Orlando innamorato/Libro primo/Canto ventesimosesto

Da Wikisource.
Libro primo

Canto ventesimosesto

../Canto ventesimoquinto ../Canto ventesimosettimo IncludiIntestazione 22 settembre 2009 75% Poemi epici

Libro primo - Canto ventesimoquinto Libro primo - Canto ventesimosettimo

 
1   Sin qui battaglie e colpi smisurati,
     Che fôr tra l’uno e l’altro cavalliero,
     E terribili assalti aggio contati;
     Or salir sopra ’l cel mi fa mestiero,
     Ché duo baroni a fronte sono armati,
     Che me fanno tremar tutto il pensiero.
     Se vi piace, segnori, oditi un poco
     De’ duo guerreri uno animo di foco.

2   Di sopra vi contai sì come Orlando
     Solo aspettando il giorno si dispera;
     Di qua di là va sempre fulminando,
     E batte e denti quella anima fiera;
     Trasse con ira Durindana il brando,
     Come davante a lui fosse la ciera
     Del re Agolante e del figliol Troiano,
     Sì furïoso mena ad ambe mano.

3   Dice la istoria che a lui era davante
     Un gran Macon di pietra marmorina:
     Era intagliato a guisa d’un gigante.
     In questo gionse il conte a gran ruina,
     Sì che dal capo insin sotto le piante
     Tutto il fraccassa Durindana fina;
     Tanti colpi li dà dritto e a roverso,
     Che a terra in pezzi lo mandò disperso.

4   Con questa furia il senator romano
     Stava aspettando il giorno luminoso;
     Ma giù nel campo il sir de Montealbano
     Non prende già di lui maggior riposo,
     Ché è tutto armato ed ha Fusberta in mano,
     E tempestando va quel furïoso:
     Arbori e piante con la spada taglia,
     Tanto desire avea di far battaglia.

5   Era ancora la notte molto oscura,
     Né in alcun lato si mostrava il giorno,
     Quando Ranaldo, ch’è senza paura,
     Monta a destriero e pone a bocca il corno.
     Ben par che ’l monte tremi e la pianura,
     Sì forte suona quel barone adorno;
     E ’l conte Orlando cognobbe di saldo
     A quel suonare il corno di Ranaldo.

6   E tanta fiamma li soggionse al core,
     Che più non pose a l’ira indugio o sosta,
     E prese il corno; e con molto romore
     Gli fece minacciando aspra risposta,
     Dicendo nel suonar: - Can traditore,
     Come te piace ormai vieni a tua posta,
     Ch’io smonto al piano, e ben te sazio dire
     Che di tua gionta ti farò pentire. -

7   Già l’aria se rischiara a poco a poco,
     E vien l’alba vermiglia al bel sereno;
     Le stelle al sol nascente donan loco,
     De le quali era il ciel prima ripieno.
     Alora il conte, come avesse il foco
     Veduto intorno a sé, né più né meno,
     Battendo e denti e crollando la testa
     L’elmo s’allaccia con molta tempesta.

8   Prese Baiardo alla sella ferrata,
     Sopra gli salta con molta arroganza;
     E tanta fretta avea quella giornata,
     Che seco non portò scudo né lanza.
     Venne alla porta, e quella era serrata,
     Perché la rocca avea cotale usanza,
     Che ponte non callava o porta apriva,
     Sin che il sol chiaro il giorno non usciva.

9   Avrebbe il conte quel ponte reciso
     E spezzata la porta e misso al piano,
     Se non che la sua dama n’ebbe aviso,
     E venne ad esso con sembiante umano.
     Quando lui vide l’angelico viso,
     Quasi li cadde il bon brando di mano,
     E poi che fu saltato della sella
     Ingenocchiosse avanti alla donzella.

10 Lei abbracciava quel franco guerriero,
     Dicendoli: - Baron, dove ne vai?
     Tu m’hai promesso, e sei mio cavalliero;
     Questo giorno per me combattarai,
     E per l’amor di me questo cimiero
     E questo ricco scudo portarai.
     Abbi sempre il pensiero a cui te ’l dona,
     Ed opra ben per lei la tua persona. -

11 Così dicendo gli donava un scudo,
     Che ’l campo è d’oro e l’armelino è bianco,
     E un bel cimier, che è un fanciulletto nudo
     Con l’arco e l’ale, e le saette al fianco.
     Quel conte, che pur mo fu tanto crudo,
     Mirando la donzella venìa manco,
     E tanta zoia sentì e tal disire,
     Che d’allegrezza si sente morire.

