone l’accompagnò secondo che era consueto. E andando or qua or lá per le contrade de la cittá, egli al famiglio in questa forma parlò: – Tu devi saper, Petrone, che nessuna cosa mantiene piú in grazia del suo signore un che lo serva, come fa l’esser fedele e segreto ne le cose che il padrone si fida di lui e gli commmette che faccia, ché ancor che ’l servidor avesse tutte l’altre buone parti e non fosse fidato e segreto, sarebbe egli poco stimato e non trovarebbe padrone che ai suoi servigi il volesse; ché io per me, se mi pagasse, di lui in conto alcuno non mi servirei. E che diavolo si deve far d’uno che fedel non sia e non sappia secondo la voglia del padrone tacere? Ora perché io queste parole ti dica, adesso saperai. Tu dapoi che mi servi mi sei parso uomo da bene, e credo che appresso a l’altre tue bone parti sia anco in te la fede e che quando io ti dirò una cosa di credenza, che saperai tacerla. Voglio adunque, Petrone, che tu sappia che io mi vo’ di te fidar di cosa, come intenderai, di grandissima importanza; e perché tu intenda meglio l’animo mio, odi diligentemente ciò che io ti dirò. Io debbo questa sera andar a trovar una de le belle donne di questa terra, che ti so dire che è fatta per vedere. Basta. Ella mi attenderá ad ogni modo, perché mi vuole tutto il suo bene. Ma perché, non mi occorrendo disturbo alcuno, io intendo starmi seco fin presso a l’alba e non vorrei che Domicillla a modo veruno di questo mio fatto s’accorgesse, quando sará l’ora del dormire io ti farò il cotal cenno, e tu venendo a la camera mia, dentro il mio luogo del letto ti corcherai ove io soglio giacermi, che so che lo sai. Attendi pure a dormire, ché io so bene che Domicilla mai non ti dará fastidio. E se pure per sorte ella ti s’avvicinasse o desse molestia, fingi aver gran voglia di dormire e voltale subito le spalle. Or guarda se io di te mi fido, che a la mia moglie ti pongo a lato. Ti ricordo bene che l’onor mio ti sia raccomandato e che qualche volta non ti lasciassi vincer a la tentazione. Che dirai tu di me? Fa pure che tu sii fidato e che mai a persona tu non manifesti questa cosa, che vedi bene quanto ella importa. Anderai poi dimane al nostro sarto, e fatti fare come piú ti piace un giubbone e un paio di calze, e comprati una berretta con un bel pennacchio. Io ti farò ben poi de l’altre cose. To’ per ora questi danari per i bisogni tuoi. – Petrone avuto i danari ringraziò infinitamente il suo signore e promise esser leale e fedele e che mai, per cosa che avvenisse, a persona non direbbe di questi ragionamenti parola alcuna. Tornati che furono a casa, il famiglio gli avuti danari pose ne la sua cassa attendendo il cenno del padrone. Venne l’ora d’andar al letto, e Domicilla fu la prima che spogliatasi andò in camera, ed in letto al luogo suo si corcò, dicendo prima a Nardella che spedite le cose di cucina s’andasse a riposare. Nardella poi per avanzar tempo si pose in cucina per acconciarsi i suoi grembiali e cuffie. Cocco, preso del lume, cominciò in sala a rivoltar una cassa di scritture, e tanto intorno a quelle s’intertenne che puoté imaginarsi la moglie esser giá nel primo sonno involta. Onde andò in camera e trovata la moglie che forte dormiva, fece che Petrone, che spogliato era, a lato di quella si mise senza che ella punto sentisse cosa alcuna. Come il buon Cocco ebbe fatto giacer il fante a canto a la sua moglie, se n’andò verso la cucina ove aveva veduto andar Nardella, e quella senza esser sentito vide cucire e molto intenta ai suoi lavori. Il gentil innamorato ebbe tanto del discreto o vogliamo dire de lo scemonnito, che non volle farle motto né disturbarla da quello che faceva, pensando che tempo a far ciò che tanto bramava non gli mancarebbe. Andò adunque a mettersi in una saletta per la quale era necessario che volendo Nardella andar a dormire passasse, imperciò che per quella s’andava a la camera del fante