Nuova Cronica/Libro terzo

Da Wikisource.
Libro terzo

../Libro secondo ../Libro quarto IncludiIntestazione 30 luglio 2010 75% storia

Libro secondo Libro quarto

I Qui comincia il terzo libro: come la città di Firenze fu distrutta per Totile Flagellum Dei re de’ Gotti e de’ Vandali.

Negli anni di Cristo CCCCXL, al tempo di santo Leo papa, e di Teodosio e Valentiniano imperadori, nelle parti d’aquilone fu uno re de’ Vandali e di Gotti che si chiamava Bela, sopranomato Totile. Questi fu barbaro, e sanza legge, e crudele di costumi e di tutte cose, nato della provincia di Gozia e di Svezia, e per la sua crudeltà uccise il fratello, e molte diverse nazioni di genti per sua forza e potenzia si sottopuose; e poi si dispuose di distruggere e consumare lo ’mperio de’ Romani, e disfare Roma; e così per sua signoria raunò innumerabile gente del suo paese, di Svezia, e di Gozia, e poi di Pannonia, cioè Ungaria, e di Dannesmarche, per entrare in Italia. E volendo passare in Italia, da’ Romani, e Borgognoni, e Franceschi fu contrastato, e grande battaglia contra lui fatta nelle contrade di Lunina, cioè Frioli e Aquilea, co la maggiore mortalità di gente che mai fosse in neuna battaglia dall’una parte e dall’altra; e fu morto il re di Borgogna, e Totile come sconfitto si tornò in suo paese co la gente che gli era rimasa. Ma poi volendo seguire suo proponimento di distruggere lo ’mperio di Roma, si raunò maggiore esercito di gente che prima, e venne in Italia. E prima si puose ad assedio a la città d’Aquilea e stettevi per tre anni, e poi la prese e arse e distrusse con tutte le genti; e intrato in Italia, per simile modo distrusse Vincenza, e Brescia, e Bergamo, e Milano, e Ticino, e quasi tutte le terre di Lombardia, salvo Modona per gli meriti di santo Giminiano che n’era vescovo, che per quella città trapassando con sua gente, per miracolo di Dio no·lla vide se non quando ne fu fuori, e per lo miracolo la lasciò che no·lla distrusse; e distrusse Bologna, e fece martorizzare santo Procolo vescovo di Bologna, e così quasi tutte le terre di Romagna distrusse. E poi trapassando in Toscana, trovò la città di Firenze poderosa e forte. Udendo la nominanza di quella, e come era edificata da nobilissimi Romani, e era camera dello imperio e di Roma, e come in quella contrada era stato morto Rodagasio re de’ Gotti suo anticessore con così grande moltitudine di Gotti, come adietro è fatta menzione, comandò che fosse assediata, e più tempo vi stette invano. E veggendo che per assedio no·lla potea avere, imperciò ch’era fortissima di torri, e di mura, e di molta buona gente, per inganno, e lusinghe, e tradimento s’ingegnò d’averla; ché i Fiorentini aveano continuo guerra colla città di Pistoia. Totile si rimase di guastare intorno a la città, e mandò a’ Fiorentini che volea essere loro amico, e in loro servigio distruggere la città di Pistoia, promettendo e mostrando a·lloro grande amore, e di dare loro franchigie con molti larghi patti. I Fiorentini male aveduti (e però furono poi sempre in proverbio chiamati ciechi) credettono a le sue false lusinghe e vane promessioni, apersogli le porte, e misollo nella città lui e sua gente; e albergò nel Campidoglio. Il crudele tiranno essendo nella città con tutta sua forza, e con falsi sembianti mostrava amore a’ cittadini, uno giorno fece richiedere a suo consiglio li maggiori e più possenti caporali de la terra in grande quantità. E come giugnevano in Campidoglio, passando ad uno ad uno per uno valico di camera, gli facea uccidere e amazzare, non sentendo l’uno dell’altro, e poi gli facea gittare nelli acquidocci del Campidoglio, cioè la gora d’Arno ch’andava sotterra per lo Campidoglio, acciò che niuno se n’acorgesse. E così ne fece morire in grande quantità, che niente se ne sentiva nella città di Firenze, se non che all’uscita della città ove si scoprivano i detti acquidocci, overo gora, e rientravano inn-Arno, si vedea tutta l’acqua rossa e sanguinosa. Allora la gente s’acorse dello inganno e tradimento; ma fu indarno e tardi, però che Totile aveva fatto armare tutta sua gente, e come s’avide che·lla sua crudelità era scoperta, comandò che corressono la terra uccidendo piccoli e grandi, uomini e femmine; e così fue fatto sanza riparo, però che li cittadini erano sanza arme e isproveduti; e truovasi che in quello tempo avea nella città di Firenze XXIIm d’uomini d’arme, sanza gli vecchi e’ fanciugli. La gente della città veggendosi a tale dolore e distruzione venuti, chi potéo scampare il fece, fuggendosi in contado, e nascondendosi in fortezze, e in boschi, e caverne; ma molti e più de’ cittadini ne furono morti, e tagliati, e presi, e la città fue tutta spogliata d’ogni sustanzia e ricchezza per gli detti Gotti, Vandali, e Ungari. E poi che Totile l’ebbe così consumata di genti e dell’avere, comandò che fosse distrutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra sopra pietra; e così fu fatto, se non che da l’occidente rimase una delle torri che Igneo Pompeo avea edificata, e dal settentrione e dal mezzogiorno una delle porte, e infra la città presso a la porta casa, sive domo, interpetriamo il Duomo di Santo Giovanni, chiamato prima casa di Marti. E di vero mai non fue disfatto, né disfarà in etterno, se non al die iudicio; e così si truova scritto nello ismalto del detto Duomo. E ancora vi rimasono l’alte torri, overo templi, segnati per alfabeto, che così gli troviamo in antiche croniche, le quali non sappiamo interpetrare: ciò sono S e casa P e casa F. Porte IIII avea la città, e VI postierle; e torri di maravigliosa fortezza erano sopra le porte. E l’idolo dello Idio Marti che’ Fiorentini levarono del tempio e puosono sopra una torre, allora cadde inn-Arno, e tanto vi stette quanto la città stette disfatta. E così fu distrutta la nobile città di Firenze dal pessimo Totile a dì XXVIII di giugno negli anni di Cristo CCCCL, e anni VcXX da la sua edificazione; e nella detta città fu morto il beato Maurizio vescovo di Firenze a gran tormento per la gente di Totile, e il suo corpo giace in Santa Reparata.

II Come Totile fece reedificare la città di Fiesole.

Distrutta la città di Firenze, Totile se n’andò in sul monte ov’era stata l’antica città di Fiesole, e con sue bandiere, e tende, e trabacche, e quivi s’acampò, e comandò che la detta città si redificasse, e fece bandire che chiunque volesse tornare ad abitare in quella fosse sicuro e franco, giurando a·llui d’essere contra li Romani, e acciò che·lla città di Firenze non si rifacesse mai. Per la quale cosa molti che anticamente erano stati discesi di Fiesole vi tornarono ad abitare, e de’ Fiorentini medesimi isfuggiti, che non sapeano ove si dovessono abitare né andare. E così in poco tempo fu rifatta e redificata la città di Fiesole, e fatta forte di mura e di gente, e poi, come prima era, e fu sempre ribella di Roma. E perché noi facciamo in questa nostra storia digressione, lasciando come Firenze rimase diserta e disfatta, e seguendo le storie e’ fatti de’ Vandali, e de’ Gotti, e de’ Longobardi, i quali signoreggiarono lungo tempo Roma, e Toscana, e tutta Italia, sì ne pare di nicessità; ché per la loro forza e signoria li Fiesolani non lasciarono rifare Firenze infino che d’Italia non furono cacciati, come innanzi farà menzione, tornando a nostra materia.

III Come Totile si partì di Fiesole per andare verso Roma, e distrusse molte cittadi, e morì di mala morte.

Rifatta la città di Fiesole, Totile si partì di quella, e andonne per Toscana per guastare lo ’mperio, e per andare a Roma, e prese e distrusse la città d’Arezzo, e quella fece arare e seminare di sale; e Perugia assediò più tempo, e per fame l’ebbe e la distrusse, e ’l beato Arcolano vescovo di quella fece strangolare. Simile fece della città di Pisa, e di Lucca, e di Volterra, e di Luni, e Pontriemoli, Parma, Reggio, Bologna, Imola, Faenza, Forlì, Forlimpopolo, e Cesena: tutte queste cittadi, e l’altre di Lombardia nominate, e molte altre città di Campagna e di terra di Roma dal nequissimo Totile furono distrutte, e molti santi monaci e religiosi da·llui e da sua gente furono distrutti e martirizzati, e fece grande persecuzione a’ Cristiani, rubando e disertando chiese e munisteri, e quelle disfaccendo; e poi andando per distruggere Roma, in Maremma morìo di repentina morte. Ma alcuno altro dottore scrisse che ’l detto Totile per gli prieghi a Dio di santo Leo papa che allora regnava si partì d’Italia, e cessò la sua pestilenza; imperciò che, per miracolo di Dio, al detto Totile apparve più volte in visione dormendo una ombra con uno viso terribile e spaventoso, minacciandolo che s’egli non facesse il volere del detto santo padre papa Leone, il distruggerebbe. Il quale Totile per paura di ciò reverenza fece al detto papa, e partissi d’Italia sanza apressarsi a la città di Roma, e tornossi in Pannonia; e là venuto, di repentina morte morìo; e alcuno disse che morì in Cingole nella Marca. Ma dove ch’egli morisse, la notte medesima ch’egli morì, apparve per visione di sogno a Marziano imperadore, il quale era in Grecia, che l’arco di Totile era rotto; per la qual cosa intese che Totile era morto, e così si trovò che in quella medesima notte morìo. Questo Totile fu il più crudele e potente tiranno che si truovi; e per la sua iniquissima crudeltà fu chiamato per sopranome Flagellum Dei. E per altri si scrisse che ’l detto sopranome puose santo Benedetto, ch’udendo Totile la sua santità, l’andò a vedere a Montecascino travisato, per vedere se ’l conoscesse. Il beato santo non mai vedutolo, per ispirazione divina il conobbe, e disse: «Tu se’ fragello di Dio per pulire le peccata»; comandògli da sua parte che non ispanda più sangue umano, onde poco apresso morìo. E veramente fu flagello di Dio per consumare la superbia de’ Romani e de’ Taliani per li loro peccati, che in quello tempo erano molto corrotti nello errore della resia ariana, e contra a la vera fede di Cristo, ed idolatri, e di molti altri peccati spiacenti a Dio erano contaminati; e così la divina potenzia pulì i non giusti per lo crudele tiranno non giusto giustamente.

