Orlando innamorato/Libro terzo/Canto nono

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Libro terzo

Canto nono

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Libro terzo - Canto ottavo

 
1   Poi che il mio canto tanto a voi diletta,
     Ché ben ne vedo nella faccia il signo,
     Io vo’ trar for la citera più eletta
     E le più argute corde che abbia in scrigno.
     Or vieni, Amore, e qua meco te assetta,
     E se io ben son di tal richiesta indigno,
     Perché e mirti al mio capo non se avoltano,
     Degni ne son costor che intorno ascoltano.

2   Come nanti l’aurora, al primo albore,
     Splendono stelle chiare e matutine,
     Tal questa corte luce in tant’onore
     De cavallieri e dame peregrine,
     Che tu pôi ben dal cel scendere, Amore,
     Tra queste genti angelice e divine;
     Se tu vien’ tra costoro, io te so dire
     Che starai nosco e non vorai partire.

3   Qui trovarai un altro paradiso;
     Or vieni adunque e spirami, di graccia,
     Il tuo dolce diletto e ’l dolce riso,
     Sì che cantando a questi satisfaccia
     De Fiordespina, che mirando in viso
     A Bradamante par che se disfaccia
     E del disio se strugga a poco a poco,
     Come rugiada al sole o cera al foco.

4   E non potea da tal vista levarsi:
     Quanto più mira, de mirar più brama,
     Sì come e farfallin, sin che sono arsi,
     Non se sanno spiccar mai dalla fiama.
     Erano e cacciatori intorno sparsi,
     E qual suo cane e qual suo falcon chiama,
     Con corni e cridi menando tempesta;
     Onde al romor la fia de Amon se desta.

5   Sì come gli occhi aperse, incontinente
     Una luce ne uscitte, uno splendore,
     Che abbagliò Fiordespina primamente,
     Poi per la vista li passò nel core;
     E ben ne dimostrò segno evidente,
     Tingendo la sua faccia in quel colore
     Che fa la rosa, alorché aprir se vôle
     Nella bella alba, allo aparir del sole.

6   Già Bradamante se era rilevata,
     E perché a gli atti e allo abito comprese
     Quest’altra esser gran dama e pregïata,
     La salutò con modo assai cortese;
     E dove la iumenta avia legata,
     Quando da prima in su il fiume discese,
     Ne venne, ché trovarvela vi crede;
     Ma non la trova ed ove sia non vede,

7   Perché a se stessa avia tratta la briglia,
     E nel bosco più folto errando andava.
     Or tal sconforto la dama se piglia,
     Che quasi gli occhi a lacrime bagnava;
     Ma amor, che ogni intelletto resviglia,
     A Fiordespina subito mostrava
     Con qual facilitate de legiero
     Se trovi sola con quel cavalliero.

8   Essa aveva un destrier de Andologia,
     Che non trovava parangone al corso;
     Forte e legiero, un sol diffetto avia,
     Che, potendo pigliar co’ denti il morso,
     Al suo dispetto l’om portava via,
     Né si trovava a sua furia soccorso.
     Sol con parole si puotea tenire:
     Ciò sa la dama e ad altri nol vôl dire.

9   Per questo crede lei di fare acquisto
     Di Bradamante, che stima un barone,
     E dice: - Cavallier, tanto stai tristo
     Forse per aver perso il tuo ronzone.
     Se ben non te abbia cognosciuto o visto,
     La ciera tua mi mostra per ragione
     Che non pôi esser di natura fello:
     Alle più volte bono è quel che è bello.

10 Onde non credo poter collocare
     In altrui meglio una mia cosa eletta;
     Però questo destrier ti vo’ donare,
     Che non ha il mondo bestia più perfetta.
     Sol colui dà, qual dà le cose care;
     Ciascun privar se sa de cosa abietta:
     E, per stimarme di poco valore,
     Io non ardisco di donarti il core. -

11 Così dicendo salta della sella
     E il corsier per la briglia li presenta.
     Bradamante, che vide la donzella
     Nel viso di color de amor dipenta,
     E gli occhi tremolare e la favella,
     Dicea tra sé: "Qualche una mal contenta
     Serà de noi e ingannata alla vista,
     Ché gratugia a gratugia poco acquista."

12 Così tra sé pensando, Bradamante
     Disse alla dama: - Questo dono è tale
     Che a meritarlo io non serìa bastante:
     Se ben tutto mi dono, poco vale.
     Ma il dar per merto è cosa di mercante,
     E voi, che aveti lo animo regale,
     Degnareti accettarmi quale io sono,
     Che il corpo insieme e l’anima vi dono. -

13 - Ciò non rifiuto, - disse Fiordespina -
     Né di cosa ch’io tengo, più me esalto;
     Non fece mai, che io creda, un don regina,
     Che ne pigliasse guidardon tanto alto. -
     Bradamante tacendo a lei se inclina,
     E sì come era armata prese un salto,
     Che avria passato sopra una ziraffa;
     Salì a destriero, e non toccò la staffa.

