Novelle (Sercambi)/Novella XXV

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Novella XXV

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XXV


U>dito lo preposto l’avarizia del fiorentino, e il modo del famiglio faccendo ridere la brigata, e giunti a Bolsena dove vide assai cattivi volti per malatia, rivoltosi a l’autore li disse che ordinasse qualche novella piacevole fine che troveranno qualche bel prato fiorito, acciò che la brigata quine prenda un pogo di riposo. «Volentieri», rispuose l’autore, «farò la brigata contenta». Et alla brigata si volse dicendo: «A voi, simplici, che durate fatica a diletto senza alcuno frutto, io vi dirò ii novelle quasi d’una sustanza assai da ridere; le quali cominciano in questo modo:


DE SIMPLICITATE ET STULTITIA

Di Valore e Truglio, omini grossi.


U>no fiorentino nomato Valore, omo assai di buona pasta, et uno pistorese nomato Truglio, del modo di Valore savio, de’ quali io dirò di loro alcuna noveluzza.

E prima dico che il ditto Valore, andando per camino, li fu molto lodato l’acqua e massimamente la mattina lavarsene il viso e talora berne. Valore che incorpora quello che a lui è utile, avendo ad andare da Firenze a Milano, e prima aconciòsi assai bene il corpo, di Firenza si partìo e per lo giorno giunse a Lucca. Et andato a l’albergo dimandò l’oste se avea dell’acqua. L’oste rispuose: «Du’ pozzi pieni». Valore disse: «Or me la serba». L’oste disse: «E’ sarà fatto».

E venuta l’ora della cena — ch’era di state — , essendo innell’albergo certi pisani a cenare, disseno: «Oste, fà che abiamo [p. 125 modifica]dell’acqua fresca». Valore, che questo ode: «Fa’ bot’a Dio, non arete, che io l’ho tolta per me». Alcuno di quelli pisani, udendolo dire fa’ buot’a Dio, disse a’ compagni: «Costui dé esser di quelli ciechi fiorentini». Valore, che ode dire ciechi, rispuose: «Io vi veggo bene e dell’acqua non arete se crepaste». Il pisano, odendo sì biastimare, alza la mano e dalli una gotata: «Tò, togli!». Disse Valore: «Or questo che vuol dire? O usasi di fare così prima che si ceni?» Disse il pisano: «Sì, e doppo cena se ne dà du’ tanti». Valore tacéo e pensò dire a l’ostieri che non desse dell’acqua ad altri che a lui; e così li disse. L’ostieri disse che tutto farè’, e da parte lo misse solo, e li altri osti in altro luogo, aparecchiando a Valore cena solo, con acqua.

Cenato che Valore ebbe, disse alto presente tutti li osti: «Fà che domatina tutto lo resto dell’acqua ch’è rimasa mi serba, che io vo’ lavarmi la faccia per parere più bello». L’oste disse: «E’ sarà fatto». La mattina per tempo Valore fu levato: domandando l’acqua, l’oste dell’acqua li portò. E fregatosi le mani coll’acqua al viso, l’oste disse che bene era che ne serbasse una poga se altra volta vi capitasse. Valore contento, e pagato l’oste, a cavallo montò e caminò fine a Chiesa, di lungi da Lucca vi miglia, là u’ sono molte molina e quine ha bellissima acqua.

Valore, giunto a Chiesa, vidde uno che si lavava il viso, e quando si fregava la mano al viso sì facea trun trun colla bocca. Valore disse: «Oh, io quando mi lavai la faccia non feci trun trun come ha fatto costui»; e disse: «Io lassai a l’oste dell’acqua: io vo’ tornare e laveròmi la faccia e farò trun trun». E rivoltosi, ritornò a Lucca e tutto riconta a l’oste. L’oste disse: «Tu hai ben fatto: per oggi ti starai qui e dimattina potrai lavarti la faccia e farai come vedesti fare». Valore così fe’; e per questo modo Valore fece il suo camino.

Torniamo ora a Truglio da Pistoia; il quale essendo ito a uno suo luogo di lungi da Pistoia ben vi miglia per far vendemiare, divenne che uno dì avendo necessità di venire a Pistoia, là u’ era la famiglia sua e la donna, e movendosi dal suo luogo e venendosi verso Pistoia, e giunto presso a uno miglio vedendo che l’arie si turbava; e facendosi ma’ tempo e caminando tanto che giunse al [p. 126 modifica]Pontelungo presso a Pistoia a ii balestrate e cominciando a piovere, disse: «Oimè, che l’acqua piove et incominciami a bagnare la gonnella! Non c’è da stare: io vo’ ritornare a’ luogo mio e prenderò qualche gabarro e verròne e non mi bagnerò la gonnella».

E come pensò fe’, che si rivolse verso il suo luogo, ch’era di lungi vi miglia. E non fu caminato uno miglio che gonnella e camicia con tutte le carni ebe bagnato; e così caminò a’ luogo. Essendo sempre Tacque grosse serrate, e perch’era molto tardi quando da’ luogo si mosse per andare a Pistoia e per lo ritornare, fu di necessità giungere molto di notte. E picchiando l’uscio, lo salano sentendolo disse: «Chi è?» Truglio dice: «Aprimi». Lo salano levatosi, che già era andato a letto, disse: «Che buone novelle?» Disse Truglio: «Vedendo incominciare a piovere al Pontelungo, per non bagnarmi la gonnella sono tornato per lo gabarro mio». Lo salano, che lo vede quasi anegato, disse: «Ben ordinasti a venire vi miglia per lo gabarro, che se fussi andato una balestrata ti saresti tutta la gonnella piena d’acqua». «E così fo sempre», Truglio dice, «ben che stanotte io ho fatto pure lo meglio».

Lo salano lo misse pure in casa, e quine la notte si riposò, e più volte disse al salano che ’l partito di tornare l’avea gittato buon frutto. E qui finìo.

Ex.º xxv.