Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte III/Novella XXVI

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Novella XXVI - Il capitano Biagino Crivello ammazza nel monte di Brianza un prete, per aver il beneficio per un suo parente
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[p. 24 modifica]col morto. Lo sciagurato ed avaro parrocchiano, gridando tuttavia mercé, fu per comandamento del duca messo ne la fossa e coperto incontinente di terra. Il perché, essendo la buca molta alta e il peso de la terra che a dosso gli fu gettata assai greve, si può credere che il povero prete subito si soffocasse. Come il duca vide la fossa esser piena, comandò ad uno dei suoi che andasse a casa del prete, e che quanto in casa si trovava da vivere e tutte le cose mobili che v’erano fossero date in dono alla povera vedova e suoi figliuoli. Il che fu integralmente esequito, con tanto terrore di tutta la chiesa di Milano, che per parecchi dí non vi fu prete che due volte da popolani si facesse richiedere. Ed ancora che cosí fatto castigo fosse nel vero troppo barbaro e crudele, fu nondimeno cagione che molti preti comendarono la loro discorretta vita. Pertanto, come v’ho detto, saria talora buono usare degli straordinari rimedii. Io mi fo a credere che gli avi nostri, che in Milano hanno fondato le cento parrocchie che vi sono, oltra altre tante badie, chiese, monasteri di frati e monache che molti si veggiono in questa cittá, e gli hanno arricchiti di rendite e possessioni, l’abbiano fatto perché i frati, i preti ed altre persone religiose possano vivere ed officiare le chiese, e ai poveri ministrare i sagramenti senza premio.


Il Bandello al magnifico messer
Gian Giacomo Gallarate


Vero esser si truova quasi ordinariamente quell’antico proverbio che dire tutto ’l dí si suole: che «la troppa familiaritá partorisce disprezzamento»; ed è sovente cagione che il minore non porta la debita riverenza al suo superiore che deverebbe, anzi con una prosuntuosa e temeraria confidenza casca talora in gravissimi errori. Per questo deverebbero coloro che altrui governano non si far tanto privati e domestichi con i suoi soggetti, che gli dessero occasione di tenergli in poco conto e presumere di fare de le sconce e mal fatte cose. Ed altresí denno i servidori, quando si conoscono esser dai padroni amati, governarsi prudentemente e sempre piú umili diventare, pigliando de la dimestichezza dei superiori meno ardire che sia possibile. Si parlava di questa materia in casa de la gentilissima e dotta signora Cecilia Gallerana, contessa Bergamina, e varie cose si dicevano, quando [p. 25 modifica]messer Gian Angelo Vismaro, che lá si trovò in compagnia di molti gentiluomini, disse: – Signora mia e voi altri signori, egli non accade molto a questionare sovra la proposta materia, né volersi affaticare che la troppa familiaritá partorisca disprezzamento verso il padrone, avendo l’essempio innanzi gli occhi che di questo ci fará piena fede. – E qui narrò ciò che una volta fece il capitano Biagino Crivello. E perché l’atto mi parve molto strano, io lo descrissi a ciò che la memoria non se ne perdesse, perciò che da le buone cose che si scrivono si piglia buono essempio, e da le male e triste azioni si cava che l’uomo le aborre e si guarda di cascare in simili errori. Avendo adunque scritto quanto il Vismaro narrò, ho voluto che sotto il nome vostro da la posteritá si legga, se perciò le cose mie potranno tanto durare. Ma io con questa intenzione pure le scrivo, avvengane mò ciò che si voglia. E per non vi tener piú verrò a l’effetto. State sano.


Novella XXVI


Il capitano Biagino Crivello ammazza nel monte di Brianza
un prete per aver il beneficio per un suo parente.