ed altresí a quella di Nardella. Era in quella saletta un lettuccio come s’usa in Toscana per potervi da merigge dormire. Su quello si mise a seder Cocco, attendendo che Nardella si levasse di cucina e ne venisse a la camera, con animo di corcarla su quel lettuccio e romper due o tre lancie. Mentre che Cocco aspettava Nardella, avvenne che Domicilla a caso si destò e sentendo Petrone alquanto moversi, il quale ella credeva esser il marito, se gli accostò e cominciò volerlo abbracciare, essendo giá piú d’un mese che ella non aveva inacquato il suo giardino. Petrone come sentí questo, fingendo esser forte sonnacchioso ed aver piú talento di dormire che d’altro, la ributtò da sé. Ma ella ch’aveva voglia di cibarsi, di nuovo se gli mise a canto e diede de le mani al corno con cui gli uomini cacciano il soldano in Babilonia. Egli ch’aveva pur deliberato esser fedel al padrone e che forse dubitava che questa non fosse una tela ordita per provarlo, di nuovo la ributtò da sé e le rivolse le spalle. Ma la donna che era sul fatto riscaldata, voleva pure, se possibil era, vincer questa pugna, e posta una de le sue gambe a traverso a quelle del famiglio si sforzava con mani e piedi far ch’egli a lei si rivolgesse. Ma il barbagianni le diede una gran fiancata, di maniera che ella stizzosa e in gran còlera montata gli strinse fieramente i sonagli. Petrone per la soverchia pena che sentiva fu vicino a gridare e manifestarsi. Pur si ritenne, e vinto anch’egli da l’ira diede nel viso a Domicilla una fiera guanciata, la quale veggendosi dal marito, come ella portava ferma openione, in cotal maniera rifiutare, si ritirò amaramente piangendo su la sponda del letto e fra sé diceva: – Mi possa fiaccar il collo, se prima che il giorno venga io non te ne pago, poltrone e gaglioffo che tu sei. Tu non mi tocchi di dui mesi una volta e sei piú vago di triste e poltrone femine e di fanciulli che di me, ed ora che a te appressata m’era, cosí piacevolmente m’hai accettata? A la croce di Dio, che io me ne vendicherò, e se tu disonestamente con chi ti pare prenderai trastullo, io col tuo famiglio mi darò buon tempo ed in capo ti porrò il cimiero de le corna. Dormi, dormi e vedrai bella festa. – Ora quanto bene sarebbe stato che questo bestione del famiglio non si fosse mostrato ai piaceri di Domicilla cosí ritroso, ma avesse Cocco trattato come meritava, il quale andava cercando il male con la lucerna in mano e sí pazzerone e di poco intelletto era che metteva un famiglio a lato a la moglie! Ma tornando a l’istoria nostra, in quello che tra sé Domicilla faceva quei suoi ragionamenti, Petrone cominciò a dormire. Il che sentendo, la donna si levò di letto piú chetamente che puoté, con animo d’andar a trovar il famiglio, e per un buffettone avuto sul volto farsi dar cento tratti di lancia nel piú bello che avesse e far la vendetta contra il marito. Uscita che fu di camera per andar a ritrovar Petrone, le parve veder del lume ne la cucina e colá s’inviò per vedere chi lá dentro era. Ivi giunta trovò Nardella che a punto aveva fornito di cucir le sue cose e presa giá in mano la lucerna per andarsene a dormire. Non s’aveva ancora Domicilla finito di rasciugar le lagrime e di nuovo, piú per ira che per doglia che de la percossa sentisse, piangeva. Nardella come pianger la vide, in atto di compassione le disse: – Oimè, madonna mia, che vuol dir questo? che avete voi? – Ella postasi a sedere, tuttavia con singhiozzi favellando, le narrò come Cocco battuta l’aveva e che in cucina voleva restar fin al giorno, perché il core non le dava di giacer appresso al marito. Pregò poi quella che in luogo di lei fosse contenta andar a la camera del marito e mettersi in letto appresso quello, assicurandola che Cocco nulla le direbbe e che il matino a buon’ora poteva poi levarsi. Nardella che altro non desiderava, ancor che si lasciasse alquanto pregare, pure a la fine accettò