12 In questo ragionar gionse Grifone
     Per gire alla battaglia, tutto armato;
     Ed Aquilante è seco e Chiarïone,
     Il re Adrïano a l’elmo incoronato.
     Venir non puote Oberto dal Leone,
     Perché la piaga il viso avea gonfiato,
     E per non la curare e farne stima
     Più noia n’ebbe ne la fin che prima.

13 Or lui restava. E venne Trufaldino,
     Per cui far si dicea la gran battaglia.
     Smarito era nel volto il malandrino,
     Ma non sa ritrovar scusa che vaglia,
     Ché pur gli convien fare il mal camino
     Là giù nel piano, alla aperta prataglia;
     E pensando di sé l’oltraggio e il torto,
     Parea nel volto sfigurato e morto.

14 Lasciàn costor, che del forte girone
     Aprian la porta, e il ponte fan callare;
     E ritornamo a Ranaldo de Amone,
     Qual cognosciuto ha Orlando a quel suonare;
     E, benché egli abbia il dritto e la ragione,
     Già non voria con lui battaglia fare,
     Perché lo amava di coraggio fino,
     Come germano e suo carnal cugino.

15 E nel suo cor pensoso era turbato
     Come dovesse terminar la impresa,
     Ché occider Trufaldino avea giurato,
     E il conte l’avea tolto in sua diffesa.
     Mentre lui pensa, ecco Astolfo arivato
     E la regina di valore accesa;
     Seco Prasildo ed Iroldo venìa,
     Con lor Torindo, re della Turchia.

16 Come fôr giunti dove era Ranaldo,
     - Su, - disse Astolfo - non prendiam dimora!
     Batter si vôle il ferro, mentre è caldo. -
     Disse il principe: - Pian ben se lavora.
     Stati, cugin mio bello, un poco saldo,
     Che voi non seti ove credeti ancora;
     Perch’io ve aviso che a noi qui davante
     Vedreti armato il fier conte de Anglante. -

17 Marfisa a quel parlare alciò la fronte,
     Quasi ridendo, con vista sicura,
     E disse al fio d’Amon: - Chi è questo conte,
     Qual non è gionto e già ti fa paura?
     Se proprio fosse quel che occise Almonte
     Con tutti e paladin, non ne do cura;
     Ma quel conte d’Angante che detto hai,
     Io non lo oditi nominar più mai. -

18 Non rispose Ranaldo al suo parlare,
     Che ad altra cosa avea maggior pensiero,
     Perché vedea del monte giù callare
     Que’ sei baroni: Orlando era il primero,
     Che terribil parea solo a guardare,
     Aspro ne gli atti e ne l’aspetto fiero.
     Quando Marfisa a lui fece riguardo,
     Disse: - Quel primo ha vista di gagliardo. -

19 Rispose Astolfo a lei: - Non fare estima,
     Che ogni zuffa che hai fatta, è stata un scherzo.
     Benché èi d’ardire e di prodezza in cima,
     Io ti saggio acertar ch’egli è un mal guerzo.
     Tu, se te piace, andrai contra a lui prima,
     Questo serà il secondo, io serò il terzo.
     So che seriti a terra riversati,
     Ma ben vi scoderò, non dubitati. -

20 Disse Marfisa: - Certo assai mi pesa
     Ch’io non possa provarme a quel valetto,
     Perché mi convien fare altra contesa.
     Ma sopra la mia fede io ti prometto,
     Se io non son da quei duo morta ni presa,
     Ch’io vederò de lui l’ultimo effetto. -
     Così stan questi ragionando in vano,
     Ma il conte Orlando è già gionto nel piano.

21 Come fu gionto alla ripa del prato,
     Sua lancia arresta, che è grosso troncone.
     Stava Aquilante da lui al destro lato,
     Ed al sinistro veniva Grifone.
     Trufaldin che color avea mutato
     Per la paura, e possa Chiarïone,
     Tutti di para insieme, e il re Adrïano
     Vengon spronando con le lance in mano.

