Novelle (Bandello)/Quarta parte/Novella XXV

Da Wikisource.
Quarta parte
Novella XXV

../Novella XXIV ../Novella XXVI IncludiIntestazione 30 luglio 2010 75% novelle

Quarta parte - Novella XXIV Quarta parte - Novella XXVI

Ciò che facesse una ricca, nobile e forte bella gentildonna


rimasa vedova. Né piú si volendo rimaritare, né possendo


contenersi, con che astuzia provide a li suoi bisogni.


Passando io per Milano, signori miei, intesi da uno amico mio come poco innanzi vi fu e ancora vi era una gentildonna vedova, la quale, essendo forte giovane, ricchissima e molto bella, deliberò piú non si rimaritare, ancora che non passasse ventidui anni. Aveva ella uno picciolo figliuolino in culla, che non era ancora uno anno che al marito partorito avea. E venendo il marito a morte, fece il suo testamento, lasciando il figliuolo erede universale. A la moglie accrebbe di dote cinque millia ducati, lasciandola, come dicono essi lombardi, donna e madonna del tutto, senza essere ubligata a rendere conto de l’amministrazione, eccetto che non voleva che potesse alienare beni immobili né per vendita né per pegno. Rimasa adunque vedova, attendeva a governare il suo figliuolino. Dimorava ella in uno soperbo palazzo, tanto bene fornito di bellissimi razzi e alessandrini tapeti e di ricchi e vaghi fornimenti di letti, quanto altro che in Milano ci fosse. Teneva anco una onoratissima carretta con quattro bravi corsieri, e ben che non tenesse tanta famiglia e servitori quanti ci erano vivendo il marito, non di meno aveva molti che la servivano, e tra gli altri uno canzeliere assai vecchio che stato era col suocero suo e col marito, uno fattore fora a le possessioni e uno maestro di casa attempato, con dui staffieri e alcuni paggi. Avea anco alcune donne con il balio e la balia. Voleva poi che ogni sera a competente ora tutti si retirassero a le loro camere; e come il palagio la sera si serrava, si faceva portare le chiavi de le porte a la sua camera, e tutta la notte le teneva. E cosí quietamente con grande onestá se ne viveva, né troppo pratticava con parenti, e meno con altri, facendo vita solitaria, con fermo proposito di piú non si legare a nodo maritale. Ella era nobile, avea buona dote e sovvradote, era stata maritata molto altamente, e si teneva per fermo che in cassa non le mancassero molte migliaia di ducati, sapendosi le rendite grandi e la poca spesa che in casa teneva. Il perché una buona turba di gentiluomini se le posero dietro per far l’amore con lei, chi per godere quelle sue vaghe bellezze, e chi per averla per moglie; ma il tutto era indarno, dicendo ella che aveva avuto per marito il piú gentile e il piú cortese che potesse essere, e che da lui unicamente era stata amata, come egli ne la morte con chiarissimo effetto aveva dimostrato. Onde non le pareva di tentar la fortuna, dubitando di non incappare in qualche marito fastidioso, geloso e sospettoso, di quelli che sono il giuoco de la contrada e la tribulazione de la casa, che le facesse poi mala compagnia. Con questa adunque deliberazione, nulla curando li corteggiamenti di questi e di quelli, che tutto il dí le facevano il servitore e la ricercavano per moglie, se ne stava; di maniera che nessuno accorgere si poteva che ella a uno piú che a l’altro facesse buon viso. Durò cerca dui anni senza mai prendere affezione a persona, anzi parea che sprezzasse tutto il mondo; né una volta mai le venne voglia né di innamorarsi né di sottoporsi al giogo maritale. Ma, sdegnato Amore de la rigidezza di questa donna, deliberò per ogni modo farle rompere il suo casto proponimento e di quella trionfare. Avenne adunque che, facendosi quello anno la festa de la Annunziazione de la reina del cielo, che, per quanto mi fu detto, con indulgenzia plenaria ordinariamente si suole fare uno anno a l’ospitale maggiore e l’altro al domo; facendosi, dico, allora a l’ospitale, ella vide uno gentiluomo che ragionava quasi di rimpetto a lei. Era la donna ita al perdono per pigliar l’indulgenzia plenaria, e si trovò da ferventissimo amore presa, in sí forte punto di stella aprí gli occhi a rimirare quello gentiluomo, il quale in effetto era molto bello, forte vertuoso e ricco e di ottimi costumi dotato. Parve a la donna non aver veduto in vita sua il piú gentile e il piú aggraziato giovane di quello giá mai, e non sapeva né poteva di addosso a lui rivoltare la vista altrove. Ma il gentiluomo, che a lei non pensava, non le metteva mente. Desiderava ella infinitamente che egli verso lei si rivolgesse, parendole che da la vista di lui ella devesse ricevere uno meraviglioso piacere. In quello lo speciale, a la cui speciaria la donna si serviva cosí de le cose medicinali come di confetture, si accostò al giovane e seco cominciò a ragionare. E andando il loro