Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte III/Novella III

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Novella III - Un giovine si marita in una semplicissima fanciulla, che la seconda notte al marito tagliò via il piombino e i perpendicoli
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[p. 359 modifica]messer Mazza si svegliasse. Si sforzava anco egli di risvegliarlo, ma il poltrone non levò la testa già mai, del che messer lo dottore arrabbiava. La donna, consolandolo, attendeva a fargli carezze. Ma veggendo che il tutto era indarno, gli disse: – Messere, non vi tribolate per ora. Io verrò bene de l’altre volte che sarete meglio disposto. Tra questo mezzo io vi do per conseglio che apparate a mente il Magnificat, e vi gioverà assai. – Che diavolo, – disse il dottore, – vuol dir cotesto Magnificat? Io l’apparai fin da giovine. – Credolo, rispose ella; – ma non sapete voi che ai vespri, come s’intuona il Magnificat, che tutti si levano in piedi e si discoprono la testa? Bisogna che a questo dormiglione voi insegnate a far il medesimo. – E così levatasi, la donna si partì. Onde, i miei signori, si vede esser vero il proverbio che dice: «Colui che asino è e cervo esser si crede, al saltar del fosso se n’avvede».


Il Bandello al magnifico messer Giovan Battista Oddo da Matelica


Egli è pur passata un’età che io di voi nuova alcuna non ho avuta già mai avendovi io nondimeno indrizzato di me nuova per due mie lettere. Ed invero io mi persuadeva voi esser andato ne la Marca; ma questi dì ricercando io altro, intesi non so come che voi eravate pure in Mantova e che v’eravate in una vedova maritato, che v’aveva dato del ben di Dio. Piacquemi molto questa nuova, e subito determinai rallegrarmene con voi; il che ora con questa mia faccio con tutto il core. Voi potrete mò a le muse ed a voi stesso vivere, se tuttavia i molti fastidii che alcuni dicono esser proprii a la vita maritale, come il riso e il pianto sono proprietà degli uomini, vi lascieranno godere di quell’ozio che le muse vorrebbero. Sapete che, come dice uno dei nostri poeti, il coro dei poeti ama la solitaria vita e di portarsi per gli opachi e fronduti boschi, e volentieri fugge la pratica e commercio de le città. Giovami però credere che, avendo voi sposata una vedova, – che non può essere che non sia già vicina a la età matura, – [p. 360 modifica]l’averete trovata modesta e di maturi costumi, e che non vorrà se non quello che vorrete voi. Così nostro signor Iddio degni concedervi e far di modo che il vostro letto genitale non abbia questione nè liti già mai. Almeno non sarete stato in pericolo d’incorrere ne la fiera disaventura ne la quale, non è troppo, incorse un giovine inglese. Ed a ciò che sappiate la mala sorte de lo sfortunato inglese, io ve la mando, al nome vostro intitolata, in una mia breve novella. Eravamo questi dì molti in un compagnia, e si ragionava di molti accidenti che impensatamente agli uomini accadeno: quivi si ritrovò Odoardo Fernelich da Londra, mercadante, il quale narrò il pietoso caso, sì come voi leggendolo intenderete. State sano.

Un giovine si marita in una semplicissima fanciulla, che la seconda notte al marito tagliò via il piombino e i perpendicoli.