22 Da l’altra parte Marfisa se mosse:
     Seco Ranaldo, ed un gran fuste arresta;
     Prasildo e Iroldo, che hanno estreme posse,
     Torindo e il duca Astolfo con tempesta.
     Tutti han le lancie smisurate e grosse:
     La giostra se incomincia, aspra e robesta.
     Ad uno ad uno e scontri vi vo’ dire,
     E tutto il fatto, come ebbe a seguire.

23 Marfisa se scontrò con Aquilante,
     Ciascun parve di pietra una colona;
     Né a drieto se riversa o piega avante,
     Tanto avevan quei duo franca persona:
     Le lancie fraccassarno tutte quante.
     Il duca Astolfo ratto se abandona,
     E quella lancia che è tutta d’ôr fino,
     Spronando abassa contra a Trufaldino.

24 Ma lui, che d’ogni inganno sapea l’arte,
     Come l’un l’altro al scontro se avicina,
     Malvagiamente se piegò da parte;
     Poi da traverso, quella mala spina
     (Come scrive Turpino alle sue carte)
     Feritte Astolfo con tanta roina,
     Che suo ardir non gli valse né sua possa,
     Ma cadde al prato con grave percossa.

25 Lasciamo Astolfo, che è rimaso in terra,
     Ch’io voglio adesso agli altri seguitare,
     Poi che contar convien tutta la guerra.
     Prasildo al re Adrïan s’ebbe a incontrare;
     Contra de Iroldo Chiarïon si serra,
     Né bon iudicio si potrebbe dare
     Se tra lor quattro fu vantaggio alcuno,
     Ma ben sua lancia ruppe ciascaduno.

26 Torindo fo colpito da Grifone,
     E netto se n’andò fuor della sella;
     Il franco Orlando e il forte fio d’Amone
     Se vanno addosso con tanta flagella,
     Che profondar l’un l’altro ha opinïone.
     Ora ascoltate che strana novella:
     Il bon Baiardo cognobbe di saldo,
     Come fu gionto, il suo patron Ranaldo.

27 Orlando il guadagnò, come io ve ho detto,
     Allor che il re Agrican fece morire;
     E quel destrier, come avesse intelletto,
     Contra Ranaldo non volse venire;
     Ma voltasi a traverso a mal dispetto
     De Orlando, proprio al contro del ferire.
     Sua lancia cadde al conte in su l’arcione,
     Ranaldo lo colpì sopra al gallone;

28 E fu per roversarlo a l’altro lato.
     Or chi saprebbe a ponto ricontare
     L’alto furor di quel conte adirato?
     Ché, quando a più tempesta mugia il mare,
     E quando a maggior foco è divampato,
     E quando se ode la terra tremare,
     Nulla serebbe a l’ira smisurata
     Che in sé raccolse Orlando in quella fiata.

29 Non vedea lume per li occhi nïente,
     Benché gli avesse come fiamma viva;
     E sì forte battea dente con dente,
     Che di lontan il gran romor se odiva.
     Del naso gli uscia fiato sì rovente,
     Che proprio il riguardar foco appariva.
     Or più di ciò contar non è mestiero:
     Con ambi sproni afferra il bon destriero.

30 Ed a quel tempo ben ricolse il freno,
     Credendolo a tal guisa rivoltare;
     Non si muove Baiardo più ni meno,
     Come fosse nel prato a pascolare.
     Poi che Ranaldo vidde il fatto a pieno,
     Comincia al conte in tal modo a parlare:
     - Gentil cugin, tu sai che a Dio verace
     Ogni iniustizia e mal fatto dispiace.

31 Ove hai lasciata quella mente pura
     E l’animo gentil che avevi in Franza,
     Diffensor di bontade e di drittura,
     E di fraude nemico e dislïanza?
     Caro mio conte, io ho molta paura
     Che cambiato non sii per mala usanza,
     E che questa malvaggia meretrice
     T’aggia stirpato il cor de la radice.

