Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/V. Canzoni a ballo/Canzone II.

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II. [La pazzia]

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ii

[La pazzia]


     Io vo’ dirti, dama mia
(non dir poi: — Tu nol dicesti — ),
benché qui fra noi si resti,
com’è fatta la pazzia.
     La pazzia è di volere
una cosa e non volella,
farne il popolo avvedere;
come fa’ tu, pazzerella.
E’ ti par esser piú bella
che ognun di vederti impazzi,
pur ch’un tratto tu sghignazzi,
dica o qualche smanceria.
     La pazzia è chi dileggia
e poi resta dileggiata,
come tu se’, cuccuveggia,
mona tinca infarinata.
Stu non vuoi esser guatata
e che nessun non t’aggradi,
non ci fare i fraccuradi
quando l’uom passa per via.
     La pazzia è dolce cosa,
che chi l’ha non se n’avvede:
porta il capo alla franciosa;
che ognun pazzo sia si crede.
Tu non hai amor né fede,
e non sai quel che ti voglia:
fa’ che un tratto tu mi scioglia
col malan che Dio ti dia!

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     I’ mi tornerò al finocchio,
ché tu se’ pazza e lunatica.
Cosí tratto ti sia un occhio,
come tu intendi per pratica.
Io non vo’ da te grammatica,
né saper della cometa:
or non piú: deh! statti cheta.
Sèrbati alla befanía.