Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo cinquantaquattresimo
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Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Appena se ne furono andati, Elizabeth uscì all’aperto per ritrovare la sua serenità, o meglio, per pensare, senza essere interrotta, a quegli argomenti che questa serenità, appunto, offuscavano.
Il contegno di Mr. Darcy la stupiva e la contrariava.
“Perché venire”, si chiedeva, “soltanto per restare così serio e indifferente?”.
Non trovava nessuna risposta che la soddisfacesse.
“Quando era in città con gli zii, seguitava a essere amabile e simpatico con loro, e perché con me no? Se ha paura di me, perché viene qui? Se non gliene importa più nulla, perché essere silenzioso? Strano, strano uomo! Non voglio più pensare a lui!”.
La sua risoluzione durò poco tempo per l’avvicinarsi di sua sorella che, col suo volto ridente, dimostrava come fosse stata più soddisfatta di Elizabeth della visita ricevuta.
«Ora», disse, «che il momento del primo incontro è passato, mi sento perfettamente serena. So che posso contare su di me e che non sarò più imbarazzata alle sue visite. Sono contenta che venga a pranzo martedì; così tutti potranno vedere che ci incontriamo come due conoscenti qualunque».
«Sì, molto indifferenti davvero», disse Elizabeth ridendo. «Oh! Jane, stai attenta!».
«Cara Lizzy, non mi crederai così debole da volermi esporre a correre ancora qualche rischio!».
«Credo che corri il rischio di farlo diventare innamorato cotto di te!».
I due signori non si fecero rivedere fino a martedì, e nel frattempo Mrs. Bennet si abbandonò a tutti quei progetti che Bingley, durante la sua visita di mezz’ora, con la sua cortesia e il suo buon umore, aveva avuto il potere di ridestare in lei.
Il martedì ci fu una grande riunione a Longbourn e i due, attesi ansiosamente, fecero onore alla loro puntualità, arrivando assai presto. Mentre si avviavano in sala da pranzo, Elizabeth guardò se Bingley prendeva il posto che, nelle loro riunioni di un tempo, era sempre stato il suo, accanto a Jane. La sua accorta madre, che certo aveva avuto lo stesso pensiero, si trattenne dall’invitarlo al proprio fianco. Bingley, entrando in sala, sembrò esitare, ma bastò che Jane, per caso, si guardasse intorno e sorridesse, per deciderlo a prender posto accanto a lei.
Elizabeth, trionfante, gettò un’occhiata al suo amico. Questi sembrò sostenerla con nobile indifferenza, ed Elizabeth si sarebbe sentita sicura che Bingley avesse già avuto il permesso dall’amico di essere felice, se non lo avesse visto guardare Darcy con un’espressione sgomenta e divertita al tempo stesso.
Il contegno di lui verso Jane, durante il pranzo, anche se palesò la sua ammirazione in forma più misurata che in passato, rese persuasa Elizabeth che, lasciato a se stesso, la felicità sua e di Jane sarebbe stata presto assicurata. Pur non osando fidarsi troppo, era per lei un piacere osservare quel suo contegno e questo bastava a darle tutto il brio che altrimenti le sarebbe mancato, perché non era affatto di buon umore. Mr. Darcy era lontano da lei per tutta la lunghezza della tavola. Stava a fianco di sua madre, ed Elizabeth sapeva come ciò fosse sgradito per entrambi. Non era abbastanza vicina per sentire i loro discorsi, ma vedeva come si parlavano di rado, e con che fredda e compassata cortesia. La sgarbatezza della madre verso di lui le faceva sentire ancor più vivamente tutto quello che gli dovevano, e avrebbe dato chissà cosa per potergli dire come la sua bontà non era né ignorata, né poco apprezzata, almeno da qualcuno della loro famiglia.
Sperava che durante la serata avrebbe avuto occasione di essergli vicina; che tutta la sua visita non si sarebbe svolta senza dar loro modo di parlarsi un po’ più a fondo dei semplici convenevoli scambiati alla sua venuta. Ansiosa e infelice, aspettava con trepidazione in salotto l’arrivo dei signori e quel tempo fu per lei così stancante e noioso, da renderla quasi sgarbata. Spiava la loro entrata come il momento dal quale sarebbe dipesa ogni speranza di felicità per lei in quella sera.
“Se non verrà da me ora”, pensò, “rinuncerò a lui per sempre”.
I signori entrarono, e sembrava che egli stesse per rispondere alle sue aspettative, ma, ahimè! le signore si erano radunate in gruppo intorno alla tavola, dove Jane preparava il tè mentre Elizabeth versava il caffè, che non restava un solo posto libero vicino a lei. E, proprio quando Darcy si avvicinò, una delle ragazze si strinse ancora più accanto a Elizabeth sussurrandole:
«Gli uomini non devono separarci: non sappiamo che farcene di loro, non è vero?».