IV Come i Gotti rimasono signori in Italia dopo la morte di Totile.

Vivendo ancora Totile in Italia, Teodorigo, un altro re de’ Gotti, si partì di Gozia e distrusse Danesmarce, e poi Lotterige, cioè Brabante e Analdo, e quasi tutta Francia; e passò in Ispagna e tutta la distrusse. E stando in Ispagna udì la morte di Totile, incontanente ne venne in Italia, e co’ Vandali, e Gotti, e Ungari, e altre diverse nazioni ch’erano stati con Totile raunò sotto sua signoria, e lasciò in Ispagna Elarico, overo Elario, suo fratello re de’ Gotti, il quale comprese e conquistò non solamente Spagna, ma il reame di Navarra, e Proenza, e Guascogna infino a’ confini di Francia. Ma poi il detto Elarico fu isconfitto e morto con tutta sua gente da Crovis re di Francia, il quale fu il primo re di Francia che fosse Cristiano; e la detta battaglia fu presso a la città di Pettieri a X leghe, l’anno di Cristo VcX, e distrusse i Gotti per modo che mai non ebbono signoria di là da’ monti. Il sopradetto Teodorigo che passò in Italia prese Roma, e tutta Toscana, e Italia, e allegossi con Leone imperadore di Gostantinopoli eretico ariano; il quale Leone passò in Italia, e venne a Roma, e trasse di Roma tutte le ’magini de’ Cristiani e arsele in Gostantinopoli, a dispetto del papa e della Chiesa. E quello Leone imperadore e Teodorico re de’ Gotti guastaro e consumaro tutta Italia, e le chiese de’ fedeli fecero tutte abattere, e lo stato de’ Romani e dello ’mperio molto infieboliro. E poi morto Leone imperadore, fu Zeno imperadore, e fu contrario de’ costumi e di tutte cose di Leone, e la sua schiatta anullò e consumò, e ebbe guerra co’ Gotti ch’erano in Italia. A la fine s’acconciò con pace co·lloro, ma volle per istadico Teodorico il giovane figliuolo di Teodorico re de’ Gotti, ch’era garzone e piccolo, e tennelo seco in Gostantinopoli. E Teodorigo re tenne lo ’mperio di Roma per lo detto Zenone imperadore, faccendonegli omaggio, e dandonegli tributo. In questi tempi, circa gli anni di Cristo CCCCLXX, regnando in Gostantinopoli Leone imperadore di Roma, nella grande Brettagna, che ora Inghilterra è chiamata, nacque Merlino profeta (dissesi d’una vergine con concetto overo operazione di demonio), il quale fece in quello paese molte maraviglie per negromanzia, e ordinò la tavola ritonda di cavalieri erranti, al tempo che in Brettagna regnava Uter Pandragone, il quale fu de’ discendenti di Bruto nipote d’Enea primo abitatore di quella, come adietro facemmo menzione; e poi rinnovata per lo buono re Artù suo figliuolo, il quale fu signore di grande potenzia e valore, e sopra tutti i signori cortese e grazioso, e regnò grande tempo in felice stato, come i ramanzi di Brettoni fanno menzione, e la cronica martiniana in alcuna parte in questo tempo.

V Come i Gotti furono cacciati la prima volta d’Italia, e come ricoveraro la signoria per lo giovane Teodorico loro re.

Nel detto tempo, intorno gli anni di Cristo CCCCLXV, uno Agustolo (questi fu Teutonico) e prese e occupò lo ’mperio di Roma e d’Italia XV mesi. Ma Edevancer, Greco di Rutina, con Ruteni sua gente venne in Italia, e per forza prese Piagenza e Ticino, e discacciò della signoria il detto Agustolo, e fecesi monaco per paura. Evancer colli suoi Rutini venne a Roma, e ebbe tutta la signoria d’Italia per XIIII anni, e cacciò i Gotti. Sentendo ciò Zeno imperadore che dimorava in Gostantinopoli, mandò contra il detto Edevancer Teodosio giovane, che rimase del padre re de’ Gotti, ch’avea XVII anni, e per terra venne per Bolgaria e Ungaria con assai fatica; e Evancer gli si fece allo ’ncontro in Aquilea con tutto lo sforzo d’Italia; quivi si combattero insieme, e Evancer fu sconfitto, e fuggisi con pochi a Roma; ma il popolo di Roma no·llo lasciarono entrare in Roma, ne la città. Teodosio co’ Gotti, e Greci, e Ungari seguendolo a Roma, Evancer si fuggìo da Roma a Ravenna; ancora il perseguì Teodosio, e assediollo in Ravenna per tre anni, e presa la città, l’uccise, e distrusse sua gente, negli anni di Cristo CCCCLXXX; e Teodorico rimase re e signore in Italia, avendo lega e amistà con Zeno imperadore di Gostantinopoli, e da’ Romani fu ricevuto a grande onore, e paceficamente tenne Roma e Italia grande tempo, e tolse per moglie la figliuola del re di Francia, che Lottieri figliuolo Crovis ebbe nome; ma poi si maculò della resia ariana, e divenne come tiranno, e nimico della Chiesa e di veri Cristiani. Questi fu quello Teodorico il quale mandò in pregione e fece poi morire a Pavia il buono santo Boezio Severino consolo di Roma, perch’egli per bene e stato della republica di Roma e della fede cristiana, il contrastava de’ suoi difetti e tirannie, apponendogli false cagioni. Allora il santo Boezio compuose in pregione a Pavia il libro della filosofica consolazione. Poi questo Teodorico perseguitò molto i Cristiani, e molti ne fece morire a petizione degli ariani, e ’l papa Giovanni primo mandò in pregione a Ravenna, e fecelvi per martirio di fame morire con altri che co·llui erano andati in Gostantinopoli a Giustino imperadore cristianissimo, per procurare lo stato della Chiesa e della fede cattolica, e perché Giustino non facesse disfare le chiese degli eretici ariani; però che Teodorico avea minacciati di distruggere tutti gli Cristiani d’Italia, se Iustino offendesse alli ariani. E poi poco appresso il detto Teodorico morì di mala morte, e in visione vide uno santo eremita che il detto papa Giovanni gittava in inferno l’anima del detto Teodorico. Questi fu negli anni VcV. In questi tempi per gli errori della resia ariana e idolatra tutta Italia fu maculata, e Gostantinopoli, e tutta Grecia; e molte mutazioni di papa furono in Roma, e nella Chiesa grandi differenzie e errori, sicché Toscana e tutta Italia languiva sì degli errori de la fede, e sì delle diverse tiranniche signorie de’ Gotti e degli altri che signoreggiavano; e crebbe tanto la forza de’ Gotti, che occuparo non solamente Lombardia e Toscana e terra di Roma, ma Napoli e ’l regno di Puglia e Cicilia e ancora Africa, crescendo il loro errore, e vivendo sanza legge, e consumando le province e’ popoli, tanto che gli Romani si ribellaro e cacciaro gli Gotti di Roma, i quali raunandosi col loro signore vennero all’asedio di Roma negli anni di Cristo VcXXXVIII.

VI Come i Gotti al tutto furono cacciati d’Italia per Belusiano patrice de’ Romani.