ragionamento assai in lungo, accennò al suo balio, che accompagnata l’aveva, che a lei venisse; il che egli riverentemente fece. Onde ella con sommessa voce il dimandò se egli conosceva il gentiluomo il quale con lo speciale parlava. E dicendo egli di no, la donna li commise che destramente vedesse di sapere il nome e cognome. Né molto dopoi il giovane si partí, cui dietro a lento passo il balio andava. E cosí seguendolo, si scontrò il balio in uno facchino assai suo dimestico. E perché i facchini sogliono essere prattichi di tutte le case de la cittá e conoscere quasi ciascuno, il dimandò chi era colui che con tre servitori innanzi andava, e se lo conosceva. – Come! – rispose il facchino. – Io sono assai dimestico in casa sua e vi faccio mille servigi la settimana. – E disse il nome e cognome e in quale contrada era la di quello stanza. Disse allora l’accorto balio, acciò che il facchino di nulla sospettasse: – Vedi quanto io mi ingannava! Io lo credeva essere uno altro al quale forte rassimiglia. – E il tutto poi a la patrona referí, come fu a casa. Onde ella, avendolo piú volte al marito, quando viveva, sentito ricordare per molto nobile e ricco e costumato giovane, cominciò assai sovente mettersi a le finestre, per vedere se il giovane per quella contrada passava giá mai. Onde ella in questo ebbe la fortuna assai favorevole, perché il giovane non poteva per la via dritta andarsene al palagio del podestá, ove aveva una lite e sovente vi andava, che non passasse dinanzi la casa di essa vedovella; del che ella, poi che se ne accorse, ne ebbe piacere grandissimo. Il perché, assai spesso veggendolo andare e ritornare per quella strada, si accorse che, se talora egli non era in compagnia di uno suo avocato e uno procuratore, ne le cui mani era posta la sua lite, che mai di brigata con altri nol vedeva. Medesimamente, cavalcando per la cittá, sempre solo cavalcava. Cosí se ella in carretta a diporto per la terra andava, come è generale costume di tutte le gentildonne, sempre solo l’incontrava, ché seco non menava per l’ordinario se non uno paggio e dui o tre servitori, avendo nondimeno egli in casa numerosa famiglia. Quando il giovane incontrava la vedovella, o fosse in carretta o vero a piede, egli sempre con la berretta in mano e uno onesto chinar il capo le faceva riverenza, come è lodevole costume ogni gentiluomo riverire e onorare le gentildonne. Ella medesimamente non a lui solo, ma a tutti quelli che se le inchinavano, con onestissimo abbassar di testa e, secondo li gradi de le persone, con basse riverenze, rendeva loro il debito onore; ma di tal maniera si governava, che nessuno si poteva accorgere che a uno piú che a uno altro ella fosse affezionata. Amava ella non mediocremente il giovane; ma, come saggia e molto prudente, in veruno atto il suo amore non discopriva. Piacevale senza fine la beltá e modestia che il giovane ne l’andare e atti suoi dimostrava, e tanto piú le aggradiva quanto che non pratticava quasi con nessuno. Ardendo dunque e languendo di questa maniera, e desiando fore di misura essere da lui amata, e non osando con lettere né ambasciate manifestargli il suo ferventissimo amore, e meno con guardi e atti farlo di quello accorto, perseverò alcuni giorni amando, ardendo e tacendo, non si sapendo risolvere come si devesse governare. A la fine, da Amore aiutata, pensò uno nuovo modo di godere il suo giovane, senza essere da lui conosciuta né vista; cosa che forse mai piú non fu fatta. Ma udite, signori miei, l’astuzia e accortezza di costei. Prima ella al suo balio e a la balia si discoperse, e mostrò loro con persuasibili ragioni che deliberata era di non volersi a patto veruno piú maritarsi, ma che trovandosi giovane e delicatamente nodrita, era dagli stimoli de la carne fieramente combattuta, a li quali lungo tempo avea fatto resistenza, e che a la fine, vinta, non voleva piú vivere di quello modo, ma provedere a li casi suoi. Onde intendeva con quella maggior segretezza che fosse possibile, acciò che l’onestá sua intiera si conservasse, trovarsi uno amante giovane e costumato, che la notte le tenesse compagnia. E cosí di quanto voleva che il balio facesse, diligentemente lo instrusse. Perciò, avendo tra sé conchiuso che il giovane del quale vi ho parlato fosse colui che la godesse, lo manifestò al balio. Erano i licenziosi giorni del carnevale, ne li quali, come sapete, è lecito a ciascuno mascherarsi. Era stata la vedova cerca uno anno, dopo che il giovane ne l’ospitale tanto le piacque, sempre su questo suo amore pensando e ripensando, e non si sapeva risolvere. A la fine uno dí, doppo l’avere ammaestrato il balio, volle che quello si mascherasse e andasse a parlare con il giovane; il che il diligente balio fece. E preso uno ronzino da vettura, tanto andò