Novelle (Sercambi)/Novella II

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Novella II

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Introduzione Novella III
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II


Ditta la bella canzona, l’altore per ubidire il preposto, essendo fuora del prato disse:


DE SAPIENTIA

Di Alvisir dalla Tana di levante, ricco, con tre figliuoli.


N>arrasi che uno mercadante della Tana nomato Alvisir, omo ricchissimo, avendo tre figliuoli, l’uno nomato Arduigi, l’altro Scandalbech, lo minore Manasse, avenne che ’l ditto Alvisir infermando e cognoscendo dovere abandonare questo mondo, divise lo suo tesoro. E prima tre pietre preziose di stima ciascuna di ducati xxx mila nascose innun luogo secreto, e circa ducati cxx mila sí riserbò in una cassa e senza alquante possesioni et arnesi.

E venendo peggiorando e presso alla morte, chiamò questi iii suoi figliuoli, alli quali comandò e disse che prima che morisse volea che loro promettessero che mai non toccheranno li ditti gioielli, <e disse dove> erano e la valsuta. Apresso fe’ venire dinanti da sé li ditti ducati cxx mila e quelli divise per terzo, asegnandone a ciascuno xl mila. E questo fatto, il ditto suo figliuolo magiore nomato Arduigi giurò e promise osservare. E simile sacramento fece Scandalbech, e apresso Manasse suo figliuolo minore. Auto il preditto Alviser tali promissioni <e> sacramenti, subito quelli benedisse; e da inde a poghi giorni passò di questa vita; al cui corpo i figliuoli feron grande onore, secondo li costumi de’ mercanti del paese. [p. 12 modifica]

E stando li preditti fratelli senza fare alcuna mercantia, ma continuo in sul godere e darsi piacere in cene e in desnari, in femmine et in cavalli et altri piacevoli diletti, intanto che non molto tempo durò che ’l minore fratello, cioè Manasse, consumò quasi la somma de’ ducati xl mila della sua parte, e li altri fratelli avean consumato piú delle tre parti della loro parte avendo sempre speranza che ’l gioiello de’ ducati xxx mila fusse in loro susidio. Consumato il ditto Manasse i suoi ducati, senza richiedere alcuno de’ suoi fratelli andò a’ luogo ov’erano li gioielli e di quine ne trasse uno et a mercadanti veneziani venuti alla Tana lo vendéo secretamente ducati xxx mila.

E’ tenendo per sé, faccendo massarizia e vivendo senza le prime spese intendendo alla mercantia, lo fratello magiore, nomato Arduigi, avendo consumato la parte a lui data de’ ducati xl mila, disse a Scandalbech suo mezzano fratello il suo bisogno, dicendo che lo pregava fusse seco a parlare a Manasse, sperando che per le spese che Manasse avea fatte dovere star contento che li gioielli si partisseno. Il preditto Scandalbech fu contento perché lui similemente la sua parte avea consumata.

E mossi i preditti du’ fratelli, andati a Manasse narrandoli quel che il loro padre avea loro imposto, e massimamente de’ gioielli che quelli non si toccassero se tutti insieme non fussero contenti, dicendo: «Noi abiamo consumato tutti quelli denari che nostro padre ci diè e simile pensiamo che tu abbi i tuoi consumati», pregandolo che stia contento che ciascuno prenda il suo gioiello per potere con quello venire a onore; al quale il ditto Manasse rispuose: «Io non voglio acosentire, però io veggo che a me vorreste tollere il mio gioiello; ma se sete contenti che io abbia la mia parte di quelli gioielli, sono contento». Al quale li du’ fratelli con sacramento lel promisero.