I Romani e Italiani veggendosi così consumare e distruggere a’ Gotti, mandaro in Gostantinopoli a Iustiniano imperadore che gli dovesse liberare da’ Gotti e recare lo ’mperio di Roma in suo stato e franchigia; il quale Iustiniano, udite le richieste de’ Romani, e per adirizzare lo ’mperio di Roma, fece patrice de Romani, cioè padre e suo luogotenente e vicario, Belusiano suo nipote, e mandollo in Italia; e Iustiniano rimase in Gostantinopoli, e corresse con grande provedenza tutte le leggi, le quali erano molte confuse e in più volumi, e recolle sotto brevità e con ordine: il quale Belusiano sopradetto fu uomo di grande senno e prodezza, e bene aventuroso in guerra. Prima di Gostantinopoli per mare valicò in Africa, e con vittoria ne cacciò i Gotti e’ Vandali che ’l paese occupavano, e poi simile fece in Cicilia; e appresso venne nel Regno e assediò la città di Napoli che si teneano co’ Gotti, e per forza la prese, e non solamente uccise i Gotti che v’erano dentro, ma quasi tutti gli Napoletani piccoli e grandi, maschi e femmine, perché ritenevano i Gotti, e con loro aveano compagnia. E poi ne venne verso Roma, la quale era occupata da’ Gotti, i quali sentendo la venuta di Belusiano patrice, si partiro da Roma e ridussonsi con tutta loro forza a Ravenna. Belusiano, radirizzato lo stato di Roma e dello imperio, perseguitò i Gotti a Ravenna, e ivi ebbe con loro grande battaglia, e vinseli, e sconfissegli, e cacciogli tutti quasi d’Italia; e poi n’andò inn-Alamagna e in Sassogna, e per forza tutti quegli paesi e province recò a l’obedienza e suggezzione dello ’mperio di Roma, e molto ricoverò lo ’mperio e ridusse in buono stato, e bene aventurosamente e con vittoria in tutte parti vinse e soggiogò i ribelli dello ’mperio, e tenne in buono stato mentre vivette, infino agli anni di Cristo VcLXV, che Iustiniano imperadore e Belusiano moriro bene aventurosamente. E dopo Belusiano fu fatto patrice di Roma Narses per Iustino secondo imperadore successore di Iustiniano; e questo Narses ancora ebbe battaglia in Italia col re de’ Gotti, e sconfissegli, e vinsegli, e al tutto gli cacciò d’Italia. E così durò la signoria de’ Gotti in Italia anni CXXV con grande stimolo e struggimento de’ Romani, e di tutti gl’Italiani, e dello ’mperio di Roma; e così s’adempié la parola del santo Vangelo ove dice: «Io ucciderò il nemico mio col nemico mio». E in questi tempi fu grande sterilità e fame e pestilenzia in tutta Italia. E chi vorrà più stesamente sapere le battaglie e le geste de’ Gotti cerchi i·libro che comincia: «Gottorom antichissimi etc.».

VII Della venuta de’ Longobardi in Italia.

Essendo Narses patrice di Roma, e signoreggiava lo ’mperio di ponente per Iustino imperadore, sì venne in disgrazia della imperadrice Sofia, moglie di Iustino, e minacciollo di morte, e di farlo privare della sua dignità; per la qual cosa il detto Narses si rubellò dallo imperadore Giustino, e mandò in Pannonia per gli Longobardi, ciò sono Ungari, e col loro re chiamato Rotario fece lega e compagnia contra lo ’mperadore di Gostantinopoli e de’ Greci, per torgli lo ’mperio di Roma; e così fu fatto, il quale re di Longobardi venne in Italia negli anni di Cristo VcLXX. E l’abito de’ Longobardi che prima vennono in Italia, si aveano raso il capo, e lunga la barba, e lunghi vestimenti e larghi, e di lino gli più, a modo di Frosoni, e le calze sanza peduli infino a’ talloni, legate con coregge. Questi Longobardi prima furono di Sassogna; ma soperchio di genti parte di loro si partiro di loro paese, e presono Pannonia, e poi si stesono in Ungaria. E Longobardi ebbono nome per uno indivino chiamato Godan, il quale, venute le mogli de’ Longobardi e la moglie del detto indivino per avere consiglio di loro fortuna, per suo consiglio disse che la mattina al levare del sole venissero, e co·lloro capelli avolti al mento. Godan così veggendole, disse: «Chi sono questi Longobardi?»; e però fue il loro primo nome. E poi al tempo e cagione di su detta passaro in Italia, e prima discacciarono di Melano i Melanesi, e simile gli abitanti di Ticino, e’ Chermonesi, e’ Bresciani, e’ Bergamaschi; e in quelle città prima cominciaro ad abitare, e popolaro di loro gente, e poi tutte l’altre città d’intorno, e di quelle di Toscana infino nel regno di Puglia signoreggiaro. E dapoi fu chiamato quello paese Lombardia, e Lombardi per lo nome de’ Longobardi; che prima avea nome la provincia Ombria, e di là dal Po Ensobra. E dalla loro venuta innanzi fu asciolto il regno d’Italia dal giogo di quegli di Gostantinopoli; e da quello tempo innanzi gli Romani si cominciaro a reggere per patrici, e durò grande tempo. E ’l detto re de’ Longobardi fece suo capo del reame la città di Pavia, e fece molto grandi e notabili cose mentre ch’egli regnò. E stando in Pavia si andò a·llui il santo padre Allesandro, vescovo allora dell’antica città di Fiesole e cittadino di quella, per cagione che ’l signore di Fiesole che n’era sanatore guastava la Chiesa, e occupava le ragioni del vescovado e delle sue chiese soffreganti; il quale Rotario re, con tutto che fosse barbaro e pagano, al detto santo Allesandro fece grande amore e reverenzia, e esaudì la sua petizione, e fecegli brivilegi, e liberò la Chiesa, sì come seppe domandare. Ma il sanatore della città di Fiesole, uomo crudele e malvagio Cristiano, mandò dietro al detto santo Allesandro suoi ministri e famigliari, acciò che gli togliessono la vita; il quale partendosi da Pavia per tornare a Fiesole, da’ detti masnadieri e ministri del sanatore di Fiesole fu martorizzato, e per forza gittato e annegato nel fiume del Po. Il cui corpo da’ suoi discepoli e compagni fu ritrovato e recato nella città di Fiesole con grande reverenza; e poi per lo beato santo Romolo succedente vescovo di Fiesole, traslatandolo ove è oggi la sua chiesa suso a la rocca, grandissimi e visibili miracoli fece Iddio per lui, e massimamente contro al detto senatore e suoi ministri persecutori de’ Cristiani, i quali non solamente perseguitavano i vivi, ma eziandio i corpi morti de’ santi non lasciavano soppellire, sì come innanzi la sua storia pienamente fa menzione; il cui santo corpo, e quello del beato santo Romolo, e di più altri martiri e santi sono ancora in Fiesole, e sono molto da reverire; e chiunque in pelligrinaggio vae, per gli meriti de’ detti santi corpi hae grandissimi perdoni e indulgenze. Lasceremo alquanto delle cominciate storie de’ Longobardi, ch’assai tosto vi torneremo, e diremo d’una nuova e perversa setta che in questi tempi si cominciò oltremare, e ciò fu la legge e setta de’ Saracini fatta per Maumetto falso profeta, la quale contaminò quasi tutto il mondo e molto affrisse la nostra fede cristiana.

VIII Del cominciamento della legge e setta de’ Saracini fatta per Maometto.

E’ ne pare convenevole, dapoi che in brieve corso di scrittura avemo fatta menzione del venimento in Italia della gente de’ Gotti e della loro fine, di mettere in questo nostro trattato il cominciamento della setta de’ Saracini, la quale fu quasi in questi tempi che’ Gotti vennono meno in Italia; e bene ch’ella sia fuori della nostra principale materia de’ fatti del nostro paese d’Italia e molto di lungi, sì fu sì grande mutazione del mondo, e donde seguirono poi grandissime persecuzioni a santa Chiesa e a tutti i Cristiani, e eziandio ne sentì per certi tempi la nostra Italia, come si troverrà per innanzi leggendo. E brieve diremo le storie, e la vita, e la fine di Maometto cominciatore della detta malvagia setta de’ Saracini, e in parte del cominciamento degli articoli della sua Alcaram, cioè legge, acciò che ciascuno Cristiano che questo leggerà, conosca e non sia ignorante della falsa legge e bestiale de’ Saracini, e stia a commendazione della nostra santa cattolica e vangelica fede, ritornando poi a nostra materia.