l’invito. E cosí se n’andò e corcossi nel luogo de la madonna, tenendo per fermo esser appresso a Cocco. Domicilla, spento il lume, s’inviò a la via de la camera del famiglio, non avendo altro indosso che una sola camiscia. Onde entrata ne la saletta ove il valent’uomo di Cocco, vinto dal lungo aspettare, sul lettuccio s’era posto a dormire, facendo ella non so in che modo un poco di stropiccío con i piedi, egli si destò, e non essendo la notte molto buia, vide venir la donna, e credendo che fosse Nardella l’andò ad incontrare con le braccia aperte. Da l’altra parte Domicilla sentito e veduto il marito, ma non in modo che lo potesse conoscere, s’imaginò che quello fosse Petrone, il quale per la stagion che calda era s’avesse eletto dormire in saletta che alquanto era fresca. Onde lieta fra sé disse: – Proprio ho io trovato costui dove lo voleva. Noi faremo le nostre nozze sovra il lettuccio. – Il perché ella aperte le braccia gli andò allegramente incontro e cosí tutti dui amorosamente si abbracciarono. Cocco fermamente credendo che colei fosse Nardella, pieno di gioia cominciò a basciarla e farle i maggior vezzi e le piú amorevoli carezze che poteva. Domicilla anco basciava lui e forte al petto se lo stringeva. Anima mia di qua, cor mio di lá, vita mia in su, speranza mia in giú, e simili motti amorosi andavano a torno. Erano perciò le parole sí pianamente dette che non si potevano insieme conoscere. E perché l’uno aveva voglia di scaricar la balestra e l’altra di ricever il verettone, s’andarono a metter sul matarazzo del lettuccio, di maniera che Cocco per mostrarsi a la sua Nardella prode cavaliero e valoroso amante corse due lancie senza mai levarsi d’arcione. Né si partirono sí tosto da la giostra che anche due altre non ne rompessero. Fatto questo Domicilla pose al marito in mano alquanti danari e gli disse: – To’ questi pochi danari e goderai quelli per amor mio ed in dispregio di quel becco gaglioffo, – e dettogli questo, subito da lui si partí. Cocco avuti i danari forte si meravigliò e dei danari e de le parole, e diceva tra sé: – Che diavolo vuol dir costei? che danari? che becco? – Con queste parole, mezzo fuor di se stesso, passo passo se ne indrizzò verso la camera sua. La donna sentendosi per i siropi inghiottiti il corpo moversi, andò al luogo necessario a scaricar il ventre. Ma mentre che Cocco credendosi l’altrui terreno aver lavorato e’ s’era pur affaticato sovra il suo, facevasi in un altro luogo un’aspra battaglia, con ciò sia che Nardella come fu in letto, pensando esser appresso al messere, s’accostò a Petrone dicendo: – Non dormir piú, anima mia. Destati, destati, ché io sono la tua Nardella. – A sí fatte parole Petrone risvegliato e sentendo pur replicare due e tre fiate – Io son Nardella, – e parendogli a la voce che fosse quella, rimase mezzo sbigottito e non sapeva ove si fosse. Ma ella che fatti voleva e non ciancie, gli gettò le braccia al collo e lo cominciò amorosamente a basciare dicendogli pure: – Io son Nardella. Può egli esser che tu sia sí smemorato che non mi conosci? che pensi, signor mio? diamoci piacere ora che abbiamo l’agio ed il luogo. Non aver téma di madonna, perché io l’ho lasciata in cucina presso al focolare che dorme come una marmotta e non la risvegliarebbe il terremuoto. – Conoscendo fermamente Petrone quella esser Nardella, disse seco: – E chi diavolo staria saldo a tante bòtte? chi non si scaldarebbe a sí cocente fuoco? Non so imaginarmi come costei sia venuta qui, ma sia come si voglia, io prederò questa ventura. Non mancherá mai, se il padrone se n’adirasse, se non pigliarla per moglie e sposarla. – Onde fatta questa deliberazione, cominciò con Nardella entrar in giostra, e giá aveva cinque volte corso l’arrengo quando per entrar in camera sovragiunse Cocco, il quale per non esser da la moglie sentito, che in letto esser credeva, era chetamente ne la sua camera