E cosí se n’andarono a’ luogo dove il loro padre avea ditto, e quine cercando trovonno due gioielli, dove il padre avea ditto di tre. E come questo fu veduto, Manasse disse: «Ben lo dico io che voi m’avete ingannato! E però veniste a me a dirmi che volevate il gioiello, perché n’avete tolto uno! E però vi dico, sia come si vuole, io arò uno di questi due perché mi tocca in parte». [p. 13 modifica]Rispuose Arduigi, magior fratello e disse: «Di vero dobiamo credere, ché nostro padre non disse mai bugia, che veramente li gioielli denno esser tre. E se noi volessimo dire altri che noi tal gioiello ha tolto, dico non esser vero. E prima, che neuna persona del mondo lo sapesse se non noi; apresso, se alcuno li avesse trovati, elli li arebe tutti e tre portati via e non ce n’arè’ lassato veruno. E pertanto io conchiudo di vero che uno di noi è stato quello che ha preso il gioiello. E perché noi siamo fratelli e dobianci amare insieme e non corucciarsi, vi dirò mio parere; e quando l’arò ditto potrete prendere quello vi parrá». E cominciò a dire: «Fratelli miei, voi sapete che il Cali signore del Mangi fue grande amico di nostro padre et è il piú savio omo che sia innella legge di Macometto. Se paresse a voi — ché a me pare — che noi questa quistione del gioiello remettessimo in lui, e quello ne dichiara ciascuno stia contento; e tanto che abiamo da lui la dichiaragione questi du’ gioielli non si tocchino e lássiansi qui stare». Il quale dire piacque a’ fratelli: e allora rispuoseno li gioielli dove il padre li avea messi e diliberonno di caulinare verso il Mangi. E prima che si mossero dalla Tana ordinaron di viver sempre insieme et a uno scotto e che mai tra loro non sarò’ alcuna quistione tra via per cagione del gioiello: «E cosí innel ritorno oserveremo quello che il Cali dirá». E cosí promissero.

E mossensi dalla Tana del mese d’aprile forniti di vettovaglia e d’altre cose bisognevoli alla loro vita, perché piú di xl giornate hanno a caminare prima che siano innel Mangi. E caminando, giá passato aprile, dilungatosi dalla Tana piú di xx giornate, divenne che Arduigi fratello magiore disse a’ fratelli: «Fratelli miei, acorgetevi voi che per questa pianura è passato una camelia che non ha se non l’occhio manco?» Li fratelli rispuoseno: «A che te n’acorgi?» Lui disse: «Bene me n’acorgo io»; e tacéo. E mentre che i preditti caminano, essendo alquanto caldo, per voler mangiare e riposarsi sotto a uno arboro <fermatisi> e quine mangiando, Scandalbech fratello mezano disse: «Fratelli miei, io vi dico che in questo luogo s’è posto a giacere una camelia carica di mèle e d’aceto». I fratelli disseno: «Come lo sai?» Lui disse che cosí era. E mangiato che ebbeno, volendo caminare, [p. 14 modifica]Manasse disse: «Per certo qui è stato una gamella senza coda». I fratelli disseno: «Come lo sai?» Disse: «La coda non avea!»

E missosi a caminar perché presso al Mangi erano a una giornata, e caminando scontrarono uno vetturale il quale li domandò se loro aveano veduto una gamella carica. Disse Arduigi: «La tua gamella era con uno occhio meno?» Disse il vetturale: «Sí». Arduigi disse: «Non la viddi mai». Disse Scandalbech: «La tua gamella era carica di mèle e d’aceto?» Lo vetturale disse: «Sì». Scandalbech disse: «Non viddi a mia vita». Manasse parlando dicendo: «La tua gamella era senza coda?»; lo vetturale disse: «Voi avete ditto tutti la veritá». Manasse disse: «Io non l’ho veduta; và cercala». Lo vetturale avendo udito costoro e tutti i segni, disse: «Per certo voi me l’avete rubbata, ma io farò che a me la ristituerete con ogni danno et interesse».