Ne’ detti tempi, quasi intorno di VIc anni di Cristo, nacque nel paese d’Arabia, nato nella città di Lamech, uno falso profeta ch’ebbe nome Maomet, figliuolo Aldimenech, il quale fu negromante. Questi fu disceso dalla schiatta d’Ismalieni, cioè de’ discendenti d’Ismael figliuolo d’Abram e d’Agar sua ancella; e con tutto che’ Saracini nati de’ discendenti d’Ismael si dinominaro da Sara la moglie d’Abram, più degnamente e di ragione dovrebbono essere chiamati Agarini per Agar onde il loro cominciamento nacque. Questo Maomet fu di piccola nazione, e di povero padre o madre; e rimaso piccolo fanciullo sanza padre e madre, fu ricolto e nudrito in Salingia in Arabia con uno sacerdote d’idoli, e co·llui imprese alquanto di negromanzia; e quando il detto Maomet fu in età di sua giovanezza, venne a stare al servigio d’uno ricco mercatante arabo, per menare suoi asini a vittura. E andando giovane garzone con mercatanti in sua vottura, arivò per cammino in una badia di Cristiani, la qual era in sul cammino e confini d’Asiria e Arabia di là dal monte Sinai, ove i mercatanti facieno loro porto e ridotto. In quella avea uno santo eremita cristiano, e avea nome Bahairà, al quale per revelazione divina gli fu mostrato che tra gli mercatanti là venuti avea uno giovane di cui parlava la profezia sopra Ismael nel XVI capitolo del Genesis, che dice: «Egli nascerà uno fiero uomo, che·lla sua mano sarà contra tutti e la mano di tutti sarà contro a·llui, e che sarebbe averso della fede di Cristo e persecutore grandissimo». E quand’egli venne co’ mercatanti alla detta badia, dicono i Saracini che ’l primo miracolo che Iddio mostrò per lui fu che crebbe una porta della chiesa, ond’egli entrò maravigliosamente; e se vero fu, sì fu segno manifesto che dovea isquarciare e aprire la porta della santa Chiesa di Roma. E conosciuto il giovane per lo santo padre per gli segni a·llui rivelati, il ritenne seco con pura fe’ per ritrallo dell’idolatra, e insegnavagli la vera fe’ di Cristo, la quale Maomet molto bene imparava. Ma per lo distino, overo per la forza del nimico dell’umana generazione, Maomet non poté continovare, ma si tornò al suo primo servigio e del suo maestro; col quale apresso crescendo Maomet in bontà, gli diede in guardia il suo maestro i suoi cammelli, e guidare sue mercatantie, le quali bene avrosamente avanzò. E morto il suo signore, e per lo suo buono servigio, a la donna piacque, e ebbe affare di lui; e poi morto il marito, il si fece secondo loro costuma suo marito, e fecelo signore d’ogni sua sustanzia e di molto grande avere. Maomet divenuto di povertà in ricchezza, si montò in grande orgoglio e superbia e in alti intendimenti, e pensossi di potere essere signore di tutti gli Arabi, però ch’erano grossi di senno e di costumi, e nonn-aveano nullo signore, né re, né legge: e egli era savio, malizioso, e ricco. E per fornire suo proponimento, prima si fece profeta, e predicava a quello grosso popolo, i quali vivieno sanza legge. E per avere séguito e podere s’acostò con uomini giovani, poveri e bisognosi, e ch’avieno debito, e con rubatori e disperati, seguendo co·lloro ogni peccato, e vivendo co·lloro a comune di ruberie e d’ogni male aquisto, spezialmente sopra i Giudei, cui molto disamava; e per questo divenne e montò in istato e signoria, e fu molto dottato e tenuto nel paese, e quasi come uno loro re fu temuto per lo podere e senno ch’avea tra quella gente barbera e grossa, e per sua superbia più battaglie ebbe co’ signori vicini, e più volte vinse, e fu sconfitto, e in alcuna battaglia perdé de’ denti dinanzi. E perché si facea profeta, e nelle dette battaglie in alcune fu sconfitto, onde per falso profeta fu rimprocciato, di che si scusava dicendo che Dio non volea che combattesse, e però il facea perdere, ma come suo messaggio voleva predicasse al popolo e amaestrasse. Il quale predicando, dicea ch’era sopra tutti i profeti, e che dieci angioli per comandamento d’Iddio il guardavano, ed era messo mandato da Dio per dichiarare la legge a’ Giudei e a’ Cristiani data da Dio a Moises; e quale contradicesse la sua legge fosse morto di spada, e i figliuoli o moglie di quello cotale fossono suoi servi, e tutta loro sustanza in sua signoria: questo fu il primo suo comandamento. Maomet fu di sua natura molto lussurioso, e in ogni villano atto di lussuria grazioso era colle femmine. Dicea che per grazia di Dio e’ poteva più generare che XL altri uomini, e però tenea XV mogli e più altre concubine, overo bagasce; e per gelosia le tenea nascose e velate il viso, perché non fossono vedute e conosciute: e per suo essempro si reggono ancora i Saracini di loro mogli. D’altre femmine usava quanto potea o gli piacea, e più volentieri le maritate che l’altre; e di ciò essendo ripreso, e cominciando a dispregiare la sua dottrina e predica, sì fu cacciato co’ suoi seguaci della città di Lamecche; per la qual cosa se n’andò ad abitare in un’altra città alquanto diserta ove abitavano Giudei e pagani e idolatri, e dura e salvatica gente, per meglio potere usare la sua falsa dottrina e predica, e commuovergli tutti alla sua legge. E fece fare in quella terra un tempio ov’egli predicava; e per iscusarsi della sua disordinata vita d’avolterio, si fece una legge seguendo la giudaica del vecchio Testamento, che qual femmina fosse trovata in avolterio fosse morta, salvo che co·llui, però ch’avea per comandamento da l’angiolo Gabriello ch’usasse le maritate per potere generare profeti. Ed essendo Maomet vago d’una moglie d’uno suo servo per sue bellezze, e toltala e giaciuto co·llei, il marito la cacciò, e Maomet la si riprese e tenne coll’altre sue femmine; e per conservare il suo avoltero, disse ch’ebbe lettera da·dDio per l’angelo, che facesse legge che quale uomo caccerà la moglie, o apponendole avoltero e no·llo provasse, ch’un altro la si possa prendere; e se ’l primo marito mai la rivolesse, no·lla possa riavere, se prima in sua presenza un altro uomo non giacesse co·llei carnalmente; e allora era purgato il peccato, e ancora il tengono i Saracini. Ancora fece legge ch’a ciascuno fosse lecito d’avere e usare tante mogli e concubine quante ne potesse fornire, per generare figliuoli e crescere il suo popolo; e fece legge che ciascuno potesse usare la sua propia cosa sanza peccato a·ssua volontà e disiderio, e questo trasse del bestiale paganesimo; e fece legge che quale ancella, cioè serva, ingrossasse di Saracino fosse franca; e così retasse il suo figliuolo come quello della moglie; e se fosse Cristiana, o Giudea, o pagana, si potesse partire libera a sua volontà, lasciando al padre di cui avesse aquistato il suo figliuolo. Queste furono le prime leggi che fece Maomet da·ssé medesimo. E avea Maomet la malatia di morbo caduco, che spesso cadea in terra e dibatteasi, e schiumava colla bocca sanza sentimento; e quando il male gli era passato, per coprire il suo difetto, e per fare meglio credere a quella grossa gente il suo errore e falsa dottrina, dicea che ciò gli avenia quando Iddio volea parlare co·llui e amaestrallo delle leggi che desse al popolo, però che nonn-era possibile di vederlo corporalmente; sì i·rapia l’agnolo Gabriello e portavalo in ispirito, e ne·rapire lo spirito avea il corpo suo quella passione. Istando Maomet nel cominciamento di questa sua falsa dottrina, avenne per sudozione del diavolo, volendo corompere la santa fede cattolica, che uno monaco cristiano ch’avea nome Grosius, overo volgare Sergio, il quale era grande cherico in corte di Roma e scienziato, ma per sue male opere e falso errore fu scomunicato e condannato per eretico, il quale per paura del papa si partì di corte, e udendo già la fama di Maomet, passò oltremare, e di là si rinegò la fede di Cristo, e co·male talento, per vendicarsi del papa e de’ veri Cristiani, si n’andò in Arabia, e s’acozzò con Maomet, e trovollo al cominciamento ch’egli predicava la sua falsa dottrina, ma ancora non gli era data troppa fede; sì gli mostrò il detto Sergio come la sua legge volea esser meglio ordinata e fondata, acciò che ’l suo popolo gli credesse. E acostandosi con uno Giudeo, simile rinegato di sua legge, famigliare di Maomet, molto savio e segace, i quali rinegati profertisi per consiglieri di Maomet, il quale gli ricevette allegramente, e fecegli molto grandi maestri appo lui, e eglino per loro astuzia feciono grande lui appo il popolo, faccendolo signore e profeta sopra tutti quegli che mai furono, e messo di Dio. E ordinarono insieme la falsa dottrina e mala legge de l’Arcaram, traendo in parte quello ch’a·lloro piacque del vecchio Testamento e de’ X comandamenti di Moises, e così del nuovo e vangelico di Cristo, della fede de’ Cristiani, e parte della legge pagana idolatra; e raccomunandole insieme colle leggi fatte in prima e poi per Maomet, ne feciono una quarta legge, la quale fu ed è errore e confusione della fede cristiana, e eziandio della giudaica e pagana, mescolando il veleno col mele, cioè con certe parti del buono delle dette leggi che vi missono, mescolato molto del falso errore. La quale falsa legge per lo vizio lascivo e largo della carnalità, e per forza d’arme, corruppe non solamente i grossi Arabi di quello paese, ma il paese d’Asiria, Persia, e Media, Mesoppontania, Soria, e Turchia, e molte altre province d’oriente, e poi l’Egitto, e l’Africa tutta insino in Ispagna, e parte della Proenza; e alcuna volta si distesono in Italia e nel nostro paese di Roma e di Toscana, siccome per questa e altra cronica si potrà trovare. Lasceremo a dire de’ falsi articoli della sua legge, ché a questo trattato non ne pare di nicessità, e sono disonesti e abominevoli a farne in questo memoria; ma chi·llo vorrà sapere legga l’Arcam di Maometo, ove tutte le sue costituzioni e dicreti vi sono per ordine. E quando Maometo fu nell’aggio di XL anni, fu per invidia da’ suoi medesimi avelenato; e veggendosi venire a morte, comandò che la sua legge fosse oservata, e chi·lla contradicesse fosse morto colla spada; e lasciò che, lui morto, nol dovessono soppellire infino a tre dì, però che di certo avea da Dio che in capo de’ tre dì, in anima e in corpo, ne sarebbe portato in cielo dagli angeli. I suoi parenti il tennono XII dì, tanto che forte putire facie il suo corpo, e non fu portato in cielo; ma lui poi imbalsimato, il portarono alla sua città da la Mecca onde fu nato, e in quella nel tempio in una arca messo; e per magistero di ferro con forza di calamita, la detta arca col suo corpo sta sospesa in aria sanza nullo altro tenimento. Al cui corpo di Saracini di diversi paesi vi vengono in pellegrinaggio con grandi oblazioni, e dicono che per la sua santità, per miracolo divino sta così sospeso in aria. Dopo la morte di Maomet molti savi uomini conobbono il falso errore e dottrina di Maomet, ed essere erronica, e da quella si partiro, e molto popolo fu scommosso e ritratto da quella legge. Ma i parenti di Maomet, i quali per la sua signoria erano grandi e potenti, per non perdere loro stato sì ordinaro uno successore di lui al modo del nostro papa, il quale tenesse e guardasse la legge di Maomet, e chiamarlo per sopranome calif. Bene ebbe tra·lloro al cominciamento, per la ’nvidia della signoria, grandissima scisma, e per gara feciono due calif, e l’uno calif dispuose l’altro, e feciono adizioni e correzzioni alla legge prima dell’Alcaram di Maomet; e per questa cagione nacque tra·lloro errore, onde si partirono. I Saracini del levante ritennono la propia legge di Maomet, e feciono loro calif dimorante alla nobile e grande città di Baldacca, e quegli d’Egitto e d’Africa ne feciono un altro i·lloro paese; e tra·lloro fu errore con diverse maniere di legge erroniche l’una dall’altra. Ma nel genero la legge dell’uno calif e dell’altro si concordavano insieme nella larghezza de’ diletti carnali e d’altri vizii lascivi; per la qual cosa, come detto è dinanzi, la maggiore parte del mondo n’è contaminata. E nota che per certe profezie si truova, e per grandi astrolaghi s’aferma, che la detta setta de’ Saracini dee durare circa ad anni VIIc e allora dé finire e venire meno. Non dichiarirò se cominciasse alla natività di Maomet o alla sua morte, o quando egli diè la legge agli Arabi. Lasceremo dello incominciamento della legge de’ Saracini, e de’ fatti di Maometto loro profeta, ch’assai in brieve n’avemo detto, e torneremo a nostra matera de’ fatti d’Italia, e diremo d’un’altra perversa e barbera gente che nella detta Italia vennoro e signoreggiaro un tempo, che furono chiamati Lungobardi, e di loro principio, e di loro geste, e fine; però che furono grande cagione di non lasciare redificare la nostra città di Firenze per lungo tempo.