32 Voresti mai che si sapesse in corte
     Che hai la diffesa per un traditore?
     Or non te serìa meglio aver la morte,
     Che avere in fronte tanto disonore?
     Deh lascia Trufaldino, o baron forte,
     E di quella ribalda il falso amore!
     Che in veritate, a non dirti menzogna,
     Non so de qual acquisti più vergogna. -

33 Orlando gli dicea: - Ecco un ladrone,
     Che è divenuto bon predicatore.
     Or può ben star sicuro ogni montone,
     Da poi che il lupo si è fatto pastore.
     Tu mi conforti con bella ragione
     Abandonar de Angelica lo amore;
     Ma guardar die’ ciascun d’esser ben netto,
     Prima che altrui riprenda de diffetto.

34 Io non venni già qui per dir parole,
     A ben ch’io non mi possa adoperare,
     E sopra ogni sventura ciò mi dole;
     Ma fami al peggio ormai che tu pôi fare,
     Ché non serà nascoso il giorno il sole,
     Che molta pena ti farò portare
     Di quel villan parlare e discortese,
     Qual de mia dama avesti ora palese. -

35 Così parlando ogniun sta dal suo lato.
     Non era il conte a dismontare ardito:
     Ché, prima a terra fosse dismontato,
     Via ne serebbe Baiardo fuggito.
     Sendo bon pezzo ciascun dimorato,
     Che l’uno a l’altro non avea ferito,
     Ranaldo, riguardando in quel confino,
     Ebbe veduto il falso Trufaldino,

36 Che aveva Astolfo abattuto nel piano.
     Esso a destriero d’intorno il feriva:
     Quel se deffende con la spada in mano;
     Ecco Ranaldo che sopra gli ariva.
     Quando venire il vidde quel villano,
     Che avea d’ogni virtù l’anima priva,
     Come fugge il colombo dal falcone
     Così prese a fuggir dal fio d’Amone.

37 Esso fuggendo a gran voce cridava:
     - Aiuto! aiuto! o franchi cavallieri -
     E la promessa fede adimandava;
     E ben soccorso gli facea mestieri,
     Ché già quasi Ranaldo lo arivava.
     Ma tutti quanti quelli altri guerreri
     Abandonarno sua prima tenzone,
     Tirando tutti adosso al fio d’Amone.

38 Orlando nol seguia, come io vi conto,
     Perché Baiardo non puotea guidare;
     Ma ben gionse Grifone a ponto a ponto
     Che apena Trufaldin dovea campare.
     Come Ranaldo lo vidde esser gionto,
     Subitamente se ebbe a rivoltare,
     E ferisce a Grifon sì gran riverso,
     Che quello ha il spirto e l’intelletto perso.

39 Qua non se indugia, e segue Trufaldino,
     Che tuttavia fuggiva per quel piano;
     Ma fece in quel fuggir poco camino,
     Ché ebbe a le spalle il destrier Rabicano,
     E venuto era di morte al confino:
     Ma soccorso gli dava il re Adrïano.
     Ranaldo lo ferì con tanta possa,
     Che a terra lo fe’ andar quella percossa.

40 Trufaldin se ne andava tuttavia
     Ben mezo miglio a Ranaldo davante;
     Ma Rabicano a tal modo seguia,
     Come avesse ale in loco delle piante.
     Ranaldo gionto il traditore avia,
     Ma di traverso ancor gionse Aquilante,
     E l’un ferisce l’altro con tempesta.
     Ranaldo colse lui sopra la testa,

41 Sì che alle croppe lo mandò roverso,
     Fuor di se stesso e pien di stordigione;
     Né ancora ha Trufaldin di vista perso,
     Quando alla zuffa è gionto Chiarïone.
     Menò Ranaldo un colpo sì diverso,
     Che gettò quel ferito de l’arcione;
     E segue Trufaldin con tanta fretta,
     Che apena è più veloce una saetta.

42 Mentre che così caccia quel ribaldo,
     Il conte con Marfisa s’azuffava,
     Però che, mentre che non vi è Ranaldo,
     A suo piacer Baiardo governava.
     Ciascuno alle percosse era più saldo,
     Né alcun vantaggio vi se iudicava;
     Vero è che ’l conte avea suspizïone,
     Non se fidando al tutto del ronzone.