E cosí misse<si> in camino con questi tre fratelli e insieme giunsero al Mangi. Lo vettorale subbito questo vidde ha fatto richiedere i ditti fratelli dinanti al Calì signore, et allora domandò la sua gamella con ogni danno <e> interessi, narrando i segni che a lui per loro li erano stati contati. Il Calì, ciò udendo, disse a’ ditti che si difendino, li quali con sacramento giuravano la ditta gamella non aver mai veduta: «Posto che noi abiamo contati i segni». Ai quali il Calì disse: «Se non dite le cagioni evidenti de’ segni dati, voi menderete ogni danno e interesse».

Arduigi, che prima avea ditto la gamella esser con l’occhio manco, disse: «Signore, passando tra du’ prati d’erba e vedendo Torme di gamella e vedendo che solo da l’uno de’ lati l’erba era morsa, stimai tal gamella aver meno un occhio, però che l’uso de’ gamelli è che l’uno boccone prende da l’uno de’ lati e l’altro da l’altro. E questo fu quello ch’io disse della gamella». Scandalbech disse: «Signore, essendo noi sotto un arboro posti per riposo, vedendo quine essere raunate in sul terreno alquante mosche da l’uno de’ lati e d’altra parte moscioni, stimai quine essere stata una gamella caricata di mèle e d’aceto, però che al mèle tragano le mosche et a l’aceto tragano i moscioni; e per questo modo li disse. Ma ch’io mai la vedessi non li crediate». Manasse, il qual [p. 15 modifica]avea ditto non aver coda, disse: «Perché le gamelle poste a giacere, volendo orinare fanno colla coda una fossa innella rena e quine orinano e poi colla coda ricopreno l’orina. Et io, vedendo l’orina esser sparta per la rena, stimai la gamella non aver coda; e altro mai non sentì». Udito il Calì le belle ragioni assegnate per quelli tre fratelli giudicò esser vero quello che aveano ditto et al veturale comandò andasse a ritrovare la cosa sua, diliberando coloro.

E veduto il Calì la bella aparienzia de’ giovani e la sottile interpetrazione della quistione, venutoli dinanti domandandoli, di qual paese erano e la cagione perché erano venuti desiderava io sapere. Al quale, come ordinato aveano li tre fratelli che Arduigi magiore fratello fusse quello che rispondesse, e’, fatto la debita reverenzia, in questo modo rispuose: «Magnifico signore e potente savio et amatore di verità e de’ veri amici, quello Maumetto che voi adorate vi conservi felice e lungo tempo. Noi siamo tre fratelli nati della buona memoria di Alvisir della Tana, li quali volendo ubidire il comandamento di nostro padre, ci siamo derizzati dinanti alla vostra magnifica signoria e prudenzia, acciò che voi, in tutte scienzie amaestrato, dobiate cognoscere e terminare alcuno dubio tra noi nato; pensando che quello ne direte será tutto vero e buono giudicio, per noi non s’aporrá. E di questo sommamente vi preghiamo, cognoscendo noi non esser sofficienti a dovervi ripremiare in alcuna cosa, ma pregando il vostro e nostro Idio che vi dia lunga vita». Lo Calì, avendo inteso costoro esser figliuoli di Alvisir della Tana il quale era stato grande suo amico, con grande amore venuto <a> li ditti fratelli, e volentieri acettò volere la loro questione difinire.

E per amore del loro padre piacqueli che la sera dovesseno esser con lui e invitòli dicendo: «Io voglio che stasera torniate innel mio albergo per amor del vostro padre et eziandio per le vostre persone, che meritate ogni bene per la vostra providenzia. Ma prima che ad altro vegnamo io vo’ sapere la quistione che volete che io finisca e termini tra voi». Arduigi rispuose: «La nostra questione sta in questo punto: nostro padre, il quale mai non disse bugia, ci disse che avea in uno luogo secreto misso tre gioielli, di valsuta ciaschiduno di ducati xxx mila e che quelli mai non [p. 16 modifica]si toccasero per noi se di concordia tutti e tre non eravamo. E cosí lo promettemmo e lui ci diè la benedizione e passò. Dapoi noi per la gioventú non corretta effrenati, il mobile lassato abiamo consumato. E volendo puoner mano a’ gioielli nascosi, di concordia andammo lá u’ nostro padre avea disegnato, e non trovandovi che du’ gioielli, abiamo stimato che noi lo terzo abiamo preso. Pare a ciascuno de’ miei fratelli io doverlo aver preso e a me pare loro averlo preso. E questa è la nostra quistione».

