Novelle (Sercambi)/Novella III

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Novella III

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Novella II Novella IIII
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III


U>dito il preposto la dilettevole novella de’ tre giovani e del Calì, parendoli esser stata di grande sentenzia ad aver sentimento delle cose non vedute, essendosi giá partiti da Pisa, e vòltosi a l’altore dicendoli che segua qualche bella novella piacevole fine che giungeranno alla cittá di Volterra, l’altore presto a ubidire disse:


DE SIMPLICITATE

Di Ganfo pilicciaio.


I>nnella cittá di Lucca, innella contrada di San Cristofano, fu uno pilicciaio, omo materiale e grosso di pasta in tutti i suoi fatti — nomato Ganfo — , salvo che alla sua bottega assai guardingo e sottile. Divenne che ’l ditto Ganfo infermò d’alcuna malatia e fu da’ medici lodato il bagno a Corsena esserli utile piutosto che le medicine; di che disposto il ditto Ganfo d’andare al bagno, chiese alla moglie, nomata monna Tedora, denari per portare al bagno e vivere. La donna sua moglie li diè x lire di sestini dicendoli: «Fà piccole spese». Ganfo messosi la via tra’ piè e caminato pianamente pervenne al bagno senza aver beuto e mangiato altro che un pogo di acqua. E quella bevé alla Lima, che volendo passare la ditta acqua, non volendo montare in sul ponte, si misse per l’acqua; e lui debile e l’acqua grossa, quasi non afogò. E in questo modo Ganfo avea beuto una pogo d’acqua.

Giunto al bagno e andando a vedere lui le persone si bagnavano, vedendovi dentro centonaia di omini nudi, disse fra se medesmo: «Or come mi cognoscerò tra costoro? Per certo io mi [p. 21 modifica]smarirei con costoro se io non mi segno di qualche segno». E pensò mettersi in sulla spalla ritta una croce di paglia, dicendo: «Mentre che io arò tal croce in sulla spalla io serò desso».

E come ordinò misse in effetto, che la mattina rivegnente il ditto Ganfo, nudo colla croce in sulla spalla ritta, entròe innel bagno. E quine stando, guardandosi la spalla e veduta la croce, dicea: «Ben sono esso». Dimorando alquanto e facendoli alle spalle freddo e <innell’> acqua gallegiava, tirandosi abasso, la croce della spalla se li levò e a uno fiorentino, che a lato a lui era presso, la ditta croce in sulla spalla li puose. Ganfo, guardando sé e non vedendo la croce, voltandosi la vidde a quel fiorentino. Subbito trasse a lui dicendo: «Tu se’ io et io son tu». Il fiorentino, non sapendo quello volesse dire, disse: «Và via!» Ganfo replicando disse: «Tu se’ io et io son tu». Lo fiorentino, parendoli costui fusse mentagatto, disse: «Và via, tu se’ morto!» Ganfo, come ode dire tu se’ morto, subito uscìo del bagno e missesi i panni. Senza parlare né mangiare né bere si misse a caminare venendo verso Lucca, e quantunqua ne scontrava che lui salutasseno a neuno rispondea.

Venuto a Lucca e giunto alla sua casa, mona Tedora vedendolo disse: «Ganfo, o tu se’ sí tosto tornato?» Ganfo udendola disse: «Tedora dolce, io sono morto». E gittatosi in sul letto senza aprire occhi né altro sentimento fare, dimostrando esser morto — ché pogo spirito avea si per la malatia avuta sí per lo caminare senza aver mangiato né beuto sí per la paura — , la donna giudicò esser morto. E subito gridando, scapigliandosi, dicendo Ganfo suo marito esser morto, li vicini tragano a confortare la sconsolata di sí buono marito, dando consiglio che Ganfo sia sopellito; e cosìe si misse in ordine. Venuta la bara e quine messo Ganfo, lui stando cheto e come morto si lassa menare.

La chiericia raunata e venuta colla croce a casa e ricevuta la cera, andando con Ganfo alla chiesa per quello sopellire, e mentre che Ganfo era cosí portato, una fantesca nomata Vettessa domandando quello era, fulli ditto che Ganfo era morto. Come Vettessa questo udìo incominciò a gridare e dire: «Maladetta sia l’anima di Ganfo, che in quel maladetto punto li diedi un mio piliccione a raconciare che mai non lo potei avere». E questo dicea spesso. [p. 22 modifica]Ganfo, che piú volte avea avuto parole con Vettessa, sentendola gridare, parendoli che Vettessa dicesse male, parlò alto e disse: «Vettessa, Vettessa, s’io fusse vivo come son morto, io ti risponderei bene!» Alle quali parole quelli che portavano la bara lassaron cader in terra dubitando fusse spirito fantastico, e tutto Ganfo si macolò. I chierici traendo a lui e le persone d’atomo, e vedendolo vivo disseno: «O che malaventura hai tu, Ganfo, che ti volei far sotterare vivo per morto?» Ganfo, vedendosi intorno li parenti e’ vicini disse loro la novella del bagno.

Li preti se n’andarono colla cera auta e Ganfo fu rimenato in casa, e confortato divenne sano e la sua arte esercitò.

Ex.º iii.