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Novissima/Scritti/Rilegature d'arte

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Scritti - Rilegature d'arte

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Scritti Scritti - Il colorismo

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M
aius Michel, rilegatore e trattatista di bibliopegia, scriveva queste parole in fronte al suo Essaz sur la décoration extérieure des lvres: « Partout on relie des livres mais la réliure d’art ne se fait actuellement qu’en France ». Il che poteva forse esser giusto allora - nel 1879, cioè - e non più oggi quando in Inghilterra e in America per le rilegature artistiche molto progresso è stato fatto. Ma fino a un mezzo secolo fa la Francia teneva il primato, e senza volere addirittura risalire all'esempio classico di Grolier, certo fin dal secolo XVI i rilegatari francesi avevano saputo trovare fregi elegantissimi e dorature preziose. I volumi della biblioteca di Luigi XIV sono preziosi anche per questa loro rivestitura: i marocchini, i recinés, i grossi cuoi fulvi, le pelli verdognole e gialloline, adorne di ferri pieni di gusto e con le imprese del Re Sole, dimostrano come gli operai francesi avessero saputo unire uno squisito sentimento d’arte ad una tecnica perfetta.

Più tardi si ebbero ancora volumi ben rilegati a seconda dei tempi - quelli di Napoleone, per esempio - sono ricercatissimi dagli amatori, ma la moda delle rilegature preziose o semplicemente eleganti subì infinite variazioni, a seconda delle tendenze di tutto un periodo, tendenze che il più delle volte non hanno nessun rapporto col movimento letterario. Si direbbe anzi che quanto più è attiva la produzione degli autori e tanto più acuta la curiosità del pubblico per le loro opere, tanto minore è la ricerca delle rilegature di lusso. Così - per citare un solo esempio - il periodo romantico ci ha lasciato pochi esemplari veramente degni di menzione.

Allora il pubblico leggeva molto e in fretta; i più si contentavano di sfogliare avidamente il libro così come era uscito dalla stamperia, e i pochi che si preoccupavano di farlo rilegare si contentavano del tipo allora di moda, in cuoio verde, stampato a fregi grossolani agli angoli e con qualche attributo modesto nel mezzo degli specchi.

Del resto i bibliofili propriamente detti formano una parte a bastanza piccola fra i compratori di libri e fra questi non sono numerosi coloro che alla bibliopegia dedichino il loro interesse. Per conto mio debbo aggiungere che non sono molto partigiano di quelle rilegature costose che sono di moda oggi in Francia e che il più delle volte furono pagate cento volte più di quello che valeva il volume che esse ricoprivano. Io ho veduto, ultimamente in casa di Enrico Houssay - lo storico di Waterloo - alcune di queste preziose rilegature dette a mosaico, uscite dalla [p. 17 modifica]bottega illustre di Petrus Ruban, il maestro bibliopega della Francia contemporanea. Certo vi era in esse molta abilità e una grande ostentazione di lusso, ma non erano nè pratiche nè veramente di buon gusto. Come la maggior parte dei rilegatori parigini, egli è un illustratore, uno di quelli artisti cioè che credono d’intonare il disegno decorativo al testo del volume, e sovraccaricano di fregi, di simboli e di disegni i cuoi preziosi che la loro tecnica perfetta ha saputo così sapientemente stendere e appianare. Con quale risultato non saprei dire: certo gli esemplari posseduti dall’Houssay nella sua mirabile biblioteca erano l’ultima parola dell’arte: ma non producevano nessun sentimento piacevole all’occhio o al tatto e mancavano di quella qualità che gl’inglesi chiamerebbero handlness e che dovrebbe essere la dote principale di un volume ben rilegato.

Inoltre questi mosaicisti del cuoio e della pergamena, sono il più delle volte i peggiori corruttori del buon gusto. Il loro esempio vale il più delle volte a incoraggiare le tendenze alla bizzarria che hanno quasi sempre gli spiriti privi di originalità. Ed ecco che la bellezza degenera molto facilmente in apparenza, il disegno che prima era complicato ma puro si trasforma in un insieme di linee tronfie e confuse, finchè al fine, urtato da i mille particolari che non sodisfano più la sua vista, l’uomo di buon gusto reclama qualcosa di più semplice e di più nobile, qualcosa che lo riconduca alle forme primitive e rappresenti per lui una vera e propria immagine d’arte. Colpevoli di questa decadenza sono in parte gl’imitatori di certi artisti bizzarri e in parte il pubblico che gl’incoraggia. «Oramai - scrive ancora il Michel nel suo trattato su L’ormamentation des reliures modernes - il comento del testo nella decorazione delle rilegature è diventata il desideratum di tutti gli amatori di libri moderni. Dato il primo impulso, il movimento si accentua ogni giorno di più e non ostante la resistenza abitudinaria di qualche preteso classico, che nega ogni individualità all’artefice non potrà più essere arrestato».