entrato. Quivi giunto e sentendo il gran dimenare che nel letto si faceva, rimase piú morto che vivo e tra sé diceva: – Oimè, ho io pagato il mio famiglio perché con la donna mia devesse giacersi? – E in questo ode Petrone che disse a Nardella: – Anima mia, sta di buona voglia, ché io ancora per mia legitima moglie ti sposerò. – Sentendo sí fatto ragionamento il misero Cocco non sapeva se dormiva o no, e tutto stordito diceva tra sé: – Per certo questa è una mirabil novella. Il trenta para di diavoli è questa notte entrato in questa casa. E chi non si perderebbe in cosí varii e strani accidenti? Io non so con cui giacciuto ne la saletta mi sia; non so se mia moglie o Nardella sia quella che è stata meco. Petrone nel mio letto lasciai pur a canto a Domicilla, e qui sento che fanno un gran dimenare di calcagna. Quell’altra mi diede danari in dispregio d’un becco, e qui si parla di sposarsi. Che intricato laberinto è questo? – Cosí tutto stordito chetamente di camera uscí per andar in cucina ed accender una candela e ritornar a la camera, con animo se trovava il fante con Domicilla di far loro un strano scherzo. Or ecco, mentre che soffiava nei carboni per trarne fuoco, che Domicilla v’arrivò, la quale anch’ella voleva prender del lume per suoi bisogni. Come ella fu su la porta de la cucina, cosí subito conobbe il marito, e rivoltata indietro e frettolosamente caminando per andarsi a mettere in letto, percosse in una banca di tal modo che ella e la banca rovinarono per terra con grandissimo strepito. Cocco udito il romore tanto si spaventò che la candela gli cascò di mano, e diede un grandissimo grido, di sorte che fu da Petrone e Nardella sentito. Egli era sí pieno di paura che non sapeva che si fare. Pure non sentendo piú romore, tanto brancolò per terra e per la cenere che trovò la candela, e non sapendo allumarla, se ne stette un poco per vedere se sentiva cosa alcuna. Petrone e Nardella che l’avevano sentito gridare saltarono di letto e tra la fatica durata e il timore non sapevano ove andarsi. Pure Nardella si mise andare verso la cucina, ove le pareva aver sentito il grido. Era Cocco uscito di cucina senza lume e non veggendo Nardella né ella lui, tutti dui sí strettamente come montoni cozzarono insieme che videro in casa piú stelle che non vanno la state lucciole la notte a torno. Cocco in sí strano accidente bestemmiò Dio e santi, e gli pareva esser in mezzo de le streghe. In questo Domicilla entrò in cucina e con un solferino accese un poco di lume, di modo che Cocco trovò quasi tutta la sua brigata sossopra. Egli era in camiscia e cosí erano Domicilla e Nardella. Petrone ancor non aveva trovata l’uscita de la camera, cosí se gli era distillato il cervello al fuoco de la fante. Guardava Cocco la moglie in cagnesco, ed ella veggendo che altro non diceva, faceva piú de l’adirata di lui. E mostrando Nardella il naso rotto, arrivò alora Petrone che pareva una fantasma. Non sapeva Nardella con cui s’avesse il naso guasto e meno lo sapevano gli altri. E guardandosi l’un l’altro con meraviglia, disse Cocco a la moglie: – Domicilla, che cosa è questa? – La donna con viso brusco e turbato gli rispose che egli lo deveva sapere che sí forte aveva gridato, e che a lei parrebbe che si devesse andar a posare. Il simile diceva Nardella dicendo che si moriva di sonno. Alora Cocco se n’andò a la camera sua tutto pieno di confusione ne l’animo. Né meno era in sé dubiosa Domicilla, la quale fuor di cucina si fermò per sentire ciò che insieme ragionavano Petrone e Nardella i quali erano ne la cucina. Il fante le dimandò che vuol dire che aveva il naso rotto, ed ella gli rispose che uscendo di camera aveva cozzato con uno e che esser non poteva altri che lui. – Io, – disse Petrone, – esser non puotei, perché tu mi lasciasti in camera quando Cocco gridò sí forte. – In camera? – rispose ella, – in qual camera ti ho lasciato? – Oh, vedi un