per la cittá in qua e in lá che scontrò il giovane, che a cavallo senza compagnia su uno ginnetto si andava per la cittá diportando. Onde il balio se gli accostò e li disse: – Signore mio, io vi voglio, piacendovi, parlare. – Il giovane gli rispose che volontieri l’ascolterebbe, pregandolo che li dicesse chi era. – Chi io sia, signore mio, non vi posso io dire; ma ascoltate quanto vi dirò. In questa cittá è una bellissima e nobilissima donna, di beni de la fortuna molto ricca, la quale si trova sí ardentemente accesa del vostro amore, come mai fosse donna al mondo di quale si voglia uomo. Ella vi stima per uno de li galanti, costumati e prudenti giovani de la cittá; e se tale di voi openione non avesse, per tutto l’oro del mondo non vorrebbe la vostra prattica. Ma perché molti giovani portano il cervello sopra la berretta e hanno poco sale ne la zucca, e come hanno uno buon viso o una buona guardatura da le loro innamorate, subito ne fanno la grida per le chiese e per le piazze, ella vuole isperimentare la vostra constanzia e segretezza e fede. Vuole poi che di notte vi troviate con lei, ma di maniera che voi non la possiate né vedere né conoscere. Per questo la notte che viene, piacendovi, voi vi ritroverete, tra le tre e quattro ore de la notte, al tale cantone de la contrada, e io mascherato verrò per voi. Voi, se vi pare, potrete essere armato di quella sorte di arme che vi aggradirá. Come io giunga, vi porrò uno cappuccio in capo, perché non possiate vedere ove io vi conduca. Ben vi assicuro che non vi bisogna temere di inganno veruno, perché io vi metterò a lato la piú gentile e la piú bella giovane di Lombardia. Pensatevi bene sopra, e fate voi. – Detto questo, il balio si partí e andò per vie disusate a casa. Rimase il giovane con mille pensieri ne la mente, tutto confuso, e non sapeva imaginarsi ciò che fare si devesse in cotale caso, dicendo tra sé: – Che so io che alcuno mio nemico non sia, che sotto questa ésca non abbia posto il veleno e mi voglia farmi condurre come uno semplice castrone al macello? Ma io, che mi sappia, non ho nemico veruno, non avendo mai offesa persona né grande né picciola. Io non posso imaginarmi chi possa essere colui che debbia bramare il sangue mio. E chi meco ha parlato, mi ha detto che io, se voglio, posso andare bene armato. Ancora che io di armi sia fornito, se sarò incappucciato, come potrò vedere chi mi vorrá offendere? Chi udí mai piú una tale novella, che una donna fusse ardentemente innamorata di uno e non volesse essere da lui veduta? Che so io, se pensando abbracciar una delicata e morbida giovane, non mi ritrovi in braccio di alcuna poltrona e male netta meretrice, che del corpo suo, prodiga, abbia indifferentemente fatto copia a quanti mascalzoni e facchini ci sono in la cittá? Potria anco essere alcuna piena di male francese, che mi desse la sua livvrea e tenermi storpiato tutta la vita mia, onde io non sarei mai piú uomo. – Con questi e altri pensieri, andava tra sé discorrendo il giovane tutto ciò che avenire potrebbe, e sino a la notte altro non fece che farneticare, non si sapendo risolvere. Cenò egli a le due ore, ma poco poco mangiò, tuttavia pensando su ciò che fare devesse. Deliberatosi a la fine di mettersi a la prova di questa impresa, a le tre ore, armatosi, se ne andò a l’assignato luoco. Né guari quivi stette, che il balio, secondo l’ordine posto, vi arrivò, e salutatolo li pose il cappuccio in capo. Poi li disse: – Signore, appigliatevi a la mia veste di dietro con una mano e seguitatemi. – Andò poi per diverse strade in qua e in lá, tornando talora indietro e spesso a posta errando il camino, di modo che il balio medesimo non averia una altra volta saputo rifare quello viaggio. Al fine lo condusse in casa de la vedovella, e lo menò in una camera terrena ricchissimamente apparata, con uno letto tanto attillatamente adornato e di ricchissime cortine attorniato, con dui bellissimi origlieri, di seta porporina e di fila d’oro trapunti con sí dotta e maestra mano, che ogni grandissimo re se ne sarebbe tenuto onoratamente appagato. La camera poi, d’ogni intorno profumata, oliva soavissimi odori. Ardeva in la camera il fuoco, e sovra uno tavolino vi era uno candeliero di argento con uno torchietto acceso di cera candidissima. Vi era anco uno drappo di varii colori intessuti, e maestrevolemente di oro e seta a la alessandrina recamato, sovvra il quale con bellissimo ordine erano pettini di avorio e di ebeno per pettinare la barba e il capo, con cuffie bellissime e drappi da porsi su le spalle pettinandosi e da asciugarsi le mani, sovvra modo belli. Ma che dirò de l’apparato attorno a le mura de la camera? In luoco di razzi eranvi fornimenti di panni di oro, rizzi sovvra rizzi, ne li quali in ciascuno di loro erano le