Per conto mio non sottoscrivo a questa formula e preferisco invece l’altra di un illustre trattatista inglese - quel sir Edward Sullivan che è egli stesso un mirabile rilegatore - il quale in un suo acuto studio sul Design in gold-tooled book binding, respinge il suggerimento del suo collega francese e dopo averne accennati i pericoli, osserva che l’unica preoccupazione del rilegatore veramente artista deve essere quella di sapere scegliere i suoi ferri e i suoi fregi appropriati allo stile dell’epoca in cui il libro da rilegarsi fu stampato.

Del resto è a punto in Inghilterra che bisogna andare a ricercare lo stile della rilegatura moderna: una rilegatura che unisce a una grande eleganza una grandissima semplicità, che è economica e degna al tempo stesso di figurare in ogni biblioteca. A questo risultato, molti elementi contribuirono: primo di tutti, forse, quel book-birding act (che non so se sia più in vigore ma che certo influì sull’industria della rilegatura) secondo il quale nessun volume poteva uscire dai confini del regno senza essere prima rilegato. In secondo luogo l’esempio del Morris e della sua House of art, esempio che ebbe maggiori risultati per l’influenza che esercitò coi suoi ammaestramenti, che non con le sue opere le quali sono spesso inferiori alle teorie che William Morris proclamava e sosteneva così caldamente. Finalmente a perfezionare il gusto del pubblico e a migliorare sempre più le condizioni della bibliopegia inglese valse senza dubbio la grande esposizione di rilegature antiche e moderne organizzata nel 1891 dal Burlington Fine Arts, esposizione per la quale fu pubblicato un mirabile catalogo, che sparse lungamente in tutta l’Inghilterra, i più belli esemplari di quella mostra unica al mondo. Tutto ciò fece sì che mentre la bibliopegia inglese raggiungeva un così alto livello di perfezione, in Francia rimaneva stazionaria. Certo la tecnica francese è sempre eccellente, ma un lusso non sempre di buon gusto ha preso il posto della vera arte. [p. 18 modifica]D’altra parte le rilegature inglesi hanno questo d’importante: che si rivolgono a tutti e non ad un piccolo numero di amatori. Mentre in Francia la rilegatura è un lusso, in Inghilterra è divenuta una necessità e nessun editore che si rispetti pubblicherebbe un volume senza rivestirlo di una copertura semplice ed elegante al tempo stesso. Tutto ciò vale molto più di qualunque insegnamento a educare il buon gusto del pubblico. Quando in Francia - lascio per ora da parte l’Italia e vedremo fra poco perchè - un libraio mette in vendita un volume rilegato - e sono quasi sempre i così detti volumi di strenna, destinati ai fanciulli e ai giovanetti a cui tocca questa cattiva sorte - è il trionfo di ciò che essi stessi chiamano le clinquant et le mauvais goùt. Tele americane rosse o azzurre, sovraccariche di brutti fregi d’oro, di impressioni dipinte, di falso mosaico stonato. I fregi s’incrociano da tutte le parti, dorati, impressi, colorati: un graticolato settecentesco è inquadrato da un motivo modern-style; un ornato gotico finisce in un boschetto di palme, come era di moda sotto Luigi Filippo. La rilegatura economica e popolare, non ha diritto di essere artistica e i Petrus Ruban non riserbano la loro arte che a quelli amatori i quali possono pagare un prezzo minimo di cento lire!

In Inghilterra invece ogni libro - da quello popolare da uno scellino ai più costosi delle edizioni di lusso - è sempre rilegato con mirabile buon gusto. Prendete, per esempio, la piccola bibliotechina dei World’s classics, pubblicata dal Grant Richards di Londra: sono volumetti in ottavo rilegati in pelle, una pelle dalla grana schiacciata, di un bel colore verde smorto. Nel mezzo dello specchio anteriore vi è il monogramma della casa, dentro un fregio quadrato a rilievo d’oro. Sul dorso vi è una specie di albero araldico, dalle larghe foglie dorate con in cima un castiglio che racchiude il disegno, anch’esso d’oro di un antico papiro arrotolato. Lo specchio posteriore è semplice e senza nessun fregio: il volume, flessibile, maneggevole, piacevole al tatto come alla vista, costa solamente due È scellini. Un altro esempio: le antologie britanniche del Frowde. Questa volta il volume è in ottavo grande e la rilegatura rigida, in tela verde oliva. Lo specchio superiore è tutto istoriato da un fregio impresso, senza dorature e senza colori, fregio che rappresenta uno di quei rosai decorativi che furono cari a Walter Crane e ai suoi seguaci. Lo stesso motivo si ripete sul dorso, dove il solo titolo è scritto a lettere d’oro. Nello specchio posteriore è solo un tondo, del medesimo stile. Il volume costa scellini 2.60: pari a lire italiane 3 e centesimi dieci.