Udito il Cali la loro quistione fu molto piú contento d’averli io invitati, stimando: «Costoro faranno tra loro questione di tal gioiello, et io, intendendo quello che tra loro diranno, potrò meglio sentenziare»; diliberando mettere costoro in una cambera innella quale avea una colonna in mezzo murata, innella quale si potea venire e udire e veder tutto ciò che faceano chi in quella camera era, senza esser veduto. E come diliberò misse in efetto. Li fratelli acettando, lo Calì li fece aconciare innella ditta camera, dicendo tra se medesmo: «Costoro sono venuti a me che io dichiari loro la quistione? Et eliino hanno ditto la interpetrazione alle cose non vedute, come della gamella, e a me vegnan per interpetrare le cose che hanno veduto del gioiello? Per certo il modo preso d’averli in tal camera mi fará di questo fatto aver onore». E con questo modo fece aparecchiare innella ditta camera tutto ciò ch’era di bisogno.

Venuta l’ora della cena, i preditti fratelli posti a mensa innella ditta camera, il Calì entrato innella colonna, Manasse, vedendo tale colonna innella ditta camera e non parendo a lui la ditta colonna necessaria in si fatto luogo, stimò subito quella il Calì aver fatta per poter saper quello che in tal camera si facea, stimando il Calì in quella dentro essere. E mentre che a taula stavano, venute le vivande e mangiando, doppo alquanto tempo disse Arduigi: «Fratelli miei, di vero questa carne che il Calì ci ha dato stasera a mangiare fu allevata a latte di cagna». Li fratelli, ciò udendo, disseno: «A che te ne acorgi?» Rispuose: «Ben me ne acorgo io». Lo Cali, che tutto ode, cominciò a ridere di tale parole spettando udire più oltra. E passato alquanto, Scandalbech disse: «Fratelli miei, io mi sono acorto che questo vino che il Calì ci [p. 17 modifica]ha dato è nato dove si sotterrano i corpi morti». I fratelli disseno: «Ben hai sottile gusto a ciò sapere». Lo Calì udendo disse fra sé: «Costoro hanno nuovo pensieri; stando a scottare sentirò della loro quistione». Manasse, avendo udito il parlare de’ fratelli, dispuose narrare il suo pensieri e disse: «Fratelli miei, voi avete ditto l’uno della carne e l’altro del vino: et io vi vo’ dire che veramente questo Calì che ci ha qui invitati e fattoci onore è bastardo». Disseno i fratelli: «Mal dici! E che puoi tu sapere di tal cosa?» Rispuose: «Ben lo so io». Lo Calì, come udlo dire esser bastardo, subito prese pensieri voler tutto sapere.

E partìsi della colonna e di presente mandò per lo suo siniscalco al quale disse: «Che carne hai tu dato stasera a quelli forestieri?» Disse: «Io diedi loro uno agnello il quale ci donò Nieri nostro vicino». Lo Cali subito mandò per lo ditto Nieri e volse sapere di quello agnello. Lui rispuose: «Avendo una pecora pregna e parturendo uno agnello, morlo la ditta pecora, e io avendo una cagna che avea fatto i cagnuoli questo agnello feci alevare a latte di tal cagna». Il Calì sentendo questo stimò sé esser bastardo. E subito mandò per lo bottiglieri, dicendo di qual vino avea dato a’ forestieri. Rispuose: «Di quel vino di quella vigna dove si soppelliscono i corpi morti». Lo Cali tenne per certo lui esser bastardo, vedendo i du’ aver detto il vero. E mandò per la madre et a lei disse di cui figliuol era. La madre disse: «Se’ figliuolo del Calì vecchio». Lui replicando disse: «Di vero non sono! Ditelo presto!» La madre disse: «Di vero tu se’ figliuolo del conte di Ragugia». «Donqua sono io bastardo?» La madre disse: «Sìe». Ritornato il Cali innella sua camera, parendoli la notte mille anni, si posò.