Non è qui, signora contessa e voi cortesi gentiluomini, persona che non conosca il capitano Biagino Crivello, il quale, come potete sapere, essendo stato uomo molto prode de la persona sua, e mentre che il duca di Milano Lodovico Sforza stette in stato, sempre onoratamente vivuto su le guerre con onorevoli condutte, ora ad altro non attende che a viver quetissimamente e visitar tutto il dí quante chiese sono in Milano, dandosi in tutto e per tutto a la salute de l’anima. Era egli in grandissimo credito appo il detto duca Lodovico, divenuto tanto suo domestico e familiare, che non suo soggetto ma suo fratello pareva. Egli era d’oneste ricchezze dotato, e non gli essendo da la moglie, che morta gli era, rimasto se non una sola figliuola, non si curò mai troppo, non volendo prender piú moglie, accumular possessioni, e tutto ciò che del soldo guadagnava, essendo general capitano di tutti i balestrieri ducali, spendeva in far buona cera ai buon compagni. Medesimamente ciò che il duca largamente gli donava, tutto distribuiva in farsi onore. Ora sapete che la schiatta dei Crivelli in Milano e per lo contado è innoverabile, e che ce ne sono di poveri assai, come ne le gran famiglie spesso avviene. Era dunque un giovine in questa famiglia [p. 26 modifica]assai letterato, il quale volentieri si sarebbe fatto prete se avesse avuto il modo di poter avere qualche beneficio. Questo, cadutogli in mente che il capitano Biagino sarebbe ottimo mezzo quando volesse aiutarlo, e conoscendolo molto amorevole ed umano, venne a trovarlo e gli narrò l’intenzion sua. Il che intendendo, il buon capitano, come colui che a tutti averebbe voluto far bene, e tanto piú a quelli del suo parentado, gli promise largamente che ne parlarebbe col duca, e farebbe ogni cosa per fargli aver l’intento suo. E per non dar indugio a la cosa, andò quel dí medesimo a parlar con messer Giacomo Antiquario, segretario del duca, e di tutto il ducato sovra i beneficii ecclesiastici iconomo generale. Era l’Antiquario uomo di buonissime lettere e di vita integerrima e appo tutti per i castigatissimi costumi in grandissima stimazione. Udita che ebbe esso Antiquario l’intenzione di Biagino, sapendo quanto il duca l’amava, gli disse: – Capitano, io non so che adesso ci sia beneficio alcuno vacante, ché quando ci fosse, io senza dubio lo saperei per l’ufficio che ho. Ma a me pare che voi debbiate parlare col signor duca e fare che egli ve ne prometta uno dei primi vacanti. Ma non vi perdete tempo, perché il duca ne ha promessi molti. – Il capitano, ringraziato cortesemente l’Antiquario, pigliò l’opportunitá e ne parlò col duca; il quale, udendo questa domanda, diede buone parole per risposta, commettendogli che stesse vigilante per intender se prete alcuno benefiziato morisse, e glielo facesse sapere. Avuta questa risposta, il capitano attendeva pure che qualche prete andasse in paradiso. E stando in questa aspettativa, avvenne che morí un arciprete in Lomelina, ne le castella del conte Antonio Crivello. Del che il capitano subito fu avvertito, e se n’andò a domandare questo beneficio al duca; il quale, sentendo la morte de l’arciprete, e avendo voglia di far conferire quello arcipresbiterato ad un altro, disse: – Capitan Biasino, perdonateci se ora non vi compiaciamo, perché non è mezz’ora che siamo stati astretti prometterlo a un altro. – Credette il capitano Biasino che il fatto stesse cosí, e si strinse ne le spalle, aspettando un’altra occasione. Né guari dimorò che un altro prete morí; e cercando aver il beneficio, ebbe dal duca la medesima risposta. Per questo non restò il capitano, né si sgomentò o perdettesi d’animo. Ora, vacando molti altri benefici, e sempre scusandosi il duca che di giá gli aveva donati, cominciò il capitano Biagino ad avvedersi che il duca si burlava di lui, e gli disse: – Signore, a quello che io veggio, voi vi beffate di me. Ma, al corpo di santo Ambrogio, mi farete far le pazzie. Datemi un beneficio e non [p. 27 modifica]mi straziate piú. – Il duca ridendo gli diceva che ben farebbe. Ora il fatto andò pur cosí: che come vacava qualche prebenda e che Biagino la chiedeva, diceva sempre il duca che era data via. Su queste berte adiratosi il capitano, disse fra sé: – In fé di Dio che io ne farò una che si terrá al badile. – Avvenne in quei dí che essendo in monte di Brianza, ne la terra di Merate, vide un prete decrepito, il quale aveva in quei luoghi un buon beneficio. Onde il capitano, senza pensarvi troppo su, l’ammazzò e se ne venne di lungo a trovar il duca, che era a Cusago, luogo vicino a Milano tre o quattro picciole miglia; e subito giunto, domandò il beneficio. Il duca, secondo la costuma, gli rispose che era buona pezza che l’aveva dato via. Allora il capitano con alta voce disse: – Corpo di Cristo! cotesto non è possibile, perché non sono tre ore che io l’ho ammazzato, e qui me ne sono venuto su cavalli da posta sempre correndo – Restò il duca a questa voce tutto stordito; e Biasino, subito montato a cavallo, se n’andò alla volta d’Adda e passò su quello de’ veneziani ove, avendo ottenuta la pace dai parenti del morto, ebbe anco la grazia del duca e dapoi un beneficio per il suo parente. E tutto questo causò per la troppa famigliaritá che aveva il buon capitano col suo signore.


Il Bandello a l’eccellente filosofo messer
Gian Cristoforo Confalonero


Ancor che tutto il dí si ragionasse degli effetti de l’amore, e che tutti gli scrittori d’ogni lingua ne scrivessero tutto ciò che mai avvenne, non è perciò che qualche nuovo accidente a la giornata non si veggia. E certamente, quantunque l’uomo o donna sia d’ingegno rintuzzato e piú scemonito che non fu Domenico Lazarone, che comprò quante mascherpe erano in mercato per far bianca una sua colombara, come Amore vi mette dentro il suo caldo, lo riforma tutto di nuovo e fallo avveduto ed accorto. Pensate poi ciò che fa quando ad elevato ingegno s’appiglia. Ora, essendo una brigata di gentiluomini in casa della signora Leonora giá moglie del signor Scaramuccia Vesconte, in Pavia, messer Giacomo Filippo Grasso, giovine nobile e dotto e buon compagno, narrò una novelletta