43 E però combattea pensoso e tardo,
     Usando a suo vantaggio ciascuna arte:
     E benché se sentisse ancor gagliardo,
     Chiese riposo e trassese da parte.
     Mentre che intorno faceva riguardo,
     Vidde nel campo gionto Brandimarte,
     E ben se rallegrò nel suo pensiero,
     Ché Brigliadoro ha questo, il suo destriero.

44 Subitamente a lui se ne fu andato;
     Ciascun raconta la sua disventura,
     E fu tra loro alfin deliberato
     (Ché Brandimarte ha rotto l’armatura)
     Che nella rocca lui sia ritornato,
     E là meni Baiardo a bona cura.
     Su Brigliadoro il conte valoroso
     È già montato, e non vôl più riposo.

45 Non vôl riposo più quel sir d’Anglante,
     Anci si mosse con molta roina;
     E con parlar superbo e minacciante
     Isfida a morte la forte regina.
     L’un mosse verso l’altro lo afferrante,
     Ciascun morire o vincer se destina:
     Questa zuffa dirò poi tutta aponto,
     Ma torno a Trufaldin, ch’era già gionto.

46 Ranaldo il gionse a la rocca vicino,
     E non crediati che ’l voglia pregione,
     Benché vivo pigliò quel malandrino,
     E legòl stretto con bona ragione;
     Indi con le gambe alto e il capo chino
     Alla coda lo attacca del ronzone;
     Poi per il campo corre a gran furore
     Cridando: - Or chi diffende il traditore? -

47 Era il franco Grifon già risentito,
     E Chiarïon montato e il re Adrïano,
     Quando Ranaldo fu da loro odito,
     E posensi a seguirlo per quel piano.
     Ma sì presto ne andava ed espedito,
     Ch’era seguìto da costoro in vano;
     Così ne andava Rabicano isteso,
     Come alla coda non avesse il peso.

48 Sempre Ranaldo a gran voce cridava:
     - Ove son quei che avean cotanto ardire,
     Che de un sol cavallier non li bastava,
     Ma volean tutto il mondo sostenire?
     Or vedon Trufaldino, e non li grava
     Che in sua presenzia lo faccio morire?
     Se alcun v’è ancora a cui piaccia l’impresa,
     Venga a staccarlo e prenda sua diffesa. -

49 Così diceva il barone animoso,
     Via strasinando Trufaldino al basso,
     Che era già mezo morto il doloroso,
     Percotendo la testa ad ogni sasso;
     Ed era tutto il campo sanguinoso,
     Dove correa Ranaldo a gran fraccasso;
     Ed ogni pietra acuta e ciascun spino
     Un pezzo ritenia de Trufaldino.

50 Moritte quel malvaggio a cotal guisa,
     E ben lo meritava in veritate,
     Come la istoria sopra vi divisa,
     Ch’era d’inganni pieno e falsitate.
     Or torno al conte Orlando ed a Marfisa,
     Che nel secondo assalto a nude spate
     Fan sì crudel battaglia e sì diversa,
     Che par che ’l celo e il mondo se sumersa.

51 A disusato modo e troppo orribile
     Tra loro era inasprita la battaglia;
     Ed al contar serìa cosa incredibile
     Quelle arme che Marfisa al conte taglia.
     Lui d’altra parte ognior vien più terribile,
     Benché romper non può piastra, né maglia;
     Pur mena colpi di tanta roina,
     Che a forza fa piegar quella regina.

52 Cresce ogni ora lo assalto più diverso,
     E’ crudel colpi fuor d’ogni misura.
     Ecco passar Ranaldo in sul traverso,
     Proprio davanti alla battaglia scura;
     E Trufaldino avea tutto disperso
     La testa e il busto insino alla cintura;
     Ché per le spine e’ sassi in quel distretto
     Rimase eran le braccia, il capo e il petto.

