Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella XV

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Terza parte
Novella XV

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Morte miserabile del re Carlo di Navarra


per soverchia libidine ne la sua vecchiezza.


Avete veduto, signori miei, di quanti beni è stata cagione la téma che il nostro illustrissimo e reverendissimo cardinale ha avuto di morire, devendosi far cavar la pietra che veduta tutti avete, la quale giorno e notte fieramente lo tormentava. Ché ancora che egli sempre viva da catolico e buon cristiano, nondimeno essendo venuto a questo passo di farsi tagliare, e nol volendo maestro Matteo da Roma né maestro Romano da Casalmaggiore per altro che per morto se gli devevano porre le mani a dosso e cavargli la pietra, egli, non potendo piú sofferire gli stimoli e le passioni accerbissime che mille volte l’ora lo facevano morire, si dispose con forte animo al taglio. Ma prima, confessato, si communicò e fece tante elemosine a’ luoghi pii ed altri beni, che è stata cosa mirabile: il che ha causato, oltra la sua buona disposizione, la paura del morire. Ora se questo avesse pensato il re Carlo di Navarra, egli sarebbe vivuto piú quietamente che non fece, e averebbe fuggita la malvagia fine che ebbe. Dicovi adunque, come ne l’istorie dei regi di Navarra che altre volte mi soviene aver letto, che negli anni di nostra salute mille trecento ottanta cinque morí Carlo re di Navarra, il quale fu genero del re Giovanni di Francia, perché ebbe per moglie madama Giovanna sua figliuola. Fu esso re Carlo uomo di pessimi costumi e molto crudele, e poco di lui si poteva l’uomo confidare, perché di raro servava cosa che promettesse. E vivendo il re Giovanni suo suocero, prima che fosse preso da Edoardo prencipe di Galles e figliuolo del re Edoardo terzo d’Inghilterra, fece ammazzare il contestabile de la Francia e s’accordò con inglesi a danno de’ francesi. Essendo poi fatto prigione da esso re Giovanni suo suocero, ammutinò, uscendo di prigione mentre il re era cattivo, e sollevò i parigini contra Carlo delfino, – che fu poi Carlo quinto, morto il padre, – e fece di molti mali, non solamente ne l’occisioni che avvennero in Parigi, per suo mezzo, di quei fedeli che tenevano la parte del delfino, ma per tutta la Francia, ne la quale egli saccheggiò ed abbrusciò molte terre e commise infiniti omicidii. Fu anco ministro di molti inconvenienti sotto il re Carlo quinto e medesimamente sotto Carlo sesto. Nel suo reame di Navarra egli essercitò grandissime crudeltá con rubarie vituperose, con occisioni e con sforzamenti di donne, di maniera che tutti gli volevano male. Ora, avendo messo una imposta sovra il suo regno di ducento mila fiorini, si congregarono sessanta dei principali del regno e l’andarono a trovare a Pampaluna, al quale supplicarono che degnasse sminuire la taglia che imposta aveva. Egli subito fe’ mozzar il capo a tre dei principali, mettendo gli altri in carcere con deliberazione fra dui o tre giorni fargli tutti decapitare. Era egli molto vecchio anzi pure decrepito, ma tanto lussurioso ed immerso nei piaceri e appetiti venerei, che mai non era senza concubina; ed alora aveva una bellissima giovane di ventidui anni, de la quale era fieramente innamorato. Onde quel dí che aveva fatta tagliar la testa ai tre ambasciatori, essendo tutto acceso di grandissima còlera, per ricrearsi andò a trovar la sua bella innamorata, e seco carnalmente in modo si trastullò, che, volendo far vie piú di quello che a l’etá non si conveniva, si sentí esser debolissimo. E volendo ricuperare le perdute forze, secondo che altre volte era consueto, si fece porre in una calda camera tra tre gran vasi di rame pieni d’ardenti carboni. Fece pigliar duo lenzuoli tutti molli d’acqua di vita, nei quali, come uno fegato ne la reticella, tutto era involto. E stando involto di quel modo tra quei vasi affocati, alcuni dei suoi servidori con soffioni a torno ai vasi riaccendevano gli infiammati carboni, tuttavia in quelli soffiando. Mentre egli si scaldava, una favilla di fuoco s’apprese ai lenzuoli, e di tal maniera s’accese e crebbe la fiamma che non fu possibile ammorzarla, di modo che il misero re, pieno di rabbia e di furore, non si possendo sviluppare, miseramente arse e come una bestia se ne morí. Le croniche, che di cotal morte parlano, dicono che fu espresso giudicio di Dio per punire l’esecrabili sceleratezze di cosí vizioso re. Ma Dio solo è quello che sa la vertá, a noi incognita, perché i giudicii divini sono un profondissimo abisso. Egli è ben vero che grandissima difficultá è a viver male e morir bene.


Il Bandello a l’illustre signore


Pietro Fregoso signor di Novi


Non manca mai argomento, a chi vuole, di scrivere a chi piú gli aggrada, come nuovamente a me è avvenuto di scriver a voi non solamente questa lettera, ma anco di mandarvi una faceta novella. Andai questi dí da Milano a Mantova e, nel passar per Bozzolo, il signor Federico Gonzaga, signor d’esso luogo, mi v’ha tenuto otto dí, che mai non m’ha voluto lasciar partire. Quivi tutti quegli onesti piaceri che a un par mio si ponno dare, egli per sua cortesia a me ha dati e intertenutomi tanto allegramente quanto dir si possa. Come il mio signor Pirro suo fratello seppe ch’io quivi era, ci venne anco egli; e partendomi per andar a Mantova, volle il signor Pirro che seco andassi al suo piacevole Gazuolo, ove mi tenne in grandissimi piaceri alcuni giorni. Era in Gazuolo il signor Sebastiano da Este, che nuovamente era ritornato da Napoli, il quale un dí, essendo noi di brigata in ròcca, narrò una piacevole novella avvenuta in Calabria ne la cittá di Reggio. Quella, avendola scritta, vi mando e dono per segno de la mia servitú. State sano.