IX De’ successori di Rotario re de’ Lungobardi.

Dopo il detto Rotario re de’ Lungobardi, onde adietro facemmo menzione nel capitolo di Narses che gli fece di prima venire in Italia, regnò Gisulfo. Questo Gisulfo fu re di Puglia, e fece suo capo in Benivento, che si chiamava in prima Sannia, e tutta Puglia disabitò quasi de’ paesani, e abitò di Longobardi, e feciono la legge che ancora si chiama longobarda, e tengono ancora i Pugliesi e gli altri Italiani, in quella parte dove danno mondualdo, overo in volgare manovaldo, alle donne, quando s’obbrigano in alcuno contratto, e fu buona e giusta legge. Questo Gisulfo assediò Roma e ’l papa, e ebbe due figliuoli: l’uno ebbe nome Alberico che fu re in Lombardia, e l’altro ebbe nome Grimaldo che rimase re in Benivento, e là morìo per torsi sangue, faticando suo braccio in aprire uno arco; e dopo Grimaldo ne fu re Romoldo suo figliuolo, e molta persecuzione feciono alla Chiesa. In Lombardia regnò Alberico e’ suoi discendenti apresso, e ebbono grande guerra con quegli della città di Ravenna in Romagna, la quale era la maggiore e la più famosa città d’Italia appresso Roma. E così per grande tempo signoreggiarono Italia i Longobardi, tanto che si convertirono in paesani e abitanti di tutta Italia. E erano di diverse sette, con tutto che fossono battezzati: chi era Cristiano, e chi ariano e d’altri errori, e chi idolatri e pagani; e così stette grande tempo Italia maculata d’errori, e di signoria tirannica per gli Longobardi, e la Chiesa molto abbassata e afflitta. Dopo Alberigo regnò re de’ Longobardi Eliprando, il quale fu grande come gigante, e per la grandezza del suo piede si prese la misura delle terre, e chiamasi ancora a’ nostri tempi piè d’Eliprando, il quale è poco meno d’uno braccio a la nostra misura, e così è intagliato alla sua sepultura a Pavia. Questo Eliprando fu Cristiano, e mandò in Sardigna a fare ritrovare l’ossa e ’l corpo di santo Agustino, e fecelo recare in Italia, e per divozione infino a Genova con grande processione venne incontro, e poi in Pavia le ripuose a grande onore e solennità negli anni di Cristo VIIcXXV.

X Come Carlo Martello venne di Francia in Italia a richesta della Chiesa contro a’ Lungobardi e l’origine della città di Siena.

Nel tempo del detto Eliprando, tutto che fosse cristiano, ma per la sua avarizia, e per volere occupare le ragioni della Chiesa santa, e per consiglio dello ’mperadore di Gostantinopoli, cominciò guerra co’ Romani e con papa Gregorio terzo, e con tutto suo isforzo venne ad assediare il detto papa a Roma, egli di verso Lombardia, e Grimaldo re de’ Sanniti e Pugliesi con suo isforzo di Puglia, negli anni di Cristo VIIcXXXV. Per la qual cosa, fatto concilio in Roma, la Chiesa co’ Romani mandarono in Francia per soccorso a Carlo Martello, il quale Carlo fu figliuolo di Pipino grande barone di Francia e de’ XII peri, il quale governava tutto il reame e lo re medesimo; e simile fece il detto Carlo Martello, che il re che allora era, chiamato Ciperic, avea solamente il nome, ma Carlo la forza e la signoria: e fu figliuolo della serocchia di Dodone re d’Equitania, e poi fu padre del buono re Pipino padre che fu di Carlo Magno; e Martello avea sopranome però che ’l portava in sopransegna. E in fatti fu martello, però che per sua prodezza percosse tutta Alamagna, Sassogna, Soavia, Baviera, e Danismarce infino i·Norvea, Inghilterra, Equitania, e Navarra, e Spagna, e Borgogna, e Proenza, e tutte le mise sotto la sua signoria, e gli fece suoi tributarii. Poi a la richiesta del detto papa passò in Italia infino in Puglia, e liberò Roma e la Chiesa dall’ocupazioni de’ Longobardi. E dicesi che in quel tempo, intorno gli anni di Cristo VIIcXL, fu il cominciamento dell’abitazione del luogo ove è oggi la città di Siena per la gente vecchia e non sana che passò con Carlo Martello, i quali rimasono in quello luogo, come adietro è fatta menzione della edificazione di Siena.

XI Come Eraco Lungobardo re di Puglia tornò all’ubidienza di santa Chiesa.

Dopo la morte d’Aliprando succedette Eraco che regnò in Puglia. Questo Eraco somigliante al suo anticessore ricominciò guerra colla Chiesa e con papa Zaccheria; e vegnendo a Roma negli anni di Cristo VIIcL con tutto suo isforzo di Puglia e di Lombardia, per distruggere Roma e ’l paese d’intorno, per lo detto papa fu predicato per modo che Idio ispirò in lui la sua grazia, e convertissi a l’ubidienza di santa Chiesa egli e la moglie e’ figliuoli, e passò oltremare contra a’ Saracini e’ pagani. Per la nostra fede cristiana fece di grandi e notabili cose con grande vittoria contra Cosdre re di Persia, e diliberò di pregione i Cristiani di Gerusalem e di Soria presi per lo detto Cosdre re; e raquistò la santa croce di Cristo che ’l detto re di Persia avea tolta di Gerusalem per dispetto de’ Cristiani; e però s’ordinò per santa Chiesa la festa dell’asaltazione della santa croce. E oltre a·cciò, tornato d’oltremare, il detto Eraco per l’amore di Cristo lasciò ogni signoria mondana, e rendési monaco, e finì in santa vita. E la statua del metallo ch’è in Barletta in Puglia fece fare a sua similitudine al tempo che regnava in grolia mondana. E in questi tempi si trovò di prima lo strumento della campana per uno maestro della città di Nola in Campagna, e però fu chiamata campana a campania, e alcuni la chiamaro nola, e la prima fu recata a Roma e posta nel portico di San Giovanni Laterano di piccola e grossa forma. Ma poi cresciute e migliorate, fue ordinato per santa Chiesa si sonasse con quelle, a onore di Dio, l’ore del dì e della notte.

XII Come Telofre re de’ Longobardi perseguitò santa Chiesa, e come il re Pipino a richiesta di papa Stefano venne di Francia, e sconfisselo e preselo.

