Novelle (Bandello, 1910)/Parte I/Novella XIII

Da Wikisource.
Novella XIII - La signora Camilla Scarampa, udendo esser tagliata la testa al suo marito, subito muore

../Novella XII ../Novella XIV IncludiIntestazione 11 gennaio 2023 100% Da definire

Novella XIII - La signora Camilla Scarampa, udendo esser tagliata la testa al suo marito, subito muore
Parte I - Novella XII Parte I - Novella XIV
[p. 157 modifica]

IL BANDELLO

a la molto vertuosa signora

la signora

camilla scarampa e guidobuona

salute


Sentito ho molte fiate disputare qual di queste due passioni piú tosto uccida un uomo, o la gioia od il dolore, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni per approvar quanto dicevono, con dire che gli spiriti vitali in una smisurata allegrezza essalano e in un gran dolore si ristringono e si affogano. E ben che tutto il dì questa materia sia messa in campo, a me pare che ancora la lite sia sotto il giudice e che resti indecisa; ché, se bene disse il nostro gentil messer Pietro Barignano in un suo madrigale,

cangia sperar mia voglia,
ché non si muor di doglia,

non è perciò che se talora l’allegrezza ha levato ad uno la vita, che anco non si truovi chi di dolor sia morto. Il che si potrebbe per essempi pur assai provare. Ma per ora, che il dolore rompa lo stame de la vita umana, mi contenterò con un sol caso avvenuto, non è molto, a una signora de l’istesso vostro nome e sangue, dimostrare. E perché non solamente in quello si vede esser certo che la doglia ammazza l’uomo, ma anco vi si comprende l’amore immenso che la moglie al marito portava, come l’ebbi udito lo scrissi. Io era questo carnevale passato ne la vostra patria d’Asti, ove stetti alcuni dì in casa del signor conte Giovan Bartolomeo Tizzone vostro cugino e per Massimigliano Cesare di quella città governatore. Quivi de la proposta lite contrastandosi, il signor Giovanni Rotario narrò il [p. 158 modifica]caso di cui parlo. Onde, come ho detto, avendolo scritto, non ho voluto che senza il vertuoso vostro nome si veggia; perciò che, parlando de la signora Camilla Scarampa, mi è parso convenevole che a la signora Camilla Scarampa si doni e consacri, e tanto piú volentieri ve lo mando, quanto che la signora vostra madre ed il signor Aloise Scarampo vostro fratello, che furono a la narrazion presenti, affermaron la detta signora Camilla esser stata del vostro sangue, e voi per quella aver il nome che avete. Il che sará cagione che questa mia novella non potrá esservi se non cara, e giovami credere che sará cagione di farmi veder qualche bella vostra composizione, parendomi un’etá che io non ho da voi né lettere né rime; e pur vi deverebbe talora sovvenire di me che tanto vi son servidore. Ma com’esser può che di cosí nobil morte e pietosa di questa vostra parente voi negli scritti vostri non abbiate fatto mai menzione alcuna? ché in vero merita esser tenuta viva ne la memoria de la posteritá. State sana.

NOVELLA XIII

La signora Camilla Scarampa, udendo esser tagliata la testa al suo marito, subito muore.