Levato il sole, il Calì mandò per li tre fratelli, e venuti, disse al magiore quale era il suo ragionamento, alla cena, della carne. Arduigi disse che veramente quella carne era allevata a latte di cagna. Disse il Calì: «Che ne vedesti?» Rispuose: «Perché di tal carne l’uomo non se ne vede mai sazio; e vedendo io avere mangiato presso a uno agnello, stimai così». Lo Cali disse: «Tu hai ditto il vero». E poi disse: «E tu che dicesti del vino, che potesti comprendere?» Rispuose Scandalbech: «Signore, noi della Tana [p. 18 modifica]abiamo buone teste; di che io stimai tale vino esser nato dove si seppelliscono corpi morti, perché naturalmente il corpo dell’uomo è grave et alla testa dá impaccio». Lo Cali signore rispuose: «E così trovo». E a Manasse disse: «O tu che dicesti che io era bastardo, che scienzia hai aparato che le cose fatte innanti al tuo nascimento possi sapere?» Manasse rispuose: «Se permetti dirò». Disse il Calì: «Io permetto». Manasse disse: «Stimando io tu doverci stare a vedere et a udire, stimando non esser atto di buono omo ma di bastardo; ma stimandoti a udire et a vedere, stimai io tu esser bastardo; il qual dire ti prego mi perdoni». Disse il Calì: «Per certo tutti avete ben giudicato. Ma acciò che della vostra quistione io vi dia buona asoluzione, prima che ad altro io vegno voglio dirvi una novella e dimandarvi d’alcune cose». Arduigi disse: «Signor, dite».

II Calì disse: «Una bellissima giovana nata d’un gentil conte e maritata a uno gentile uomo è a passare per lo terreno di tre giovani come voi siete, ciascuno potente a tenere il passo. Stimando tu, Arduigi, essere il primo signore lá u’ tal giovana acompagnata a marito n’è menata e passa per lo tuo terreno, i tuoi famigli quella conduceno a te. Dimmi: che faresti d’essa? E, Scandalbech, rispondi: per lo tuo terreno è presa dalle tuoi brigate e condutta in tua forza: che faresti di tale giovana? E tu, Manasse: la donna ditta t’è rapresentata bella e pulcella et hai di le’ tutto tuo dominio. Dimando: che ne faresti?» Arduigi risponde che tale giovana farò’ acompagnare per tutto il suo terreno secura e senza villania farle né consentire che altri ne facesse. Scandalbech disse <che> avuta tale giovana quella usare’ e prenderebene piacere e dapoi onorevilmente ne la manderò’ al suo marito. Manasse disse: «Di vero tenete, Calì, quando a me fusse presentata io ne farei mia volontà. E dapoi vorrei che tutti i miei famigli l’avesseno e che sempre tra loro si tenesse senza mandarnela».

Udito tal cosa il Calì subito disse: «Et io giudico che, o Manasse, <tu> abia auto il gioiello e non li tuoi fratelli». Manasse disse: «Tu di’ il vero». Lo Calì disse: «Come l’hai così tosto confessato?» Rispuose Manasse: «Come confessasti tu ch’eri bastardo». E dato tale giudicio, i ditti fratelli preseno cumiato dal Calì e ritor[p. 19 modifica]nonno in verso la Tana, di buona concordia, dando l’uno de’ gioielli a Arduigi e l’altro a Scandalbech. E fattone denari, dati tutti e tre alla mercantia, avanzando e vivendo onorevilemente senza gittar piú né fare male spese, lassando li atti giovinili.

Ex.º ii.