Apresso del re Eraco succedette nel reame di Lombardia e in quello di Puglia insieme Aristolfo, detto in latino Telofre, fratello del detto Eraco. Questi fu signore di grande potenzia, e crudele, e nimico di santa Chiesa e de’ Romani; e per consiglio de’ malvagi e ribelli Romani, prese Toscana e la valle di Spuleto, e distrussele, e toglieva censi per ogni capo d’uomo; e fece congiura con Leone e Gostantino suo figliuolo imperadori di Gostantinopoli, e a sua richesta passaro a Roma, e presolla con Telofre insieme, e rubarolla, e arsono le chiese e’ santi luoghi, e portarne in Gostantinopoli le ricchezze di Roma, e tutte le imagini delle chiese di Roma, e per dispetto del papa e della Chiesa, e vergogna de’ Cristiani, l’arse tutte in fuoco, e molti fedeli Cristiani distrussero e consumaro in Roma e in tutta Italia. Per la qual cosa Stefano papa secondo gli scomunicò, e tolse per amenda del misfatto a lo ’mperio il regno di Puglia e di Cicilia, e stabilì per dicreto che sempre fosse di santa Chiesa. E poi non potendo riparare a la forza de’ detti tiranni ed a tanta aflizzione, in persona n’andò in Francia a Pipino prencipe e governatore de’ Franceschi a richiederlo e pregare che venisse in Italia a difendere santa Chiesa contro Telofre re de’ Lombardi, e fece al detto Pipino molti brivilegi e grazie, e fecelo e confermò re di Francia, e dispuose Ilderigo re ch’era della prima schiatta, però ch’era uomo di niuno valore, e rendési monaco. Il quale Pipino, fedele e amatore di santa Chiesa, il ricevette con grande onore, e poi con tutto suo isforzo col detto papa Stefano passò in Italia negli anni di Cristo VIIcLV, e col detto Telofre re de’ Lombardi ebbe grandi battaglie. A la fine per forza d’arme e di sua gente il detto Telofre fu vinto e sconfitto dal buono re Pipino, e fece le comandamenta del papa e di santa Chiesa, e ogni amenda, com’egli e’ suoi cardinali seppono divisare; e lasciò alla Chiesa per patti e brivilegi il reame di Puglia e di Cicilia, e ’l Patrimonio di Santo Piero. E venuto il detto Pipino in Roma col detto papa, furono ricevuti a grande onore da’ Romani; e ’l detto Pipino fu fatto patrice di Roma, cioè luogotenente d’imperio, e padre della repubblica de’ Romani. E rimessa Roma e santa Chiesa in sua libertà e in buono stato, si tornò in Francia, e finì sua vita a grande onore; e succedette a·llui re di Francia Carlo Magno suo figliuolo.

XIII Come Disidero figliuolo di Telofre ricominciò guerra a santa Chiesa; per la qual cosa Carlo Magno passò in Italia e sconfisselo, e prese e distrusse la signoria de’ Lungobardi.

Partito il re Pipino d’Italia e tornato in Francia, si riposò in alcuno tranquillo la Chiesa di Roma e ’l paese d’intorno uno tempo, per l’accordo che Pipino avea fatto con Telofre re di Lombardia, e per la vittoria avuta contra lui; ma morto Telofre, Desiderio suo figliuolo succedette a·llui, il quale maggiormente che ’l padre fu nemico e persecutore di santa Chiesa, e ruppe la pace, e allegossi con Gostantino che fu figliuolo di Leone imperadore di Gostantinopoli, e colle sue forze fece cominciare guerra in Puglia, e Disiderio dall’altra parte in Toscana, troppo maggiore che ’l suo padre nonn-avea di prima fatta. Per la qual cosa Adriano papa, che allora governava santa Chiesa, mandò in Francia per Carlo Magno figliuolo di Pipino che venisse in Italia a difendere la Chiesa dal detto Disiderio e da’ suoi seguaci; il quale Carlo re di Francia passò in Lombardia negli anni di Cristo VIIcLXXV, e dopo molte battaglie e vittorie avute contra Disiderio, si·ll’asediò nella città di Pavia; e quella per assedio vinta, prese il detto Disiderio, e’ figliuoli, e la moglie, salvo che ’l maggiore figliuolo ch’avea nome Algife si fuggì in Gostantinopoli a Gostantino imperadore, e sempre guerreggiò. Preso Disiderio, e la moglie, e’ figliuoli, Carlo Magno gli fece fare la fedeltà a santa Chiesa, e simile a tutti gli baroni e città d’Italia; e poi ciò fatto, il detto Disiderio, e la moglie, e’ figliuoli mandò in Francia pregioni, e là morirono tutti in pregione, e così fallì la signoria de’ re de’ Lombardi, detti prima Lungobardi, ch’era durata CCV anni in Italia, per la forza de’ Franceschi e del buono Carlo Magno, che mai poi nonn-ebbe re in Lombardia. Bene rimasero le schiatte de’ signori, e de’ baroni, e borgesi stratti di Longobardi ed i·Lombardia e in Puglia; e ancora oggi ne sono in nostro volgare certi antichi gentili uomini che noi chiamiano cattani lombardi, derivato da’ detti Longobardi che n’erano stati signori d’Italia. Carlo Magno, avuta la detta vittoria, venne a Roma, e dal detto Adriano e da’ Romani fu ricevuto a grande triunfo e onore. E apressandosi Carlo Magno a Roma, vedendo la santa città di Roma di su Montemalo, discese da cavallo, e per reverenza venne a piè infino a Roma; e là giugnendo, le porte della città e di tutte le chiese basciò, e a ciascuna chiesa oferse riccamente. E giunto in Roma, fu fatto patrice di Roma, e egli adirizzò lo stato di santa Chiesa, e de’ Romani, e di tutta Italia, e rimise in loro franchigia e libertade, abattute in tutte parti le forze dello ’mperadore di Gostantinopoli, e del re de’ Lombardi, e di loro seguaci. E confermò a la Chiesa ciò che Pipino suo padre l’avea dotato; e oltre a·cciò dotò la Chiesa del ducato di Spuleto e di Benivento. E nel regno di Puglia ebbe più battaglie contro a’ Longobardi e ribelli di santa Chiesa, e assediò e distrusse la città di Lacedonia ch’è in Abruzzi tra l’Aquila e Sermona, e assediò e vinse Tuliverno il forte castello a l’entrare di Terra di Lavoro, e più altre terre del Regno che teneano ribelli di santa Chiesa, e tutti gli sottomise a sua signoria. E ciò fatto, lasciando Roma e tutta Italia in pacifico stato e sotto sua signoria, bene aventurosamente intese a perseguitare i Saracini ch’aveano occupato Proenza, e Navarra, e Spagna, e colla forza de’ suoi dodici baroni e peri di Francia, chiamati paladini, tutti gli conquise e distrusse, e passò oltremare a richiesta dello ’mperadore Michele di Gostantinopoli e del patriarca di Gerusalem, e conquistò la Terrasanta e Gerusalem, che·ll’occupavano i Saracini, e aquistò a lo ’mperadore di Gostantinopoli tutto lo ’mperio di levante, il quale aveano occupato i Saracini e’ Turchi. E tornando in Gostantinopoli, lo imperadore Michele gli volle donare molti grandissimi tesori, nulla volle prendere, se non il legno de la santa croce e ’l chiovo di Cristo, lo quale in Francia ne recò, ed è oggi in Parigi. E tornato in Francia, signoreggiò per sua prodezza e virtude non solamente il reame di Francia, ma tutta Alamagna, Proenza, Navarra, e Spagna, e tutta Italia.

XIV Della progenia di Carlo Magno, e di suoi successori.