poco, – soggiunse Petrone, – che farnetica costei. Non t’ho io questa notte nel letto di madonna sempre tenuta in braccio e fatto quella faccenda tante volte? va e vedi come sta il letto. Tu m’hai dette le tali e tal parole, ed io t’ho detto che ancora spero averti per moglie se tu vorrai. – Tanti altri contrasegni le diede Petrone che Nardella che si credeva esser giaciuta con Cocco, chiaramente conobbe il fante esser stato quello che il pelliccione sí ben l’aveva scosso, e non sapeva imaginarsi come il fatto fosse seguíto. Da l’altra parte Domicilla che il ragionamento del fante e de la Nardella tutto aveva udito, e compreso che ella s’era col marito e non col fante trastullata, andò in camera e si mise in letto appresso a Cocco tutta piena di varii pensieri. Cocco come fu a letto, perché era stracco de la fatica durata, subito cominciò a dormire e sornacchiare. Essendo anco Petrone e Nardella andati a le camere loro ed il tutto in casa tranquillo e quieto, sola Domicilla combattuta da una grandissima schiera di pensieri non trovava luogo di riposo. Comprendeva ella e teneva per fermo che colui che il buffettone dato le aveva non era stato Cocco, ma Petrone che il marito per simil effetto aveva in letto appo lei fatto entrare, come ella in luogo suo volle che Nardella si corcasse. Teneva anco per certo che come ella era venuta fuor di camera per sottoporsi al famiglio, che altresí Cocco se n’era partito per giacersi con Nardella, e che senza dubio egli fu quello con il quale ella era amorosamente giaciuta. Per questo si trovava molto dubia ed incerta come governar si devesse col marito per farlo parer un bestione ed ella fosse riputata innocente. Ora d’uno in altro pensiero travarcando e non s’appigliando a cosa che le sembrasse di profitto, non sapeva che farsi. Ma che? egli sará ben scaltrito colui e, come si costuma dire, levatosi ben per tempo, il quale la moglie volendo non schernisse. Se tu fossi piú savio del gran Solomone, piú santo di Davide, piú forte de l’invincibil Sansone, non ti saperai guardar dagli inganni de le donne, quando te la voglion fare. Fa pure che si deliberino di fartela e tienla per fatta. Ladroni, traditori, simulatori e puttane di rado si lasciano accogliere, e prendeli quanto tu sai a l’improvviso, che di continovo non abbiano un carniero a cintola pieno di cosí apparenti scusazioni e di tante ipocrisie e simulate parole, che è forza a creder loro tutto quello che dicono. Pensate mò come fará il nostro Cocco, che non era perciò uno dei piú avveduti e scaltriti uomini del mondo, anzi teneva alquanto del tondo, che lo copriva da capo a piedi. E se fosse stato milanese averebbe avuto un livello perpetuo dentro la badia di San Simpliciano. Ora dopo molti e varii pensieri fatti e piú volte replicati, pareva pure a madonna Domicilla che al tutto averebbe trovato qualche compenso e postovi conveniente rimedio, se ella quei danari dati al marito non avesse, né dettogli quelle parole che dette gli aveva. A queste due cose ella non sapeva in che modo rimediare, sí le parevano sconcie e guaste. Ella giudicava che fosse stato un errore irreparabile, e parevale pur un taglio ne la veste che con grandissima difficultá si poteva conciare ed aggiunger pelo a pelo, di modo che sempre il taglio non si vedesse. A la fine le venne in mente una malizia con la quale portava ferma openione a ogni cosa dar assetto. Erano dui armarii ne la saletta de la quale abbiamo fatta piú volte menzione, dei quali Petrone aveva la chiave d’uno per tener le sue cosette serrate, e de l’altro era la chiave ne le mani de la Nardella, ove anch’ella riponeva i suoi drappi ed altri bisogni suoi. Sovvenne a Domicilla di questi dui armarii ed anco le venne in mente che ella in un suo forziero che ne la sala grande era, aveva quasi tutte le chiavi doppie di tutti gli usci, casse ed altri luoghi di casa. Onde avendo ritrovata la medicina