La disputa che voi, signori, tra voi graziosamente fatta avete, m’induce a narrarvi non una novella, ché questo nome non vo’ a la mia narrazione dare, ma un pietoso e breve caso, per il quale vederete che non solamente per soverchia allegrezza si muore, ma che anco si muor di doglia. Era del paese di Monferrato governatore il signor Costantino Aranite, cacciato del suo dominio da l’imperador dei turchi. E perché era de la madre del marchese Guglielmo di Monferrato strettissimo parente, a Casale si ridusse, ed essendo il marchese Guglielmo ancor fanciullo, egli lo stato governava. Avvenne in quei dí che il signor Scarampo degli Scarampi, famiglia in questa cittá ricca e nobilissima e di veneranda antichitá, che aveva per moglie una gentilissima e bella donna pur de la famiglia degli Scarampi, che Camilla si nomava, venne a questione con un gentiluomo [p. 159 modifica]di Monferrato per li confini de le lor castella. Aveva il signor Scarampo ne le Langhe alcune belle castella, ed in Monferrato anco teneva una bellissima terra. Ora in quei dí che Carlo VIII, re di Francia, passò in Italia e andò a pigliar il reame di Napoli, litigava esso Scarampo a Casale innanzi al conseglio del marchese per mantenere le giurisdizioni del suo luogo che quello di Monferrato cercava d’occupargli. E veggendo che non gli era fatta quella ragione che gli pareva d’avere e che il suo avversario aveva piú favore, se ne lamentò due e tre volte a la marchesa ed al signor Costantino. Ma, non essendo udito, fortemente se ne sdegnò. Egli era molto piú ricco e potente che non era colui con il quale piativa, perciò che, come ho detto, e in Astesana ed altrove aveva molti bei luoghi. Onde si deliberò da se stesso farsi ragione, non considerando che, per il feudo che aveva in Monferrato, era soggetto e vassallo del marchese e che d’ogni insulto che facesse sarebbe da la giustizia punito. Io credo che considerasse solamente a l’etá del marchese che ancor era fanciullo, e non guardasse che ’l signor Costantino, che era governator nuovo, cercava di farsi ubidire e d’esser temuto per acquistarsi autoritá. Congregata adunque moltitudine di gente dagli altri suoi luoghi, andò a l’improviso al castello del suo avversario, e quivi fatta ripresaglia, furono dai suoi molte cose rubate ed alcuni uomini morti. Come la cosa a Casale s’intese, fu al signor Scarampo a nome del marchese vietato che piú innanzi non andasse, e che facesse restituire tutto ciò che stato era preso e che personalmente innanzi al conseglio marchionale comparisse. Egli, sprezzato il comandamento del suo signore, non solamente non restituì ciò che i suoi avevano rubato, ma di nuovo con armata mano ritornato al luogo del suo contrario, fece peggio che prima, e non si curò di comparire. Il che sentendo il signor Costantino, e parendogli che il tutto fosse a vergogna del signor marchese e danno de la giurisdizione marchionale, e che di lui si teneva poco conto, di nuovo fece far un altro comandamento, che sotto pena de la privazione del feudo e di perderne la testa, egli fra termine di cinque giorni devesse personalmente presentarsi in [p. 160 modifica]Casale. Il signor Scarampo lasciatosi a la còlera e a lo sdegno governare, sprezzato questo altro commandamento, cominciò a far assai peggio che fatto non aveva, e sperando potersi ritrar a le castella che di qua aveva, andò e la villa del suo contrario abbrusciò e il tutto mise a sacco e a rovina. Il signor Costantino, che quasi questo disordine preveduto aveva, s’era di gente provisto e subito se ne venne e pose l’assedio intorno al castello del signor Scarampo, prima che egli partire come deliberato aveva se ne potesse. La signora Camilla sua moglie, sentendo questa mala nuova, fece ogni sforzo per metter vettovaglia nel castello ove era il marito. Ma per la solenne ed assidua guardia che i nemici facevano, non puoté mai fare che i suoi penetrassero al marito. Onde, sapendo che egli non aveva bisogno se non di pane, si ritrovò molto di mala voglia, e dubitando di ciò che avvenne espedì per le poste un suo a Lodovico duca d’Orliens in Francia, supplicandolo che con piú fretta che fosse possibile provedesse a la salute del signor Scarampo. Il duca, che aveva molto caro esso signor Scarampo, subito mandò con sue lettere un cameriero a la marchesa di Monferrato e le domandò di grazia che non lasciasse proceder piú innanzi il signor Costantino contra il signor Scarampo, e che farebbe che egli saria ubidiente e sodisfaria a tutti i danni del suo avversario. La marchesa, avuto il messo del duca d’Orliens, lo mandò con sue lettere al signor Costantino; il quale in quel tempo era a pattuire col signor Scarampo, che non avendo piú da vivere nel castello ed avendo mangiato i cavalli e quanto ci era, si rendeva a discrezione. Presentò il cameriero le lettere. Ma il signor Costantino, non so da qual spirito mosso, come ebbe lette le lettere, fece nel castello istesso tagliar la testa al signor Scarampo. Il che fu poi cagione de la sua rovina, perciò che non passarono tre anni che Lodovico duca d’Orliens fu fatto re di Francia e prese il ducato di Milano, ed il signor Costantino fu astretto fuggire di Monferrato, perciò che il re aveva giurato di farlo morire se gli capitava a le mani. Ma torniamo a la signora Camilla, la quale, intendendo questa acerbissima nuova del marito, che ella amava a par de [p. 161 modifica]la vita sua, subito udito il messo s’inginocchiò, e pregando Dio che le perdonasse i suoi peccati lo supplicò che le desse la morte. Mirabilissima cosa certo fu a veder quella bellissima donna, pregando Iddio, restar a la presenza dei suoi morta, ché come ebbe detto: — Signor Dio, poi che il mio consorte è morto, non mi lasciar piú in vita, — se le serrò di modo il core, che, senza far piú motto alcuno, cascò in terra. I suoi uomini e donne, credendo che fosse stramortita, se le misero a torno per rivocarle con vari argomenti gli spiriti vitali; ma poi ch’apparve morta a manifesti segni, fu con general pianto e dolor di tutti seppellita.