Molti accidenti occorrono tutto il dì in varii luoghi, i quali, quando si sanno, riempiono gli animi nostri di compassione e di stupore, come non è molto in Londra mia patria avvenne. Era in Londra un giovine chiamato Tomaso, il quale, per la morte del padre e de la madre essendo rimaso assai ricco, deliberò di maritarsi. Onde dopo praticate per gli amici e parenti suoi diverse pratiche, ritrovarono una fanciulla d’anni quindeci in sedeci, nata d’onesti parenti, a Tomaso di roba e di sangue uguale, la quale era così bella e così ben costumata come giovane che in Londra alora si trovasse. Ma, che che se ne fosse cagione, era ella fuor di misura tanto sempliciotta, per non dire sciocca, quanto da persona imaginar si possa. E questo le era per giudicio mio avvenuto per esser stata nudrita purissimamente, senza veruna pratica nè conversazione con persona, contra il general costume di tutta Londra e de l’isola nostra d’Inghilterra, ove s’usa che le figliuole da marito vanno a banchetti e feste e conversano con questi e con quelli, e si rendono avvedute e prontissime a risponder saggiamente quando sono di ciò che si voglia dagli uomini e dagli amanti loro richieste. Questa di cui ora vi parlo fu nudrita da una sua vecchia, che le narrava mille fole e le dava ad intendere le maggior pappolate del mondo, come si suol fare a’ piccioli fanciulli quando si dà loro de le vecchie a credere che le donne gravide gridano nel [p. 361 modifica]partorire, perchè si taglia loro sotto le ascelle la carne per cavarne fuor la creatura che nasce. Questa adunque, che Isabetta aveva nome, fu per moglie data con infelici auspicii a Tomaso, il quale, vedutala tanto bella, molto se ne rallegrava. Si fecero le nozze, a l’usanza nostra, ricche e festevoli. Venuta poi la notte, furono i novelli sposi messi a letto. Tomaso, che era giovine molto gagliardo e di forte nerbo, essendo ciascuno fuor de la camera uscito, s’accostò a la sposa che alquanto ritrosetta se ne stava. Egli da l’amore che a lei portava e dal buio fatto ardito e dal caldo de le lenzuola incitato, sentendosi tutto commovere dal concupiscibil appetito, l’abbracciò e cominciò amorosamente e con marital affezione a basciarla. Il perchè, destandosi in lui tale che forse dormiva, tentò di venir a l’ultimo godimento che gli amanti ricercano, e, cui senza, pare che amore resti insipidissimo. Essendo adunque ad ordine per espugnar la ròcca e prender il possesso di quella, si mise a voler rompere i bastioni e ripari che l’entrata gli impedivano. Ma come la sciocca e sempliciotta Isabetta, che non sapeva con che corno gli uomini cacciassero, mise la mano per vietar al marito l’entrata, e sentendo quella cosa così indurata e nervosa, si dubitò non esser da quella come da un pungente pugnale di banda in banda passata, e tuttavia piangendo faceva ogni sforzo a lei possibile per ribattere il suo marito indietro. Tomaso, che in buona parte pigliava la resistenza che ella faceva, non mancava con le mani a far ogni sforzo per vincerla e mettersela sotto, ma non puotè già mai vincerla. Piangeva ella amarissimamente e forte si lamentava, chiamando il marito ladrone, traditore e beccaio. Ora veggendo Tomaso l’ostinata resistenza e il gran rammaricarsi e querelarsi che la scemonnita moglie faceva, e il tutto pigliando in buona parte, deliberò tra sè per quella notte non le dar battaglia ma lasciarla riposare; onde mezzo stracco, ritiratosi in una banda del letto, attese a dormire il rimanente de la notte. Ella nulla o ben poco dormì, non le possendo uscir di capo che il marito con quel suo piuolo non la volesse guastare. Si lamentava la semplice scioccarella di quello che altre vie più sagge di lei si sarebbero molto contentate e ringraziato Iddio che dato loro avesse un marito di così forte nerbo e sì ben fornito di masserizia per bisogno di casa. Levossi la matina Tomaso e lasciò la moglie in letto, per cagione di lei poco allegra, anzi di tanta mala contentezza piena che più esser non poteva. Levata poi che ella fu, tutta di mala voglia, altro non faceva che piangere e rammaricarsi. Vennero alcune sue parenti e vicine che invitate erano [p. 362 modifica]al desinare; e trovatala così lagrimosa e malinconica, le domandarono la cagione di tante sue lagrime e rammarichi che faceva. Ella alora più dirottamente piangendo, cessate alquanto le lagrime e raffrenati i singhiozzi che il parlare le impedivano, rispose che non senza cagione si ritrovava disperata, perchè le avevano dato in vece di marito un carnefice che l’aveva