salutifera ai casi suoi, né volendo piú indugiare perché era l’ora molto vicina a l’aurora, chetamente da lato al marito si levò ed in cucina andata, con il solferino accese il lume, e poi aperto il coffano e le chiavi ritrovate che ricercava, avendo di giá presa buona quantitá di danari in oro ed in moneta, aperse l’armario di Nardella, e messa la metá dei danari in una pezza di lino, la ripose in un canto de l’armario e poi lo chiavò. Il simile fece col resto dei danari in quello di Petrone. Fatto questo, ella tutta lieta e presaga come la bisogna deveva riuscire, senza esser da nessuno né veduta né sentita se ne ritornò al letto, e data licenza ai pensieri si pose a dormire. Ella era consueta tener al capo del letto le chiavi de la porta de la casa, ed il matino darle a Petrone ché la porta aprisse. Levossi adunque Domicilla prima d’ogn’altro, essendo giá il giorno chiaro, e cominciò a volger sossopra un suo cascione ove ella teneva i danari; e come se trovato non avesse quello che ricercava, per meglio prender il tratto da vantaggio, cominciò a far un gran romore e mormorare piena di còlera. Era Cocco levato e cosí il fante e Nardella. E veggendo costoro la madonna che come un toro soffiava, non sapevano che si dire né che si fare e stavano a capo chino. Petrone pure accostatosi a Domicilla le domandò le chiavi de la porta, dicendo che era ora d’andar a comperar la carne per desinare. Domicilla alora facendo il bravo e parendo di grandissima còlera colma, gli rispose con un mal viso: – Carne ah? brutto poltrone e asino che tu sei! Pur troppo n’ho in casa de la carne, ché tutta notte per puttane e ruffiani sono stata fuor del mio letto e gita ramminga per casa come una straniera. Io vi darò ben de la carne, sí. – Lo scemonnito di Cocco sentendo tanto animosamente bravar Domicilla e veggendola irata, era tutto tremante e cadeva di paura, non potendo costrutto alcuno cavar di quello che la notte era occorso, dubitando non s’esser sognato. E tanto piú lo sciagurato era sbigottito quanto che vedeva la donna sua far per casa del bravo, e stava pur aspettando il fine di questa cosa. Poi che Domicilla ebbe di molte parole pregne dette e garrito contra il famiglio, disse al marito che seco andasse ne la saletta e vi fece anco andar Petrone e Nardella. Ed essendo tutti quattro entrati dentro, ella commandò a Petrone che schiavasse il suo armario. Il che di subito fece. Domicilla a la presenza di tutti cominciò a rivoltar sossopra ciò che dentro v’era, e tanto volse e rivolse che a le mani le vennero quei danari che ella riposti v’aveva e trovò anco quegli altri che il dí davanti Cocco a Petrone, come vi dissi, dati aveva. Come ella vide questi danari – Ah! ah! – disse, – che danari son questi? ove gli hai tu rubati? chi te gli ha dati, ladro gaglioffo che tu sei? di’ su, onde gli hai avuti? Io troverò pure i ladronecci che mi sono stati fatti questi dí, perché mi trovo mancare di molti danari. – Il povero Petrone che manifestamente conosceva i danari essergli ne l’armario cresciuti né sapeva in che modo, restò fieramente sbigottito e non sapeva altro che dirsi se non che da Cocco gli erano stati dati. Ella udendo questo, con un fiero viso al marito rivolta gli disse: – E tu perché a questo mascalzone da catena hai donato tanti danari? Che vuoi che li porti a qualche puttana o a le tue bagascie? – Or volendo Cocco far la sua scusazione e dire che tanti danari non erano quelli che egli dati gli aveva, cominciò a narrar una assai lunga e mal composta favola che non aveva né capo né coda. Ma Petrone vi s’interpose, ed interponendolo per discolpar se stesso, incolpò il padrone e narrò il fatto appunto come era. Domicilla udendo questa istoria entrò in tanta còlera che pareva che gettasse per gli occhi fuoco. E avventatasi a dosso al marito fu per cavargli con le dita gli occhi; pur si ritenne e gli disse: – Vedi, Cocco, io mai a’ miei fratelli non ho detto parola de la tua disonestissima vita che meni e del pessimo trattamento che tu mi fai, anzi sempre di te lodata mi sono. Ma questo villano atto che usato m’hai di pormi un famiglio a lato e mettermi al grandissimo periglio che posta m’hai, io non solamente a’ miei fratelli e parenti ma a tutti i folignati farò intendere, e narrerò loro tutte le tue vertú cardinalesche che hai. – E quivi gli disse Domicilla tanta e sí aspra villania quanta mai si potesse ad uno sciagurato dire. Egli se ne stava mutolo e tremante come fa il fanciullo sotto la verga del pedante. Ella poi che con opprobrii e minacce si fu alquanto sfogata, rivolta a Nardella le comandò che anco ella il suo armario aprisse, dicendole: – Io penso bene che tu altresí averai menate basse le mani per i miei coffani. Apri, apri, ché io mi vo’ chiarire. – Madonna, – rispose la fante, – io lo aprirò molto volentieri, perché cosa del vostro non vi rubai in vita giá mai. – E questo dicendo l’aperse. Domicilla alora come in quello di Petrone fatto aveva cosí fece in quello di Nardella, e gettato ogni cosa sossopra, in una pezza di tela trovò quei danari che ella messi v’aveva. E disfatto il gruppo e visto quella quantitá di danari, saltò con i calci e pugna a dosso a Nardella scarmignandola molto stranamente e dandole de le busse dal miglior senno che avesse. – Ahi ribaldella, – diceva Domicilia, – è questa la fede che io aveva in te? A questo modo mi tratti? Oimè, poverella me, in chi sono io maritata e che fidati servidori ho io per casa! – Nardella, sí per l’error commesso la notte come anco per le percosse, era balorda né sapeva che dire. Cocco veduti i danari ai servidori trovati, pensò che Nardella gli avesse rubati per dargli, come fece, a lui, e medesimamente si persuase che Petrone l’avesse goduta, e che di quello intendesse quando disse: – To’ in dispregio di quel becco gaglioffo! – credendo con lei essersi giaciuto. E per questo teneva la moglie esser senza colpa e potersi di lui giustamente querelare. Il perché non ardiva far motto. La scaltrita Domicilla che del tutto s’avvide, per meglio soggiogar il marito, alora alora cacciò di casa Petrone e Nardella. Rimasa poi sola col marito gli disse: – Cocco, io veggio che a me non è valuto spogliarmi di donne e restar con una fante, perciò che anco quella hai voluto cavalcare, come se io non fossi buona. Né ti è bastato, ché hai messo meco un famiglio. Ma lodato Dio che tu hai conosciuto che me non ha egli toccata. Da te perciò non è mancato di farmi una puttana. Ché a la croce di Dio, se egli tócca mi avesse, io non mi sarei mai piú lasciata veder al mondo. Il perché io ti dico ed affermo: o io me n’anderò a la casa dei miei fratelli o io in casa tua viverò a modo mio. Prima tu piglierai quei servidori che vorrai da garzoni in fuori, ed io quelle donne che vorrò; ché a la croce di Dio, io non vo’ piú star sí poveramente. Poi ti scieglierai una camera per te ed io un’altra per me, ove ognora tu solo a tua posta potrai venire. Ed ogni volta che a me verrai, io ti vorrò conoscere, perché non voglio piú famigli a lato. E perché io troppo bene conosco la tua natura, e che prima morrai che lasci le puttane e i garzoni, va pure e vivi a tuo modo, ché mai piú non te ne dirò parola, perciò che tutto sarebbe indarno. Io me ne viverò da par mia e farò pensiero non aver marito se non per calende, se pur talora mi verrai a trovare. Anderò con le nostre vicine e miei parenti a le chiese e a le feste quando se ne faranno, e mi darò onestamente il meglior tempo che per me si potrá. – Cocco, udite le ragioni de la moglie e gli statuti publicati per la quiete di tutte due le parti, veggendo che ella altro romor non faceva, si tenne per ben avventuroso e parveli che da morte a vita fosse suscitato. Rispose adunque a la moglie che ella ordinasse e facesse tutto quello che piú le era a grado, imperò che il