Novelle orientali/XVI. Gratitudine particolare e sentimenti di generosità fra due Signori arabi

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XVI. Gratitudine particolare e sentimenti di generosità fra due Signori arabi

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XVI. Gratitudine particolare e sentimenti di generosità fra due Signori arabi
XV. Atto straordinario di generosità di un Egiziano XVII. Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo

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XVI.


Gratitudine particolare e sentimenti di generosità fra due Signori arabi.


Alì-Obu-Abbas, favorito del Califfo Mamun1 e luogotenente di governo sotto il regno di questo principe, narra con queste parole una storia a lui accaduta.

Io era un giorno appresso il Califfo in tempo che vi fu condotto un giovane legato le mani ed i piedi. Mamun mi commise che io guardassi a vista cotesto prigione, e che nella vegnente mattina glielo conducessi innanzi. Parvemi il Califfo pieno di sdegno: il timore di andare io stesso soggetto alla sua collera mi fe’ venire in mente il partito di chiudere il prigioniero nel mio serraglio, come luogo più sicuro della mia casa.

Gli domandai qual fosse la sua patria: risposemi che era nato a Damasco, e che dimorava nella contrada della moschea maggiore. Versi il cielo, io [p. 257 modifica]esclamai, tutte le sue benedizioni sulla città di Damasco e principalmente sulla contrada della tua abitazione, volle sapere da me qual cagione m’infuocasse così l’animo: Io sono, risposi, debitore della vita ad un uomo della tua contrada.

Queste parole risvegliarono in lui la curiosità, e mi fece grande istanza ch’io l’appagassi. Io seguitai: Molti anni sono che il Califfo, malcontento del vicerè di Damasco, lo depose. Io accompagnava colui che dal principe era stato eletto per successore di quello. Nel punto che si prendea da noi possesso del palagio del governatore, insorse quistione fra i due governatori nuovo e vecchio; avea quest’ultimo appostati de’ soldati che ci assalirono: io balzai da una finestra del palagio, e vedendomi inseguito da altri assassini, mi posi in salvo nella contrada vostra. Vidi quivi un palagio aperto, il cui padrone era sull’uscio, e lo scongiurai che mi salvasse la vita: egli mi condusse di subito nell’appartamento delle sue femmine, dove dimorai pel corso di un mese nell’abbondanza e nella pace.

Venne un giorno l’ospite mio a darmi avviso che una carovana era in ordine per andare alla volta di Bagdad, e che se avessi avuta intenzione di rivedere la patria mia, non avrei potuto ritrovare opportunità più bella. Vergogna mi chiuse la bocca, sicchè non ebbi cuore di aprirgli la mia estrema povertà: trovavami privo di danari, e per conseguenza obbligato a seguire la carovana a piedi. Ma fu ben somma la mia maraviglia, quando nel giorno della mia partenza mi fu condotto innanzi un bellissimo cavallo, un mulo carico di provvisioni, uno schiavo negro per servirmi in cammino, e nello stesso tempo l’ospite mio mi consegnò una borsa d’oro, ed egli in persona mi guidò alla carovana, dove mi raccomandò a molti degli amici suoi viaggiatori. Ecco qual benefizio ricevetti nella città vostra, e perchè l’ho io così cara: io non ho altra maggior doglia che quella del non aver mai potuto sapere chi fosse il mio [p. 258 modifica]generoso benefattore: morrei contento se potesti testificargli la mia riconoscenza.

I vostri desiderj sono compiuti, esclamò quasi fuori di sè il mio prigioniero. Io sono colui che vi accettai nel mio palagio: non mi riconoscereste voi forse? Il corso tempo dopo sì fatto accidente, e quel dolore in cui era sprofondato, aveano considerabilmente scambiata la faccia di lui; ma studiandone le fattezze, facilmente mi ritornarono a mente, e certe circostanze mi vennero da lui ritocche, che non potei più in verun modo dubitare ch’egli non fosse colui che mi avea con tanta generosità salvato. Lo abbracciai colle lagrime agli occhi, gli levai le catene, e gli domandai per qual mala sorte fosse così caduto sotto lo sdegno del Califfo. Vilissimi inimici, rispose, mi hanno ingiustamente renduto sospetto all’animo di Mamun: venni fatto uscire a furia di Damasco, e mi fu negata fino la consolazione di abbracciare la moglie e i figliuoli miei. Quello che mi accaderà, non so indovinarlo; ma dovendo io temere che sia pronunciata la sentenza della mia morte, vi scongiuro a dar loro la nuova della mia disgrazia.