14 La Saracina a quello atto se affisse,
     Con gli occhi fermi e di mirar non saccia,
     Poi chiamando e compagni intorno, disse:
     - Per me, non per voi fatta è questa caccia.
     Se al mio comando alcun disobidisse,
     Serà caduto nella mia disgraccia,
     Che meglio vi serà cader nel foco:
     Vo’ che ciascun stia fermo nel suo loco.

15 Stativi quieti e come gente mute,
     E lasciate venir le bestie fuora,
     Però che io sola le vo’ seguir tute;
     E tu, barone, apresso a me dimora.
     Piacer non ho maggior, se Dio m’aiute,
     Che quando un forastier per me se onora,
     E non è cosa, a mia fè te prometto,
     Che io non facessi per darti diletto. -

16 Acquetossi ciascun per obedire:
     Chi stende lo arco, e chi suo cane agroppa;
     Già tutto il bosco si sentia stromire
     De corni e abagli, e ’l gran romor se incoppa.
     Eccoti un cervo de la selva uscire,
     Che avea le corne insino in su la groppa,
     Un cervo per molti anni cognosciuto,
     Perché il maggior giamai non fu veduto.

17 Questo uscì al prato de un corso sì subito,
     Che non par che lo aresti pruno o lapola,
     E venne presso a Fiordespina un cubito,
     Sì che aponto alla coda e can li scapola;
     E fra se stessa diceva: "Io me dubito
     Che costui resti e non senti la trapola,
     Se, pregando che segua, non impetro";
     E poi se volse e disse: - Vienmi dietro. -

18 Nel fin de le parole volta il freno,
     Seguendo il cervo, e pur costui dimanda.
     Benché avesse uno amblante palafreno
     (Quale era nato nel regno de Irlanda,
     E correa come un veltro, o poco meno,
     Come tutti i roncin di quella banda;
     Non già che fosse in corso simigliante
     A l’altro, che avea dato a Bradamante),

19 Quello andaluzo correva assai più
     Che non volea il patrone alcuna fiata.
     Ora apena nel corso posto fu,
     Che varcò Fiordespina de una arcata.
     Già se pente la dama esservi su,
     E vede ben che la bocca ha sfrenata;
     Ora tira di possa, or tira piano,
     Ma a retenerlo ogni remedio è vano.

20 Era davanti un monte rilevato,
     Pien di cespugli e de arboscelli istrani,
     Ma non ritenne il cavallo affogato:
     Questo passò, come ha passato e piani.
     Il cervo alle sue spalle avia lasciato;
     Ben lo ha vicino, e presso a questo e cani,
     E poco longe a’ cani è Fior de spina,
     Che studia il corso e quanto può camina.

21 Nella scesa del monte a ponto a ponto
     Fo preso il cervo da un can corridore;
     E come fu da questo primo agionto,
     Li altri poi lo aterrarno a gran furore.
     Ora faceva Fiordespina conto
     De non lasciar più gire il suo amatore,
     E scridando al destrier, come far suole,
     Fermar lo fa ben presto come vôle.

22 Non dimandar se Bradamante alora,
     Vedendo il destrier fermo, se conforta,
     E smontò de lo arcion senza dimora,
     Che quasi già se avea posta per morta,
     Tanto che li batteva il core ancora.
     E Fiordespina, che è di questo accorta,
     Gli disse: - O cavallier, vo’ che tu imagine
     Che un fal commesso ho sol per smenticagine.

23 Ben si suol dir: non falla chi non fa.
     Non so come mi sia di mente uscito
     Di farti noto che il destrier, che te ha
     Quasi condutto di morte al partito,
     Qualunche volta se gli dice: "Sta!"
     Non passarebbe più nel corso un dito;
     Ma, come io dissi, me dimenticai
     Farlo a te noto, e ciò mi dole assai. -

24 Rimase Bradamante satisfatta
     Per le parole ed anco per le prove,
     Ché, correndo il cavallo a briglia tratta,
     Come odiva dir: "Sta!" più non se move.
     La esperïenza fo più volte fatta;
     Al fin smontarno in su l’erbette nove,
     Sottesso l’ombra del fronzuto monte,
     Ove era un rivo e sopra a quello un ponte.

25 Quivi smontarno le due damigelle.
     Bradamante avia l’arme ancora intorno,
     L’altra uno abito biavo, fatto a stelle
     Quale eran d’oro, e l’arco e i strali e ’l corno;
     Ambe tanto legiadre, ambe sì belle,
     Che avrian di sue bellezze il mondo adorno.
     L’una de l’altra accesa è nel disio,
     Quel che li manca ben sapre’ dir io.

26 Mentre che io canto, o Iddio redentore,
     Vedo la Italia tutta a fiama e a foco
     Per questi Galli, che con gran valore
     Vengon per disertar non so che loco;
     Però vi lascio in questo vano amore
     De Fiordespina ardente a poco a poco;
     Un’altra fiata, se mi fia concesso,
     Racontarovi il tutto per espresso.

        - FINE -