voluta svenare e uccidere. Rimasero quelle donne quasi stordite, e consolandola la ricercavano che narrasse loro il modo col quale il marito svenar la voleva. Alora ella disse che il marito aveva un «cotale» lungo, grosso e duro, e che non tentava altro se non di cacciargliene nel ventre, ma che ella s’era gagliardamente diffesa, e che erano stati a le mani più di due ore grosse, e che l’aveva date punture molto terribili, e che in effetto, se non fosse stata la gran resistenza che fatta aveva, ella senza dubio ne rimaneva morta. Risero tra sè pur assai le donne de la sciocchezza de la sposa, e ci furono di quelle a cui le veniva la saliva in bocca e averebbero voluto esser state in quella scaramuccia, stimando una eccellente e gran vittoria l’esser state vinte e soggiogate. Ora, veggendo Isabetta le donne ridere di quello che ella stimava un’estrema sciagura, ed imaginando che quelle credessero che ella la verità non narrasse, con giuramento affermava la cosa esser precisamente passata come loro narrata aveva. Cominciarono le donne a consolarla e con amorevoli parole ad essortarla che non si sgomentasse di cosa che il marito le facesse, assicurandola che egli non le farebbe veruno male e che a la fine se ne troveria assai più che contenta. Ma elle cantavano a’ sordi. Ella non la voleva a patto nessuno intendere. Il che veggendo una baldanzosa più de l’altre, e burlandosi de la sciocchezza de la sempliciotta giovane, le disse beffandosi: – Se io fossi ne la tua pelle, come egli assalisse con quel suo spuntone io subito glielo tagliarei via. – La donna disse le parole di gabbo e mezza in còlera, veggendo tanta melensaggine in una giovane; ma la sposa le prese dal meglior senno che avesse, e parve che si' 'rappacificasse alquanto. Venne l’ora del desinare e si desinò assai allegramente, e vi furono di quelle che stranamente si misero a motteggiare lo sposo, avendo forse più voglia di giostrar con lui che di mangiare. Dopo che si fu desinato, ebbe la sposa modo d’aver un tagliente coltello, deliberata ne l’animo suo di far un malo scherzo al marito. Si cenò secondo il consueto, e dopo cena si fecero di molti balli e poi s’andò a dormire. Aveva la indiavolata sposa nascoso il coltello sotto il capezzale del letto da la sua banda. Essendo il marito con lei corcato, prima le disse molte buone parole per indurla [p. 363 modifica]al suo volere: che stesse forte, che non le faria male nessuno, e simili altre ciancie, a le quali ella nulla rispondeva. Ma volendo poi piantare il piuolo, ella, preso il coltello, diede sì fatta ferita in quelle parti al povero e sfortunato marito, che oltra che gli tagliò quasi via tutto il mescolo, gli fece anco una profonda piaga nel ventre, di modo che egli gridava quanto più poteva. Levati al romore quelli di casa ed entrati dentro la camera con candele accese, trovarono il meschino che, nel suo sangue involto, spasimato se ne moriva, di maniera tale che in meno d’un’ora morì. Il romore fu grande, e la sposa con un viso rigido altro non diceva se non che il marito la voleva ancidere. Fu da quei di casa tenuta sotto buona custodia e la matina messa in mano de la giustizia, la quale quella, udita la sua confessione, condannò ad esserle mózzo il capo. Il re Enrico ottavo, intesa la cosa come era seguìta, rimise il giudizio a la reina e a le dame de la corte. Elle, fatti sovra ciò lunghi discorsi, mosse a pietà de la semplicità d’Isabetta, la assolsero, conoscendo per la morte di lei non poter tornar la vita a Tomaso; il che fu dal re approvato. Altri vogliono questo accidente esser avvenuto a Roano, città primaria di Normandia, e fu de la medesima sorte di questo che ora v’ho narrato. Ma dei nomi del marito e de la donna non mi sovviene. Medesimamente sono in differenza questi che dicono esser il caso occorso a Roano, perchè altri lo narrano fatto sotto il re Francesco, primo di questo nome, ed altri sotto il presente re Enrico secondo. Tutti però affermano il re dopo la condannagione del parlamento aver la sentenza commessa a le madame de la corte, e la micidiale esser stata assolta. Pigliate mò qual voi volete, chè in libertà vostra è di prenderne una che più vi piaccia.


Il Bandello al molto gentile, vertuoso ed onorato monsignor Giovanni Gloriero tesoriero di Francia


Non fu mai dubio, monsignor mio onorato, appo gli uomini saggi che tutti i disordini che al mondo avvengano, dei quali tutto il dì infiniti ve ne veggiamo accadere, non nascano perciò che l’uomo si lascia vincere e soggiogare da le passioni e