Ancora un esempio: degli Harper’ s brothers, americani questi, in un libro destinato ai bambini. È un volume del Gilson in quarto piccolo: rilegato di tela verde a trama sottile e disseminato tutto di piccole ghirlandette di un verde più tenero, legate con fiocchetti bianchi. Il titolo è in lettere d’oro: le lettere e le ghirlande sono in quello stile che venne di moda sotto Luigi XVI e che già fa presentire la compostezza neoclassica del primo Impero. Poi si sale più su: sono i romanzi a 7 scellini, i libri di storia, ipoemi. Alcuni hanno gli specchi di cartone erto ricoperti di una tela grossolana su cui è impresso un fregio che varia a seconda del volume (i fregi dell’editore Heinemann, furono disegnati, per esempio, dal Nicholson e dal Wistler) altri somigliano a quei volumi scolastici di settanta anni fa, tutti rivestiti di una tela turchina e col titolo stampato in un cartellino bianco, che viene incollato sul dorso. Altri ancora hanno l’aspetto venerabile di bibbie familiari, con gli specchi grossi che sembrano di legno, con la tela che li ricuopre tutta liscia, nera e senza alcun ornamento; altri imitano la grana del marocchino o le rilegature antiche di stile, altri finalmente portano impressi in oro, in argento, in colore, di quei fregi bizzarri che Aubrey Beardsley sembra abbia derivato dalla fantasia di un asiatico [p. 19 modifica]allucinato dall’oppio. E tutti questi volumi di poesia, di prosa, di storia, di romanzo, di dramma, non oltrepassano mai le dieci lire italiane: sono cioè accessibili a tutti e rappresen tano il prezzo corrente di un volume nuovo nel Regno Unito.

A questi pregi d’arte, dobbiamo aggiungere i pregi del materiale adoperato. Solamente gl’inglesi hanno il segreto di quelle loro tele a grana sottile o tutte lisce, a grossa intessitura o a trama ordinaria, di quelle carte colorate che rivestono l’interno, di quelle vernici opache o lucide, di quei cartoni flessibili o resistenti, di quelle dorature che non si cancellano e di quelle impressioni che rimangano nette e angolose quasi fossero incise in un metallo. Il lettore inglese che compra il romanzo per leggere negli ozi dell’holiday o il ragazzo che riceve in premio il libro di strenna, o la signora che tiene sul suo tavolino l’ultima edizione di un volume di versi, abituano a poco a poco il loro occhio a quella forma di eleganza, a quella sobrietà di decorazioni, a quella armonia di colori. Incosciamente, fino dai primi anni, il loro gusto si verrà formando su quegli esemplari e il giorno in cui vedranno uno di quei mostruosi volumi che escono annualmente dalle case francesi o italiane, lo respingeranno come una cosa ignobile e indegna di entrare nelle loro librerie.

Non vi è dunque chi non scorga come questo rivestimento esterno del libro abbia importanza e non possa essere trascurato. Io non ho citato finora l’Italia, perchè in Italia pur troppo si è fatto pochissimo e i libri malamente stampati e peggio illustrati hanno quasi sempre avuto le rilegature che si meritavano. Qualche artista isolato, ha voluto tentare di tanto in tanto una rilegatura di lusso e in parte ci è riuscito. E dico in parte perchè è raro trovare un rilegatore italiano il quale sappia dare al volume quella compattezza che non esclude che si debba facilmente sfogliare o pure che non trascuri le lettere col titolo o le sbavature dell’oro nei fregi. Questa mancanza di precisione e di accuratezza è un difetto che si può dir comune ai più riputati rilegatori come ai più modesti. Ed è accaduto a me di vedere rilegature di lusso e relativamente eleganti, dove pure il titolo della costola era sbagliato o mancante di una lettera, e il fregio centrale dei piatti capovolto e la porpora del taglio in testa sgocciolante tra pagina e pagina. A questi difetti di tecnica, debbo aggiungere quelli derivati dalla mancanza di buon gusto: pochissimi sono i rilegatori italiani che hanno una collezione di ferri artistici e quasi nessuno una di caratteri. Anche in questo si fa tanto per fare» e i titoli dei volumi rilegati sono raramente belli.