E imperciò che questo Carlo Magno fu di grande affare, e fu per sua prodezza e bontà rifatta la nostra città di Firenze, come innanzi faremo menzione, volemo brievemente fare memoria de’ suoi discendenti che furono imperadori e re di Francia, infino che fallì la sua schiatta al tempo d’Ugo Ciappetta duca d’Orliens. Apresso Carlo Magno regnò imperadore e re di Francia Luis suo figliuolo XXVI anni; poi fu Lottieri suo figliuolo imperadore, come innanzi faremo menzione, e Carlo il Calvo l’altro figliuolo di Luis fu re di Francia anni XXXIIII. A la fine, morto Lottieri suo fratello, fu il detto Carlo il Calvo imperadore due anni, e l’altro figliuolo del sopradetto Luis, che per lui Luis ebbe nome, fu re di Baviera e d’Alamagna, e di là rimasono re i suoi discendenti. Poi morto Carlo il Calvo, fu re di Francia Luis il Balbo suo figliuolo due anni. Questi nonn-ebbe lo ’mperio, ma fu imperadore Luis figliuolo di Lottieri imperadore, come innanzi faremo menzione. Poi di questo Luis il Balbo re di Francia rimase la moglie incinta d’uno figliuolo ch’ebbe nome Carlo il Semprice: di questo Luis il Balbo rimasono ancora due figliuoli grandi, l’uno ebbe nome Luis, e l’altro Carlo Magno; ma non furono di diritto maritaggio nati. Questi regnarono V anni, e furono morti; e dopo la loro morte gli baroni diedono il reame a Carlo il Grosso imperadore, che fu figliuolo di Carlo il Calvo, e regnò, essendo imperadore, V anni re di Francia. Questi fu quello Carlo che pacificò gli Normandi, e fece parentado co·lloro, e fecegli diventare Cristiani, e diede loro Normandia, come innanzi farà menzione. Ma poi questo Carlo divenne sì malato, ch’era perduto del corpo e della mente, onde per necessità fu disposto dello ’mperio e del reame, e per gli baroni dello ’mperio fu eletto uno Arnolfo imperadore, come innanzi nella storia degli ’mperadori farà menzione; ma non fu de·legnaggio di Carlo, né poi non ne fu niuno imperadore francesco. I baroni di Francia, disposto Carlo il Grosso, di concordia feciono re di Francia Ugo, overo Oddo, figliuolo Ruberto conte d’Angieri, e regnò VIIII anni, e fu buono uomo e dolce, e nudrì onorevolmente Carlo il Grosso ch’era malato e disposto. Ma essendo il detto Oddo in Guascogna, i baroni di Francia fecioro re Carlo il Semplice figliuolo adpostumo che fu di Luis il Balbo della diritta schiatta reale; onde sappiendo ciò Oddo, crucciato venne di Guascogna in Francia, e fece grande guerra per V anni, e poi si morì. Questo Carlo il Semplice regnò re XXVII anni; ma essendo lui re, parte de’ baroni di Francia feciono re Ruberto fratello del sopradetto Oddo d’Angieri, e ebbono grande guerra ne·reame; a la fine il detto Ruberto fu sconfitto e morto da Carlo. Ma poi il detto Carlo il Semplice fu preso da Ruberto conte di Vermandos, ch’era de·legnaggio di Ruberto ch’era stato re, e in pregione il tenne a Perona tanto che morì. Ma lui preso, la moglie di Carlo, ch’era serocchia del re d’Inghilterra, se n’andò al fratello con uno suo figliuolo ch’ebbe nome Luis. Poi gli baroni di Francia feciono loro re Ridolfo figliuolo del duca di Borgogna, e regnò due anni; ma lui morto, i baroni mandarono inn-Inghilterra per lo giovane Luis figliuolo di Carlo il Semplice e feciollo re di Francia. Questo Luis regnò in Francia XXVII anni. Questi ebbe per moglie la serocchia del primo Otto della Magna imperadore, e ebbene due figliuoli, Lottieri e Carlo il Grande; poi negli anni VIIIIcXLVII fu il detto Luis preso nella città di Leone sopra Rodano da Ugo il Grande suo nimico. Ma ciò sappiendo Otto imperadore, venne in Francia con innumerabile oste, e prese la città di Leone, e trasse di pregione il re Luis suo cognato, e poi puose l’assedio alla città di Parigi, ove era il detto Ugo il Grande, e rendési egli e la città a la mercé del detto Otto, e paceficò insieme con Luis re, e rimase Luis in sua signoria. Ma lui morto, fu fatto re di Francia Lottieri suo figliuolo, il quale regnò XXXI anno, e ebbe guerra co’ Fiaminghi, e vinsegli, e prese il ducato del Loreno ch’era dello ’mperio, onde Otto secondo imperadore suo cugino ebbe guerra co·llui, e corse il reame di Francia. A la fine fecioro pace, e lasciò a lo ’mperio il Loreno. Poi morto Lottieri, fu fatto re Luis suo figliuolo, ma non vivette che uno anno, e rimase sanza reda; e gli baroni di Francia feciono loro re Ugo Ciappetta duca d’Orliens gli anni di Cristo VIIIIcLXXXXVIII. Allora fallì la signoria della schiatta di Pipino e di Carlo Magno. Bene rimase in vita, regnando Ugo Ciappetta, Carlo il Grande fratello che fu di Lottieri e zio dell’ultimo Luis, il quale fece gran guerra a Ugo Ciappetta; ma alla fine fu il detto Carlo sconfitto e morto, e rimase il reame paceficamente a Ugo e a sue rede: e regnò i·legnaggio di Pipino re di Francia anni CCXXXVI. Avendo detto brievemente il corso e signoria de’ successori e discendenti di Carlo Magno i quali apresso lui furono re di Francia, e tali imperadori di Roma, infino che fallì il loro lignaggio, sì·nn’è di nicessità di dire ancora di quello ch’adoperaro gl’imperadori franceschi, però che si mischia molto alla nostra materia per le novità della nostra provincia d’Italia e della Chiesa di Roma che furo a·lloro tempi; e però torneremo adietro, come Carlo Magno re di Francia fu fatto imperadore di Roma, e poi degli altri imperadori di suo legnaggio che furono appresso.

XV Come Carlo Magno re di Francia fu fatto imperadore di Roma.

Carlo Magno tornato d’oltremare in Francia, come detto avemo, e avendosi sottoposto Alamagna, Italia, e Spagna, e Proenza, i malvagi Romani co’ possenti Lombardi e Toscani si rubellaro dalla Chiesa, e in Roma presono papa Leone terzo che allora regnava, andando alla processione delle Letanie, e abacinarogli gli occhi, e tagliaro la lingua, e cacciarollo di Roma. E come piacque a·dDio per miracolo divino, e sì come innocente e santo, riebbe la vista degli occhi e la loquela del parlare, e andonne in Francia a Carlo Magno, pregandolo che venisse a Roma a rimettere la Chiesa in sua libertà; il quale Carlo, a richiesta del detto papa Leone, co·llui insieme venne a Roma, e rimise il papa e la Chiesa in suo stato e libertade, e fece grande vendetta di tutti i ribelli e nemici di santa Chiesa per tutta Italia. Per la qual cosa il detto Leone papa co’ suoi cardinali e concilio generale, e con volontà de’ Romani, per le virtudiose e sante operazioni fatte per lo detto Carlo Magno in istato di santa Chiesa e di tutta Cristianitade, per dicreto levaro lo ’mperio di Roma a’ Greci, e elessero il detto Carlo Magno imperadore de’ Romani, siccome dignissimo dello ’mperio; e per lo detto papa Leone fu consacrato e coronato in Roma gli anni di Cristo VIIIcI con grande solennità e onore il dì di Pasqua. Il quale Carlo bene aventurosamente imperiò anni XIIII e mesi uno e dì IIII, signoreggiando in tutto lo ’mperio del ponente, e le province dette di sopra, e eziandio lo ’mperadore di Gostantinopoli era a sua obbedienzia; e fece edificare tante badie quante lettere ha nell’abicì, cominciando il nome di ciascuna per la sua lettera. E coronato Luis suo figliuolo dello ’mperio e del reame di Francia, dando tutto suo tesoro a’ poveri per Dio in questo modo, ch’egli lasciò il terzo di suo tesoro, il quale era infinito, a tutti i poveri di Cristianità mendicanti, e le due parti lasciò a dispensare a tutti i suoi arcivescovi di suo Imperio e di suo reame, acciò che·lli partissono intra gli loro vescovi, e a tutte chiese, monisteri, e spedali. E questi sono i nomi degli arcivescovadi e vescovi principali cui fece suoi esecutori: quello di Roma, ciò fu il papa, l’arcivescovo di Ravenna, e quello di Melano, e ’l patriarca d’Aquilea, e quello di Grado, e ’l vescovo di Firenze, in Italia; in Alamagna, a l’arcivescovo di Cologna, a quello di Maganza, a quello di Trievi; a quello di Legge, a quello di Senso, a quello di Bisenzona, a quello di Leone, a quello di Vienna in Borgogna; a quello di Ruem, a quello di Rens, a quello del Torso, a quello di Burgi, in Francia; a quello di Garent, a quello di Riens, in Navarra; a quello di Bordello, in Guascogna; e questo troviamo per le sue croniche. E ciò fatto, santamente rendé l’anima a Cristo nella terra d’Aquisgran in Alamagna, e là fu soppellito a grande reverenza, cioè ad Asia la Cappella. Ciò fu gli anni di Cristo VIIIcXIIII, e vivette LXXII anni; e molti segni appariro innanzi a sua morte, come raccontano le sue croniche de’ fatti di Francia. Questo Carlo acrebbe molto la Chiesa santa e la Cristianità a lungi e apresso, e fu uomo di grande virtù.

XVI Come apresso Carlo Magno fu imperadore Lodovico suo figliuolo.

Dopo la morte di Carlo Magno succedette allo ’mperio di Roma il re di Francia Lodovico suo figliuolo anni XXV. Questo Lodovico ebbe in prima grande guerra con due suoi fratelli, ciò furo Carlo e Pipino; e l’uno gli rubellò la Magna, e l’altro Spagna; e poi le rivinse loro per forza, e finirono male. Ebbe il detto Luis tre figliuoli: il primo Lottieri, e fecelo signore in Italia e luogotenente dello ’mperio; il secondo ch’ebbe nome Pipino fece re d’Equitania; il terzo, detto Luis, fece re di Baviera d’Alamagna; e dicesi che quegli della casa di Baviera sono stratti di quello lignaggio. Poi ebbe Luis d’un’altra moglie uno figliuolo ch’ebbe nome Carlo il Calvo, e fu poi re di Francia XXXIIII anni, e a la fine fu imperadore due anni, morto Lottieri imperadore suo fratello. Poi tutti gli detti figliuoli di Luis col loro padre distrussono Brettagna. Poi nacque disensione grande tra·llui e’ figliuoli, i quali si rubellaro da Luis, e allegaronsi col papa, il quale papa Ghirigoro quarto colli suoi cardinali il dispuosono dello ’mperio per certe false accuse fatte contra lui, e rendési monaco in San Marco in Sansona; il quale papa quello anno medesimo trovando il vero, si ripenté e rimiselo in sua dignità, e’ figliuoli medesimi si riconobbono, e tornaro a la sua obbidenzia.

XVII Come i Saracini di Barberia passarono in Italia e furono isconfitti e tutti morti.

