Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/II. Capitoli/Capitolo I.

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I. [La reietta.]

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[La reietta.]


     Tu se’ disposto pur, crudel, lassarmi,
rompere al tutto la ’mpromessa fede,
dar fine al fraudolente lusingarmi.
     Non merta l’amor mio simil merzede,
non merta chi si fida esser gabbato;5
ma spesso va cosí chi poco crede.
     Ché appena ti vidi io, perfido, ingrato,
ch’ogni mia libertá ti diedi in preda;
or ne va par la pena col peccato.
     Ma convien pur ch’alla tua voglia ceda,10
convien che a mal mio grado al ciel consenta,
benché la morte innanzi agli occhi veda;
     la qual nel volto mio porto dipenta,
da che dicesti far da me partita,
qual non può far che mai d’amar mi penta.15
     Ma, se ho per te mia libertá smarrita,
perso l’onor, la fama, il tempo e l’alma,
giusto è che ancor per te perda la vita.
     Tu se’ disposto pur d’aver la palma:
abbila: ormai son vòlta a contentarti20
e porre a terra l’amorosa salma.
     Ma di’, che t’ho fatto io se non amarte,
se non servirti ed adorarti tanto,
con pura fé, con ogni studio ed arte?

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     Tradita m’hai: oh, che mirabil vanto!25
Aiutar me vorrei: non ho difesa,
ch’altre arme non ho che ’l tristo pianto.
     Mancato questo a te, non degna impresa,
ché gabbi tu chi da te vinto resta,
femina incauta e del tuo amore accesa,30
     qual sempre è stata vigilante e presta
nell’amor tuo, ed altri mai non ama,
ché ogni altra impresa è al mio cor molesta?
     Ma forse ch’altra donna a sé ti chiama,
a te piú grata: ahi, misera infelice!35
Ma qual piú arde o qual di me piú t’ama?
     Il tutto non dirò, perché non lice;
ma aría ben fatto il mio costante amore
l’aquile e le colombe insieme amice.
     Ben dovria somigliarti, ingrato core,40
a qualche tigre o a qualche altra fèra,
ma qual fèra è che non conosca amore?
     Nulla sembianza alla mia mente altèra;
ché non hai pur pensier fuggendo via
che la tua fe’ con la mia vita pèra.45
     Ahi, cruda sorte, a me spietata e ria,
ch’altri mi fugge in mia florida etade,
onde da ognun seguíta esser dovria!
     Che mi vale or la forma e la beltade
da te sí spesso, misera, laudata,50
e ’l bel servir con tanta umilitade?
     La piú costante e la peggiore amata
giamai non fu, ma ben tutto perdono,
pur che la data fé mi sia servata.
     Questo ti chieggo per estremo dono:55
non mi lasciar, e, se servendo errai,
nol so, ma certo il cor sempre fu buono.
     Piegonsi i cieli a’ voti, come sai;
deh! vincanti le lacrime che ho sparse,
se grazia un puro amor merita mai,60

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     per le mie membra lacerate ed arse,
per la tua destra a me tanto donata;
e se mai cosa in me dolce ti parse,
     non mi lasciar sí scossa e abbandonata;
deh! vincati una cieca, sanza guida,65
giovane semplicetta innamorata,
     qual sanza te di vita si diffida;
ché se ostinato se’ pur di fuggire,
forza è ch’io sia di me stessa omicida.
     Perché dal dí ch’io seppi il tuo partire,70
esanimata, vòlsi venir meno
per evitare un piú crudel morire.
     Presi colla mia man l’aspro veleno:
per manco infamia, non spettai quel punto,
qual so verría, di mille morte pieno.75
     Ma, quando il tosco appresso al cor fu giunto,
forza non ebbi (oh, dispietato giorno!)
per il vigor in sé tutto congiunto,
     tra li spiriti uniti intorno intorno
per sustentare il cor quasi giá scosso,80
li quai piú che ’l velen possenti fôrno.
     E se per piú dolor morir non posso,
come leon farai nutrito in bosco,
se questo caso almen non t’ha commosso?
     Ah! lassa a me, che insin nel crudo tosco85
truovo qualche pietá che non offende;
ché piú crudel di te nulla conosco.
     Ma vedi che la man altra via prende:
farallo il ferro dispietato e crudo,
poi ch’ogni altro da morte mi difende,90
     qual ora in la sinistra tengo nudo;
con l’altra scrivo, e preparato è il petto,
ché alla infelice è sol la morte scudo.
     Sospesa sto; da te risposta aspetto:
che se lassar mi vuoi, sto nel confino;95
farò del tristo amor l’ultimo effetto.

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     Ma non sará sí presto il tuo cammino,
ché ’l spirto mio verrá seguendo l’orma
visibilmente sempre a te vicino:
     sanguinolenta in quella propria forma100
che con la cruda man morte mi diei,
stia piú tuo corpo vigilante o dorma,
     non per farti alcun mal, ch’io non potrei,
ma perché un giorno del tuo mal ti penta,
e che conosca un dí l’affanni miei,105
     udendomi ulular con crudi accenti
e lamentar di te non una volta,
e rinfacciarti tutti i mia tormenti.
     E, benché l’alma semplicetta e stolta
sia fuor del corpo faticoso e stanco,110
non creder che per questo sia distolta,
     ché un vero amor per morte non vien manco.