53 A gran furor Ranaldo trapassava,
     Cridando sì che intorno è bene inteso;
     E dicea: - Cavallieri, or non vi grava
     Che non abbiati questo re diffeso,
     Qual di bontate vi rasomigliava?
     Ove è lo ardire e quello animo acceso
     Che dimostraste ne l’estremo vanto,
     Quando sfidasti il mondo tutto quanto? -

54 Orlando intese quel parlare altiero,
     Che lo spronava in tanta villania,
     Onde a Marfisa disse: - Cavalliero
     (Perché altramente non la cognoscia),
     Io me sfidai con quello altro primiero,
     Compir voglio con lui l’impresa mia;
     Come io lo occido, se ’l mio Dio mi vaglia,
     Con teco fornirò l’altra battaglia. -

55 Disse Marfisa a lui: - Tu sei errato,
     Se presto credi occider quel barone,
     Perché io, che l’uno e l’altro aggio provato,
     Di te nol tengo in manco opinïone.
     Tu de la vita altrui hai bon mercato,
     E senza l’oste fai questa ragione;
     Ma tu pôi ben vantarti ed aver caro
     Se questa sera vi trovati al paro.

56 Or vanne, ch’io mi fermo a riguardare
     Qual abbia di voi duo maggior possanza;
     Ma se i compagni tuoi per aiutare
     Vengano a te, come è la lor usanza,
     Quell’alta rocca vi farò trovare,
     Né so se avreti ben tempo a bastanza:
     Se tu combatti come il dritto chiede,
     Offeso non serai su la mia fede. -

57 Non so se Orlando il tutto puote odire,
     Che già dietro a Ranaldo è posto in caccia;
     Sempre cridando l’aveva a seguire:
     - Aspetta, ché chi fugge mal minaccia;
     E chi desidra gli altri sbigotire,
     Non die’ voltar le spalle, ma la faccia;
     Ma tu sei ben gagliardo a questo ponto,
     Ché hai bon destriero e non credi esser gionto. -

58 A quel cridar del conte il fio d’Amone
     Iratamente se ebbe a rivoltare,
     Dicendo: - Io non vo’ teco questïone,
     E tu per ogni modo la vôi fare;
     Unde te dico che, avendo ragione,
     Omo del mondo non voglio schiffare;
     Ma siami testimonio Dio verace
     Che aver guerra con te m’incresce e spiace. -

59 - Ben ne son certo, - disse il sir d’Anglante
     - Che te rincresce di tal guerra assai,
     Ché non avrai a far con mercadante,
     Né un pover forastier dispogliarai.
     Or non usiamo parole cotante:
     Mostra pur tuo valor, se ponto n’hai;
     Perché io te acerto e sazote ben dire
     Che a te bisogna vincere o morire. -

60 Dicea Ranaldo a lui: - Guerra non aggio,
     Né voglio aver con teco, il mio cugino;
     Perdon ti cheggio, s’io t’ho fatto oltraggio,
     Ben ch’io nol feci mai, per Dio divino!
     E se onta ti repùti o ver dannaggio
     Ch’io abbia preso e morto Trufaldino,
     A ciascun tuo piacer farò palese
     Che non te ritrovasti in sue diffese. -

61 Rispose il conte ad esso: - Animo vile,
     Che ben de chi sei nato hai dimostranza,
     Mai non fusti figliol d’Amon gentile,
     Ma del falso Genamo di Maganza.
     Pur mo te dimostravi sì virile
     E ragionavi con tanta arroganza:
     Or che condutto al paragon ti vedi,
     Mercé piangendo e perdonanza chiedi. -

62 Perse la pazïenza a quel parlare
     Il fio de Amone, e con terribil guardo
     Verso de Orlando gli occhi ebbe a voltare,
     Ed a lui disse: - Tanto sei gagliardo,
     Che ogni om ti teme e convienti onorare;
     Ma se tu non mi rendi il mio Baiardo,
     Presto potrai veder, come io ti dico,
     Ch’io non ti temo e non te stimo un fico.

63 Come l’abbi robbato io non ho cura:
     Rendime il mio destriero, e sìate onore.
     Tu ne l’hai via mandato per paura,
     Ché di tenerlo non ti dava il core;
     Ma, se egli avesse de intorno le mura
     Tutte de acciaro, lo trarò di fore;
     Ed odi come io parlo chiaro e sodo:
     Io lo voglio per forza ad ogni modo. -

64 - La prova vederemo incontinente -
     Rispose Orlando, sorridendo un poco:
     E non avea già faccia de ridente,
     Ma battea labre e gli occhi come foco.
     Or, bei Segnori, io vi lascio al presente,
     E se voi tornareti in questo loco,
     Dirò questa battaglia dove io lasso,
     Che un’altra non fu mai di tal fraccasso.