insegne del parentato del morto marito e di essa vedova. Ma la prudente vedovella, acciò che l’amante per quelle insegne non venisse in cognizione chi ella si fosse, con altri vaghi e ricchi lavori gli aveva con bella arte fatti coprire, e sí bene acconci che meglio stare non potevano. Gli era anco apparecchiata in finissimi vasi di maiolica una delicata e soperba collezione di ottime confetture, con odorati e preziosi vini del Montebriantino. Come egli fu dentro, il balio li cavò il cappuccio di testa e li disse: – Signore mio, voi devete avere freddo: scaldatevi quanto volete. – Li presentò poi la collezione. Ma il giovane, ringraziatolo e non volendo né mangiare né bere, attese a scaldarsi e contemplare quello ricchissimo adornamento. Restava egli, pieno di infinita meraviglia, quasi fora di sé, considerando molto minutamente sí nobile e regio apparato; e giudicò la padrona del luoco essere una de le prime gentildonne di Milano. Come fu scaldato, il discreto balio con lo scaldaletto d’argento scaldò benissimo il letto, e subito aiutò a dispogliare il giovane e farlo andare a letto. Non era a pena coricato, che la vedova intrò dentro con una maschera al volto. Ella era in una giubba di damasco morello, fregiata in gran parte con cordoni piccioli di fino oro e seta cremesina, e sotto aveva una sottana di tela d’oro, tutta recamata con bellissimi lavori. Era con lei la sua balia, mascherata ancora ella, la quale aiutò a spogliare la padrona; di modo che l’aventuroso giovane contemplava con intento e ingordo occhio la persona de la donna, snella e ben formata, di giusta misura, con uno candidissimo petto decentemente rilevato, e due tonde e niente pendenti mammelle, che pareano proprio da maestra mano formate. Vedeva anco le belle e morbide carni da minio nativo colorite. Come ella fu spogliata, si coricò appresso al giovane, senza perciò toccarlo, e tuttavia con la maschera su il volto. Il balio con la balia coprirono di maniera il fuoco che niente di luce poteva rendere, sí diligentemente era stutato e coperto. Medesimamente poi ammorzarono il torchietto e via se n’andarono, fermando l’uscio de la camera. La vedovella allora, levatasi dal volto la maschera e quella dopo il capezzale riposta, disse umanamente al giovane: – Signor mio, datemi la vostra mano. – Il che il giovane riverentemente fece, e sentendo la morbidezza e delicatura de la bellissima mano tutto si sentí smovere per ogni sua vena il sangue, attendendo ciò che ella voleva dire. La quale cosí disse: – Signore mio, a me vie piú de le pupille degli occhi miei caro, io credo che forte vi siate meravigliato del modo che qui fatto vi ho condurre; ma perché il messo mio so che la cagione vi ha scoperta, ogni vostra meraviglia deve cessare. Pertanto io vi dico che, fin che io non sia fermamente assicurata de la vostra costanza, taciturnitá e secretezza, voi chi io mi sia non saperete giá mai. Vi bisogna adunque avertire a non dire mai motto del modo che qui condutto vi sète, perché ogni minima paroluzza che voi diceste e me fosse riferita, voi subito sareste privato di non tornarci piú mai. L’altra cosa che da voi voglio è che voi non ricercate sapere chi io mi sia. Servando questo, io sempre sarò vostra, né altro uomo al mondo amerò giá mai che voi. – Promise il giovane serbare intieramente il tutto, e di piú anco, se ella degnava altra cosa commandargli. Ella allora in braccio al suo amante si abbandonò; onde tutta la notte, con infinito piacere di amendue le parti, insieme amorosamente si trastullarono. E se il giovane piacque a la donna, non meno a lui la donna sodisfece, di modo che dire non si potrebbe chi di loro piú si contentasse. Di una buona ora, dopoi, innanzi a l’alba venne il balio; e fatto accendere da la balia il fuoco, essendo tutti dui mascherati, vestirono il giovane. La donna, come sentí aprire la camera, prese la sua maschera e al volto se la pose, e all’amante disse: – Su su, signore, ché tempo è di levare. – Il giovane, vestito e armato, e detto a la donna addio, fu dal balio per giravolte condutto al luoco dove fu levato; e il balio, levatogli il cappuccio, a casa per diverse strade ritornò. Durò questa prattica forse sette anni con grandissimo piacere degli amanti, nel quale tempo il giovane si reputava il piú beato e lieto amante che mai fosse. Ma la malvagia fortuna, che non può soffrire che gli amanti lungo tempo felicemente vivano, separò con la morte del giovane cosí ben governato amore, perché una ardentissima di maligna sorte gran febre assalí il detto gentiluomo, non le trovando mai li medici con lor arte compenso o rimedio alcuno; di modo che in sette giorni se ne morí, con inestimabile e gravissimo dolore de la sua donna, che ancora con amarissime lagrime non fa che dí e notte piangerlo.