E fin qui si tratta di rilegature di lusso. Il disastro comincia quando si scende alle così dette rilegature economiche e a quelle commerciali con le quali gli editori cercano di allettare il pubblico delle strenne natalizie! Qui la fantasia più delirante non può immaginare uno scempio maggiore ed io so di un uomo di buon gusto e desideroso di preservare i suoi figli da quel contagio di volgarità, che pagò un volume il doppio per averlo slegato e senza quella fioritura da pasticcere che ne deturpava l’esterno. E notate: ottenere un cambiamento radicale di questi sistemi e di queste abitudini è cosa più difficile che non si creda. Prima di tutto il pubblico ha oramai la vista corrotta e il gusto depravato; poi mancano gli operai educati a questa forma d’arte e in fine non si trovano facilmente i materiali adatti. Chiunque abbia tentato di fare qualcosa in questo senso, sa quali difficoltà debba superare.

A me, per esempio, è capitato una volta, per un mio volume che doveva essere venduto rilegato, di scegliere una tela speciale e di dare tutte le istruzioni in proposito all’editore e di vederlo – quindici giorni dopo – esposto nelle vetrine dei librai assolutamente diverso da quello che era stato stabilito. Il fornitore della tela, non avendo che una piccola partita di quella che avevamo scelta ne aveva mandata un’altra di altro [p. 20 modifica]colore a suo criterio e il legatore ignaro aveva comi il malanno.

Per ottenere che anche in Italia, questa forma esterna del libro acquisti un aspetto più nobile e più artistico, bisognerebbe prima di tutto educare il pubblico, poi procurarsi i materiali adatti e finalmente creare gli operai. Per il buon gusto del pubblico, sarebbe necessario che gli editori lasciassero le brutte rilegature con le quali disonorano i loro libri e avessero il coraggio e l’intelligenza di far meglio. Del resto tornerebbe conto anche a loro perchè le molte dorature, i molti fregi policromi, e tutti i lenocini delle loro brutte rilegature, costano senza dubbio più delle semplici copertine di tela in uso fra i librai e gli editori anglosassoni. Inoltre si potrebbero tenere esposizioni speciali, dove fossero riuniti i migliori esemplari della bibliopegia antica e moderna o per lo meno si dovrebbe esigere una sezione speciale per le rilegature in ogni mostra d’arte decorativa moderna. Se si pensa l’influenza che esercitarono sulle industrie italiane della ceramica, dei mobili, dell’oreficeria, le grandi esposizioni internazionali d’arte applicata, si vedrà facilmente quale utile ne deriverebbe all’arte della rilegatura, se i migliori esemplari delle più note case straniere fossero resi popolari fra noi.

Un altro punto essenziale sarebbe quello di ottenere che i materiali di fabbrica nazionale - cuoi, tele, pergamene o pellami - raggiungano quel grado di perfezione che hanno raggiunto in Inghilterra. Oramai le industrie italiane possono competere con quelle di non importa quale nazione, per quanto riguarda la loro perfezione tecnica. Quello che ancora manca loro è l’aspetto esteriore, quella eleganza e quel senso d’arte che rendono le manifatture inglesi insuperabili e insuperate.

E per ottenere questo risultato entriamo nel terzo punto: quello degli operai adatti a creare questi materiali, prima di tutto, ed in seguito ad adoperarli degnamente. Qui si affaccia la questione delle nostre scuole d’arti e mestieri i cui organismi sono tutti basati sul falso. Da dieci anni io seguo, un po’ da per tutto a traverso l’Italia i saggi annui dei così detti Musei artistici e industriali e da dieci anni mi trovo dinanzi ai soliti invariabili temi: decorazione di una stanza pompeiana, fregio di una basilica bizantina, faldistoro marmoreo del secolo XIV, corona votiva dei Re visigoti, scudo e cimiero di gladiatori e così di seguito. Ma io mi domando chi è oramai che dovrà vivere in una stanza come quella della casa dei Vezii— per esempio - o dovrà ordinarsi una galea gladiatoria o sedersi sopra un seggio episcopale del trecento! Così, i nostri operai, dopo avere speso quattro anni a disegnare e a comporre queste cose inutili, escono dalla scuola con la presunzione di essere molto dotti e in verità sapendo assai poco di teoria e quasi niente di pratica. Allora accade al disgraziato cliente di trovare spesso un artista il quale saprà qualche volta disegnare un’abside bisantina del v secolo o modellare la pettorina di una corazza longobarda, ma che sarà incapace di rilegare un volume!

Diego Angeli