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Odissea (Pindemonte)/Avviso al lettore

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Omero - Odissea (Antichità)
Traduzione dal greco di Ippolito Pindemonte (1822)
Avviso al lettore
Odissea Libro I

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Egli è usanza di molti, che pubblicano le lor fatiche, il dar conto della strada, che credettero dover tenere; e massimamente, ove trattisi di traduzioni, rispetto alle quali son varie non poco le strade, che tenere si possono. Avendo io parlato di quella, ch’io prender credetti, nella Prefazione ai due primi libri dell’Odissea da me già pubblicati, parmi superfluo il ripetere ora le stesse cose, ponendo in luce tradotto l’intero Poema. Sarebbe più presto da considerarsi, se con fiducia d’esser letto con piacere da molti presentar si possa oggidì un Poema antichissimo, le cui bellezze son diverse oltremodo da quelle, che oggidì piacciono comunemente; in cui frequenti son que’ racconti, che or sembrano inutili, frequenti quelle ripetizioni, che or pajono soprabbondanti; ed ove si discende spesso alle particolarità più [p. iv modifica]minute della domestica vita, nelle quali è assai difficile non riuscir triviale ai nostri dì, e in lingua nostra: lingua certo bellissima tra le moderne, ma che non toglie, che di lei eziandio si dica, avere i Greci innalzate le lor fabbriche in marmo, e i traduttori copiarle in mattoni; comechè usciti fossero questi dalla migliore, per dir così, delle fornaci d’Europa. È vero, che, oltre la maestà, e l’armonia della Greca favella, l’antichità sua medesima conferisce non poco alla elevatezza, e nobiltà della narrazione, atteso che ogni cosa, quanto è più fuori dell’uso, tanto più dalla volgarità s’allontana; e però, supponendo ancora, che le parole del nostro idioma fossero egualmente rotonde, e sonore in sè, apparirebbero meno illustri, e poetiche per questa ragione soltanto, che si trovano continuamente sopra ogni bocca. Comunque sia, la difficoltà, sotto cui affaticasi un moderno volgarizzatore, rimane la stessa; e ch’io non l’esagero ad arte, ne chiamo in testimonio tutti coloro, che leggono il Greco, e quelli [p. v modifica]tra loro principalmente, che, facendo Italiano l’un passo, o l’altro dell’Odissea, assaggiato avessero le lor forze in sì fatto arringo, e tentato anch’essi di tendere quest’arco d’Ulisse. Ma perchè dunque tradur l’Odissea, domanderanno alcuni, e perchè, soggiungeranno, stamparla? Quanto al tradurla, traslatati da me, come per una certa prova, i due primi libri, piacquemi far lo stesso di alcuni altri, traducendo a salti or questo, ed or quello, e non sapendo bene, se volgarizzati tutti gli avrei, finchè mi trovai averli quasi tutti a poco a poco volgarizzati. Non era egli cosa naturale, ch’io compiessi l’opera totalmente? Si levò intanto, ed or vengo alla ragione dello stamparla, una espettazion favorevolissima, per cui non mi fu più lecito di lasciar nelle tenebre il mio lavoro; espettazione nel resto, di cui altri forse compiacerebbesi, e che in me produce una confusione grandissima, veggendo io chiaro, non potersi da me corrispondere a quella, e non bastandomi l’indulgenza, con cui furono ricevuti i due [p. vi modifica]primi libri, perchè io debba sperare, che tutti i ventiquattro con pari indulgenza sien ricevuti. Potrei anche aggiungere, essermi andato per la mente questo pensiero, che opportuno fosse il richiamare in qualche maniera l’attenzione sovra un Poema, nel qual s’imita sì scrupolosamente, e con tanto di maestria la natura, in un tempo, che alcuni dipingono, e con grande applauso, ne’ versi, non già l’uomo di lei, ma quello bensì, che lor piace più, della fantasia loro: sì che par quasi, che dove i poeti si contentavano di rappresentar la più nobile delle creature, come la natura sin qui formolla, questi volessero, che la natura formassela da ora innanzi, com’ eglino la rappresentano. È probabile, che la prima non cangerà stile; e che non anderà dietro ai secondi chiunque brama ottenere un seggio stabile sul Parnaso.