Il Bandello al vertuoso e dotto messer


Paolo Silvio suo salute


Molte fiate ho io, Silvio mio vertuosissimo, tra me pensato la varietá de la natura, che tutto il dí si vede tra questa sorte d’uomini che noi volgarmente appellamo buffoni e giocolatori, veggendo i modi loro l’uno da l’altro diversissimi, essendo perciò il fine loro per lo piú di guadagnare senza troppa fatica il vivere ed essere ben vestiti, aver adito in camera e a la tavola de li signori da ogni tempo, e scherzar con loro liberamente, e insomma dare gioia e festa a ciascuno. Si vede chiaramente che cercano tutti dilettare, se bene talora offendeno chi si sia, facendoli alcuna beffa, che nondimeno la beffa risulta in piacere a chi la vede o la sente recitare. Ce ne sono oggi in Italia alcuni molto famosi, e massimamente in Roma, ove talora, per fare ridere la brigata, fanno di brutti scherzi a certi magri cortegiani. Ma io non so se li chiami urbani, faceti, lepidi, festivi, salsi, mordaci, piacevoli, adulatori, fallaci, insulsi, contenziosi, loquaci, susurroni, simulatori e dissimulatori, perché tutti tengono uno poco negli atti loro di questa e quella parte. Si ragionava di costoro dentro Carignano, dopo che, partiti da la Mirandola, sotto il governo del signore conte Guido Rangone, questo felicissimo esercito soccorse Turino, avendo alcuni nominato il Gualfenera, altri il Gonnella, e volendo altri parlar di Calcagno. Allora il signor Galeotto Malatesta disse: – Or vedi a che siamo venuti, cercando ricrearsi con qualche dilettevole ragionamento: disputare di buffoni! Ragioniamo di altro, se vi piace, e poi che di buffoni parlato si è, dicasi alcuna burla fatta da alcuno buffone, che allegri tutti e ci faccia ridere. – Tutti allora approvarono il parere del signore Galeotto; e messer Gian Angelo Montemerlo, gentiluomo dertonese, persona molto discreta, narrò una beffa fatta dal Gonnella a la marchesa di Ferrara, la quale io subito descrissi. Sovenendomi poi de la nostra dolce compagnia che in Pavia con tanto piacere avessimo, deliberai che questa novella al nome vostro fosse dedicata, non avendo io fin qui nessuna de le mie novelle ancora mandatavi. Perciò talora, quando da li vostri gravi studi vi sentirete alquanto fastidito, potrete con questa e altre simili lezioni la mente afflitta uno poco ricreare, ché sapete bene come a Pavia eravate solito sovente fiate di fare. State sano.