Darcy si diresse verso un’altra parte della stanza. Elizabeth lo seguì con gli occhi, invidiando tutti quelli che gli parlavano, non avendo quasi più la speranza di servire agli altri il caffè, e in collera con se stessa per essere così sciocca.
“Un uomo che ho già rifiutato una volta! Come posso illudermi ancora che mi rinnovi la sua offerta? C’è un uomo solo che non protesterebbe contro la debolezza di chiedere una donna in moglie per la seconda volta? Non esiste umiliazione peggiore”.
Tuttavia, quando Darcy riportò personalmente la sua tazza di caffè, ella si sentì rinascere e colse l’occasione per chiedergli: «Vostra sorella è ancora a Pemberley?».
«Sì, si tratterrà là fino a Natale».
«Sola sola? Le sue amiche l’hanno lasciata?»
«C’è con lei Mrs. Annesley. Gli altri sono partiti per Scarborough da tre settimane».
Elizabeth non trovò altro da dire; ma se egli ne avesse avuto voglia avrebbe potuto continuare. Invece le restò accanto per alcuni momenti, ma sempre in silenzio, e poiché la vicina di Elizabeth ricominciò a parlarle sottovoce, se ne andò.
Quando il tè fu sparecchiato e furono portati i tavolini da gioco, le signore si alzarono ed Elizabeth contava di essere raggiunta da lui, quando tutte le sue speranze furono deluse vedendolo cader vittima di sua madre, che cercava ansiosamente dei giocatori per il whist, ragion per cui poco dopo era seduto a una partita. Ormai non c’era più da illudersi: per tutta la sera sarebbero rimasti inchiodati a due tavoli diversi, e non aveva altra speranza se non quella che gli occhi di Darcy si rivolgessero così spesso dalla parte dove lei si trovava, da farlo perdere al gioco, come perdeva lei.
Mrs. Bennet aveva calcolato di trattenere i due signori per la cena, ma sfortunatamente la loro carrozza venne ordinata prima di quella degli altri, e così non ebbe la possibilità di fermarli.
«Ebbene, ragazze!», disse appena rimasero sole, «che ne dite della giornata? Mi pare che tutto sia andato benissimo. Il pranzo era proprio perfetto. La selvaggina al punto giusto, e tutti hanno detto di non aver mai visto un coscio di cervo così grasso. La minestra valeva cinquanta volte quella che ci diedero i Lucas la settimana scorsa, e perfino Mr. Darcy ha dovuto riconoscere che le pernici erano cotte a meraviglia, e sì che lui ha certo due o tre cuochi francesi! Cara Jane, non ti ho mai vista così bella come questa sera. Anche Mrs. Long l’ha detto quando gliel’ho chiesto. E sai che cosa ha aggiunto? “Ah, Mrs. Bennet, l’avremo dunque finalmente a Netherfield!”. Proprio così. Mrs. Long è la più buona donna che esista, e le sue nipoti sono tanto graziose e beneducate, mi piacciono infinitamente».
Insomma, Mrs. Bennet era al settimo cielo. Da quello che aveva visto del contegno di Bingley verso Jane, era convinta che la ragazza lo avrebbe finalmente conquistato, e quando era in questo stato d’animo le sue speranze per il bene della famiglia erano talmente eccessive che il giorno dopo, non vedendolo apparire per fare la sua dichiarazione, si sentì profondamente delusa.
«È stata proprio una buona giornata», disse Jane a Elizabeth. «La compagnia era ben scelta e sembrava affiatata. Spero che ci rivedremo spesso».
Elizabeth sorrise.
«Lizzy, non ridere di me! Non devi sospettare che io sia ancora innamorata. Mi mortifichi. Ti assicuro che ormai godo della sua conversazione come di quella di un giovane simpatico e intelligente, ma senza nessun altro desiderio. Sono perfettamente convinta, dal suo modo di fare di oggi, che non ha mai avuto nessuna intenzione di impegnare il mio sentimento. Egli ha un fare più gentile, un desiderio di piacere molto più vivo degli altri uomini, e questo spiega tutto».
«Sei proprio crudele», disse sua sorella. «Non vuoi che sorrida e fai di tutto per provocarmi continuamente».
«Come è difficile essere credute in certi casi!».
«E come impossibile in altri!».
«Ma perché vorresti persuadermi che io senta di più di quello che voglio ammettere di sentire?»
«Non saprei rispondere a questa tua domanda. A tutti piace insegnare, anche se si sa insegnare soltanto quello che non vale la pena di sapere. Perdonami, e se persisti nel proclamare la tua indifferenza, non prendermi per confidente».