tutto sarebbe ottimamente fatto, e che se ella voleva, che egli per publica scrittura al tutto si obligarebbe. Domicilla tutta allegra disse che non voleva che i fatti loro andassero in bocca al volgo, parendole pur troppo d’aver tirato Cocco come un bufalo a quello che ella voleva. Pensando poi tra sé d’aver deliberato volersi a Petrone sottoporre, ne sentiva un meraviglioso dispiacere e da per sé ne arrossiva. Ma non volendo perciò star ai pasti dí cosí scarso marito, dopo non molto s’innamorò d’un gentilissimo giovine, al quale essendo anch’ella piacciuta, di leggero insieme s’accordarono. Ella aveva giá preso in casa de le massare e donzelle, e Cocco altresí s’era provvisto di servidori, dei quali Domicilla uno ne elesse per conservatore dei suoi segreti, e a lui manifestò la sua volontá e l’amante che ella amava. Egli bramoso di servir la padrona che giá ad una de le sue donne s’era anco scoperta, tenne modo e via che Domicilla col suo innamorato si trovò, il quale era giovine nobile, bello e discreto. E cosí senza che mai Cocco se n’avvedesse, ella col mezzo del servidore e d’una delle sue donne si diede lungamente col suo amante buon tempo, seco stessa molto spesso ridendo de l’astuzia che quella notte usò con i danari contra Petrone e Nardella.


Il Bandello al vertuoso signore


il signor Rinuccio Farnese


Non molto dopo il sacco di Roma fatto dagli spagnuoli e dai tedeschi soldati de l’imperadore, voi vi trovaste con la compagnia vostra di cavalli leggeri, essendo alora ai servigi e al soldo dei signori veneziani, nel contado de la cittá di Viterbo; ed essendo i caldi molto grandi, ché era del mese di giugno, voi invitaste a desinar con voi il signor Lucio Scipione Attellano ambasciatore del signor duca Francesco Sforza, e voleste che di compagnia anch’io vi venissi. Il luogo ove quel giorno ci conduceste fu una freschissima ed agiata stanza tutta intagliata a scarpello dentro un tofo, e dinanzi al luogo v’era un bellissimo e fruttifero oliveto con una viva, fresca e chiara fontana che fuor d’un sasso ivi vicino sorgeva. Quivi adunque trovammo che v’era prima di noi giunto il gentilissimo signor Giorgio Santa Croce, col quale io aveva giá contratta lunga e dolce domestichezza quando assediandosi Milano il campo de la lega era a Lambrate e quivi d’intorno. Ora essendosi posti a tavola, si desinò con tal apparecchio e con sí delicate e varie vivande e con sí bell’ordine e sí preziosi vini, che non in uno essercito in campagna pareva che si fosse, ma sarebbe stato assai se il desinare si fosse fatto in Roma innanzi che ella fosse saccheggiata. Dopo desinare ragionandosi di varie cose, voi pigliaste in mano il libro de le divinissime rime del Petrarca, e leggendo alcuni sonetti si cominciò sommamente a commendar da tutti l’alto e candidissimo stile, le belle e scelte e proprie parole con la disposizione e nascosti sensi dal poeta usati. Cominciaste poi a legger nei Trionfi la bella istoria di Masinissa e Sofonisba, la quale tutta piena di compassione quasi ci tirò le lagrime sugli occhi. Alora fu da voi pregato il signor Giorgio Santa Croce che volesse la detta istoria, per contentezza del signor ambasciatore e mia, narrare in quel modo che un’altra volta dicevate che narrata vi aveva, essendo tutti dui con molti signori e gentiluomini a diportarvi sovra il lago di Bolsena. Il che egli disse di fare. E cosí a la presenza vostra e di molti gentiluomini che quivi avevano desinato egli ci narrò la pietosa istoria. Onde avendomi voi imposto che volessi scriverla, vi promisi di farlo. Per questo, essendo a Cortona alcuni giorni dimorato, l’ho scritta come meglio ho saputo e sotto il vostro nome collocata come sotto un forte scudo, a ciò che se alcuno mi mordesse che avendola io sentita recitare ad un eloquentissimo romano l’abbia con parole non romane scritta, possiate scusarmi che ho fatto quanto ho potuto. State sano.