No, non morrete, gli diss’io, ve ne do ferma parola: sarete alla famiglia vostra restituito; anzi siatevi ora in libertà. Scelsi incontanente molte delle più belle stoffe d’oro di Bagdad, e lo pregai di presentarle alla sua sposa: Partitevi, aggiunsi (mettendogli nelle mani una borsa con mille zecchini); andatevene a ritrovare persone a voi così care, da voi lasciate in Damasco. Caggia l’ira del Califfo sopra di me; poco ne temo, quando posso avere la felicità di mettervi in sicuro.

Che mi proponete voi mai, disse il mio prigioniero? credete voi che io sia capace di accettarla? Come, colla mira di sfuggire la morte, sacrificherei oggidì quella vita stessa che io vi ho un tempo conservata?

Procurate di far conoscere l’innocenza mia al Califfo; altra testimonianza non voglio della mia [p. 259 modifica]riconoscenza. Se non potete disingannarlo, andrò io stesso ad arrecargli la mia testa: faccia egli della mia vita che vuole, purchè sia la vostra sicura. Lo scongiurai di nuovo a partire; ma egli si rimase più che mai fermo nella sua opinione.

Io mi presentai la vegnente mattina a Mamun: era questo principe vestito con un mantello di color di fuoco, simbolo dell’ira sua. Appena mi ebbe egli veduto, che mi domandò dov’era il mio prigioniero, e ad un tempo ordinò che venisse il carnefice. Signore, gli diss’io gittandomi alle sue ginocchia, cosa straordinaria è avvenuta intorno a colui che mi venne affidato da voi. Mi conceda vostra Maestà che io gliela faccia sapere. A queste parole si empiè di sdegno. Giuro, disse, per l’anima dell’avolo mio, farò morire te in cambio del prigione, se l’hai lasciato fuggire. La mia e la sua vita sono a disposizione della Maestà vostra; ma si degni ella solamente di ascoltarmi. Parla, rispose. Io gli narrai allora in qual guisa cotesto uomo mi avea salvata la vita in Damasco, e che io, per desiderio di pagargli l’obbligo mio, gli avea offerta la libertà, ma ch’egli l’avea ricusata per non esporre me alla morte. Signore, soggiunsi, egli non è reo: un uomo così generoso non può esserlo. Vili calunniatori l’hanno fatto apparire altro da quello ch’egli è agli occhi vostri: egli è vittima sventurata dell’odio e dell’invidia scatenatasi contro di lui.

Parve che nel Califfo entrasse la compassione. Avea cotesto principe un’anima per natura grande, nè potè fare a meno di non ammirare il contegno dell’amico mio. Per tua cagione gli perdono, mi disse Mamun: va, dagli questa buona nuova, e fa ch’egli venga a me. Mi gittai a’ piedi del principe e glieli baciai, ringraziandolo coi più efficaci modi che potè suggerirmi la gratitudine: condussi poscia il prigione innanzi al Califfo. Lo fece il monarca vestire con onorati vestiti, e fecegli donare dieci cavalli, dieci muli e dieci dei cammelli suoi; ed a tutte queste grazie aggiunse una borsa con diecimila [p. 260 modifica]zecchini per le spese del viaggio, e di più gli diede una lettera di favore al governatore di Damasco.

Note

  1. Mamun, figlio del Califfo Arun Arrachid: il suo nome’è celebre per l’Oriente, ed è tenuto pel maggior principe della casa degli Abassidi. Regnò vent’anni e mesi otto. Era gran capitano, pieno di mansuetudine e liberissimo oltre ogni misura; ma la cosa che più rese immortale il nome di lui, fu l’amor suo alle belle lettere: egli era versatissimo in ogni qualità di scienza, e massime in filosofia ed astronomia. Questi è quel principe che fece traslatare in arabo le migliori opere greche, ed ispirò nella sua nazione il gusto delle scienze, nelle quali poco stette ad uguagliarsi a’ Greci, suoi primi maestri.
         I dottori maomettani lo biasimarono d’avere introdotta la filosofia e le altre scienze speculative, dachè gli Arabi de’ suoi tempi non erano accostumati a leggere altri libri, che quelli della loro religione. Questo principe favoriva gli uomini dotti di ogni religione ugualmente.