Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella XL

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Terza parte
Novella XL

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Antonio Caruleo fa rubare una bellissima cavalla,


a la fine resta beffato dal padrone de la cavalla.


Ferrando, figliuolo del glorioso Alfonso di Ragona re di Napoli, dopo la morte del padre succedendo nel regno, fu molto dai suoi baroni travagliato, con i quali ebbe lunga e crudelissima guerra. Sovravenne poi Giovanni duca, figliuolo del re Renato, capo degli Angiovini, col quale gran parte del regno contra Ferrando si ribellò. Pose alora Ferrando per governatore in Cossenza, capo de la Calabria, Antonio Caruleo, soldato molto prode e di gran governo, ma che volentieri scherzava con la roba dei vicini. Ed essendo in Cossenza, vide una bellissima cavalla che era d’un gentiluomo cossentino, che in quella cittá era di grandissima autoritá e gran partegiano de la fazione ragonese. La cavalla, oltra che era di tutta quella beltá che si possa imaginare, era poi de le migliori che si trovassero ad ogni mestiero di guerra, e sempre, in ogni fazione che si faceva, il gentiluomo cossentino era su la bella e buona cavalla. Venne adunque voglia al Caruleo d’avere in qual modo si sia la cavalla. Egli sapeva molto bene che il gentiluomo l’aveva tanto cara che per danari non se la saria lasciata uscire de le mani; tuttavia, per mezzo d’alcuni soldati, fece ricercar se egli la voleva vendere. E veggendo che indarno s’affaticava, deliberò, non gli parendo di usar la forza, di fargliela con destro modo involare. Aveva avuto avviso come fra dieci o quindici giorni il re voleva che andasse in Puglia con i suoi soldati, ove il duca d’Angiò s’era ridutto; il che gli parve ottima occasione di far rubar la cavalla e mandarla fuori in qualche villa, fin che venisse il giorno de la sua partita. Ebbe adunque modo una notte di fargliela rubare. Il gentiluomo la matina, levato per tempissimo, andò a ritrovare il Caruleio, lamentandosi che dai soldati di quello gli era stata rubata la sua cavalla, e che sapeva molto bene che in Cossenza non era persona che avesse avuto ardimento d’andar in casa sua a far simil furto. Il Caruleio, udendo la querela, impose che ogni diligenza s’usasse per ritrovar la detta cavalla. Da l’altra parte egli fece metter in ordine tre dei suoi corsieri con le barde che alora s’usavano ed ora poco sono in prezzo, e fece anco metter in ordine la cavalla con barde molto grandi ed una testiera d’acciaio, col collo tutto coperto di minutissima maglia e con mille altri abbigliamenti a torno, che pareva l’Ascensione di Vinegia e ordinò che i tre corsieri e la cavalla fossero menati fuori di Cossenza. Il gentiluomo a cui la cavalla era stata involata mise le spie a tutte le porte de la cittá, ed egli andò a quella porta ove alora erano per trasfugare la cavalla. Colui che le era sovra, come vide il gentiluomo, ebbe dubio che la cavalla non fosse conosciuta, e volendo schifare, si rivoltò in una strada la piú fangosa del mondo, ove erano dui o tre zappelli che Rabicano averebbe avuto fatica a passargli; onde lá dentro in uno la cavalla di modo s’impaniò come fa l’augellino sovra il visco. Il povero servidore che era con la cavalla impaniato, gridando – Aita, aita! – fu cagione che molti corsero al romore. Il gentiluomo, sentendo dire che un cavallo s’affogava, corse anco egli al romore, avendo lasciato uno dei suoi per guardia a la porta. Fu forza, se voleva cavare la giumenta del fango, che tagliassero tutte le cinghie e che levassero le barde con tutti gli ornamenti che la cavalla aveva a torno; il che essendo fatto, leggermente la cavalla uscí del pantano, ma concia come potete imaginarvi. Il gentiluomo, come vide la cavalla uscita del fango, tantosto la conobbe, e disse le maggiori villanie del mondo a colui che la menava via, e fu due o tre volte per rompergli il capo; pur si ritenne e fece condurre la cavalla a casa. Udendo questo il Caruleio, ebbe modo subito di far fuggir quello che la cavalla menava fuori, e diede voce che quel ghiotto gli aveva rubate le barde e quei fornimenti per piú copertamente poter condur via la cavalla. Il gentiluomo cossentino, essendo sicuro che il governatore l’aveva fatta rubare e che voleva coprirsi il capo di frasche, essendo uomo molto sollazzevole, quel giorno istesso fece far un paio di brache di tela molto grandi e tali che dentro vi arebbe capito assai agevolmente ogni parte di dietro d’ogni grossissimo cavallo. Fatto che furono le brache, essendo il governatore su la piazza, il piacevole gentiluomo, accompagnato da molti dei seguaci suoi, l’andò a ritrovare e cosí gli disse: – Signore, ieri io venni a supplicarvi che voi mi faceste restituire la mia cavalla, essendo certo che dai vostri m’era stata involata. Voi, la vostra mercé, faceste far la publica grida, come si suole in simil fatto; ma da l’altra banda faceste vestir la cavalla e quella, travestita che pareva una maschera, fuor de la cittá con un vostro servidore mandaste per trasfugarla. Ora l’effetto non seguí secondo il desiderio vostro, perciò che voi sapeste farmi rubar la mia cavalla, ma non la sapeste poi celare. E per questo sono venuto a darvi consiglio ed aita, a ciò che una altra volta i vostri furti sappiate meglio nascondere. Eccovi queste brache, che io v’ho recate a ciò che, quando farete rubare qualche altra cavalla, possiate con queste farle coprire le parti posteriori e nasconder il sesso. E cosí potrete piú sicuramente rubare. – Il Caruleio senza fine si vergognò, né seppe sí bene rispondere al cossentino, che tutti non si accorgessero che egli il furto aveva fatto fare. E per l’avvenire si guardò da simil misfatti.


Il Bandello al molto magnifico signore


il signor Giovanni Tollentino conte


Non sono ancora molti giorni che, essendo in Milano il gentile e magnifico messer Lodovico Alamanni, ambasciatore di papa Lione decimo appo il luogotenente del re cristianissimo, che seco nel convento de le Grazie, ove egli albergava, si ritrovarono a desinare alcuni gentiluomini. E ragionandosi dopo desinare di varie cose, si venne a dire di quanto ornamento siano i bei motti e le pronte e argute risposte a tempo date, e quante volte sia avverato che un arguto detto averá levato di gran pericolo il suo dicitore. Era in quei ragionamenti il venerabile religioso de l’ordine predicatore fra Girolamo Tizzone, persona molto dotta e figliuolo del conte Lodovico Tizzone di Dezana, mecenate dei letterati, che voi per lunga pratica conoscete. Egli a questo proposito narrò alquante belle novellette che pur assai a la brigata piacquero, le quali avendo io scritte, perciò che sono brevi, tutte ho in una novella poste. E sapendo che voi meravigliosamente di cotesti motti vi dilettate, non ho voluto che sotto altro nome escano quelli che io ora ho scritto, che sotto il vostro. So bene che ai meriti vostri si converrebbe maggior dono, se io volessi pagargli. Ma veggendo che voi di giorno in giorno gli accrescete e vi piace che dei beni vostri io ne sia come voi padrone, che altro posso io darvi che carta ed inchiostro, frutti del mio debole ingegno? State sano.