Al tempo di questo Luis, overo Lodovico, re di Francia e imperadore, e di Grigorio papa, per alquanti grandi uomini di Roma e scellerati e fuori d’ogni fede, per loro tirannia vollono guastare lo ’mperio, con giura e ordine di certi grandi Toscani: mandarono al soldano de’ Saracini che venisse a Roma e possedesse Italia; i quali Saracini passarono con grande navilio in Italia, e fu sì grande moltitudine che copria la terra come i grilli, e corsoro e guastaro Cicilia e Puglia, e assediaro Roma e presono la parte della città Leonina ov’è la chiesa di San Piero, e di quella feciono stalla di cavagli, e disfeciono la chiesa di San Piero e di San Paolo, e più altre di fuori di Roma, e poi tutta Toscana guastaro. Il detto papa Gregorio mandò per soccorso in Francia a Lodovico imperadore, e in Lombardia al marchese di Monferrato; il quale Guido marchese co’ Lombardi prima venne, e poi Lodovico co’ Franceschi; e dopo molte battaglie e spargimento di sangue i Saracini cacciarono d’Italia, e andandone in Africa, in alto mare per la tempesta tutti annegaro; e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcXXXV.

XVIII Ancora come i Saracini passarono in Calavra e’ Normandi in Francia.

Dopo il detto Lodovico imperiò Lottieri anni X. Questo Lottieri simigliante ebbe guerra co’ fratelli per volere il reame di Francia che tenea Carlo il Calvo, e combatté co·lloro, e fu sconfitto in Alzurro; per la qual cosa lo ’mperio molto abassò, che i possenti Lombardi e Italiani no·llo ubbidieno, ma si recarono a tiranno, e signoreggiavano chi più potea. E per questa cagione i Saracini anche a richiesta de’ tiranni passarono in Italia, in Puglia, e in Calavra; e’ Normandi, ciò furono Noverchi di Norvea, per mare passaro in Gallia, e distrussono quasi tutta Francia; e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcXLVII, onde lo ’mperio di Roma e ’l reame di Francia molto abassò. Per la qual cosa Lottieri per dolore lo ’mperio e parte de·reame che tenea dal fiume de lo Scalto a·Reno lasciò al figliuolo, e fecesi monaco e religioso di santa vita. A costui tempo Leone papa quarto rifece la chiesa di San Piero e di San Paolo, e tutte le chiese di Roma disfatte da’ Saracini, e fece le mura della città detta Leonina intorno a San Piero, e per suo nome così fu chiamata.

XIX Come e in cui fallì lo ’mperio e reame di Francia alla progenia di Pipino.

Dopo Lottieri imperiò Luis secondo suo figliuolo XXI anno. Questi ebbe molte battaglie co’ Romani e co’ Toscani, perché nonn-ubbidieno lo ’mperio; e al suo tempo il reame di Francia ebbe molte aversità da’ Normandi. Dopo costui fu imperadore Carlo secondo figliuolo di Luis primo, detto Carlo Calvo. Questi venne a Roma, e per podere di sua moneta che spese a’ possenti Romani e a papa Giovanni ottavo si fece coronare imperadore, e non regnò che XXI mese; e in questo tempo Luis di Baviera suo fratello gli fece guerra, e gli occupò parte dello ’mperio a’ confini di Francia. Questo Carlo rifece tutte le chiese disfatte da’ Saracini in Italia, e cacciogli di Cicilia; e tornando Carlo Calvo la seconda volta da Roma, fu da uno medico giudeo avelenato, e morì a Vercelli in Lombardia, e ’l suo corpo da’ suoi fu portato in Francia a Santo Dionisio. E dopo il detto Carlo il Calvo succedette a·llui Carlo il terzo, il quale fu chiamato Carlo il Grosso, e imperiò anni XII, e degli ultimi XII anni gli V anni fu imperadore e re di Francia, però ch’era morto Luis il Semplice suo zio re di Francia a figliuoli sanza reda. Ma al fine il detto Carlo il Grosso amalòe, per modo che quasi era perduto, sì che per nicessità da’ baroni fu disposto dello imperio e del reame. Al tempo di costui i Normandi e quegli di Danesmarce distrussero e guastaro gran parte di Francia e d’Alamagna, per la qual cosa il detto Carlo il Grosso, innanzi che fosse perduto de la malatia, andò contra le dette genti con tutto suo isforzo infino in Alamagna. I Normandi veggendo la potenzia dello ’mperadore, si pacificaro co·llui, e il loro re tolse per moglie la sua cugina figliuola che fu di Luis il Semplice re di Francia, e per mano del detto Carlo si fece battezzare Cristiano, e tutte sue genti per lui si feciono Cristiani; e non volendo tornare in loro paesi, sì diede loro il detto Carlo ad abitare la contrada e paese che allora si chiamava Laida Serna, la quale per loro nome e poi sempre fu chiamata Normandia, e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcLXXXX; e il primo duca de’ Normandi ebbe nome Ruberto, del cui lignaggio discesono valenti signori, come innanzi faremo menzione.

XX Di quello medesimo, e come regnaro appresso i·lignaggio d’Ugo Ciappetta.

Appresso che fu disposto dello ’mperio, come detto avemo, Carlo il Grosso, i baroni elessero imperadore Arnolfo, overo Arnoldo, uno barone di Francia, ma non fu del lignaggio di Carlo il Magno. Questi regnò XII anni, ma poco si travagliò de’ fatti d’Italia, se non in tanto che per sua forza fece fare papa Sergio il terzo, il quale fece nella Chiesa molte grandi mutazioni contra i suoi anticessori, come la cronica martiniana fa menzione. Questo Arnolfo combatté in Maganza con Danesmarce e Normandi, e vinsegli e cacciogli, che XL anni Alamagna e Francia aveano soggiogata. Questi a la fine per malizia divenne perduto, e lo ’mperio de’ Romani ch’era appo’ Franceschi al suo tempo fallì e venne meno, gli anni di Cristo VIIIIcI. E non solamente fallì lo ’mperio a’ Franceschi, ma eziandio la signoria d’Alamagna al suo figliuolo e successore gli anni di Cristo VIIIIcX, che Currado primo tedesco ne fu fatto re, e fallì a’ Franceschi la signoria di Spagna, e di Navarra, e Proenza, e non passò anni LXXX ch’al tutto fallì i·legnaggio di Carlo Magno, che non furono re di Francia dal tempo di Ugo Ciappetta duca d’Orliens, come adietro facemmo menzione, gli anni di Cristo VIIIIc e così mostra che VII fossero gl’imperadori franceschi, che vi furono de·legnaggio del buono Pipino. Durò lo ’mperio apo’ Franceschi discendenti di Carlo Magno per C anni, e per loro discordie finìo in loro lo ’mperio, e ritornò agl’Italiani; però che nonn-atavano gli Romani dalle ingiurie de’ Lombardi e de’ Toscani, né ’l papa, né·lla Chiesa da’ tiranni che·lla perseguieno; e dove i loro anticessori aveano fatto le chiese e dotate riccamente, per loro erano distrutte e rubate. Avemo detto sì lungamente dello imperio e de’ re de’ Franceschi, lasciando nostra materia de’ fatti di Firenze, per continuare le novitadi e persecuzioni ch’a·lloro tempi ebbono gli Romani e quasi tutta Italia da’ Saracini, e dalle discordie de’ Lombardi ch’ebbono colla Chiesa; per la qual cosa la città di Firenze, di poco tempo rifatta, per le dette aversitadi poco acrebbe o venne in istato. Lasceremo le storie de’ Franceschi e torneremo a nostra materia adietro, per contare come la città di Firenze fu rifatta e ristorata al tempo del buono Carlo Magno; ma prima diremo di suo averso stato innanzi ch’ella fosse rifatta.

XXI Come la città di Firenze istette guasta e disfatta CCCL anni.

Dopo la distruzione della città di Firenze fatta per Totile Flagellum Dei, come adietro è fatta menzione, stette così disfatta e diserta intorno di CCCL anni per lo male stato di Roma e dello ’mperio, il quale prima da’ Gotti e Vandoli, e poi da’ Longobardi e Greci e Saracini e Ungari fue perseguitato e abassato, come adietro è fatta menzione. Ben v’avea ov’era stata Firenze alcuno borgo e abitanti intorno al Duomo di Santo Giovanni, per cagione che’ Fiesolani vi faceano mercato un dì della settimana, e chiamavavi Campo Marti per l’antico nome, però che prima sempre da’ Fiesolani era loro mercato, e così chiamato anzi che Firenze si facesse. Avenne per più volte, infra ’l detto tempo che la città era guasta e disfatta, che que’ cotanti abitanti de’ borghi e del mercato, coll’aiuto di certi nobili del contado che anticamente erano stati stratti de’ Fiorentini primi cittadini, e di quegli di villaggi intorno, vollero più volte richiudere de’ fossi e di steccati alcuna parte della città intorno al Duomo; ma per quegli della città di Fiesole, e col loro aiuto i conti da Mangone, e di Montecarelli, e da Certaldo, e di Capraia, ch’erano tutti d’uno lignaggio co’ conti da Santa Fiore stratti di Lungobardi, si mettevano a riparo e contasto, e non lasciavano rifare; ma quello che·ssi facea, per forza, vegnendo armati e possenti, il faceano abattere e disfare, sicché per questa cagione, per l’aversitadi ch’aveano i Romani, siccome adietro è fatta menzione, e perché i Fiesolani sempre si tennono co’ Gotti, e poi co’ Longobardi, e con tutti i ribelli e nemici dello ’mperio di Roma e di santa Chiesa, e erano per la loro forza sì possenti e grandi che non n’aveano contasto da niuno loro vicino, non sofferieno che·lla città di Firenze si rifacesse; e per questo modo stette lungo tempo, infino che Dio puose fine all’aversità della città di Firenze, e recolla a salute della sua reparazione, come per noi si tratterà nel seguente capitolo, e quarto libro.