Osservazioni sulla tortura/Lettera del conte Giuseppe Gorani all'autore

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Giuseppe Gorani

Lettera del conte Giuseppe Gorani all'autore ../XVI IncludiIntestazione 9 giugno 2023 100% Da definire

XVI
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LETTERA

DEL CONTE

ALL’AUTORE

Intorno alle Osservazioni precedenti.


Ornatissimo signor Conte,

Obbedirò ai di lei comandi coll’omettere i titoli che a lei son dovuti, e risponderò al cospicuo filosofo, e non già al Vicepresidente, nè al Consiglier Intimo di Stato.

Ho letto con sommo piacere le di lei Osservazioni sulla Tortura, e le rendo infinite grazie del nuovo tratto di bontà, ed oso perfino dire di amicizia, con cui si è degnato onorarmi comunicandomele. Se io mi trovo oltremodo sensibile ad una tal confidenza, non è già perchè ella sia cotanto elevata nel ministero. Non bramando io cariche, onori, pensioni, e sentendomi sufficiente coraggio di rifiutarle se mi venissero offerte, i miei omaggi non sono avviliti da questo scopo. Eglino sono tributi dell’interno ed irresistibile sentimento che mi porterà sempre a venerare gli uomini grandi, i quali co’ loro beneficj e colle loro cognizioni felicitano ed illuminano l’umanità, e principalmente la loro patria.

Il mio onoratissimo signor Conte sa scegliere quello stile che più conviene agli oggetti che intraprende di sviluppare col suo modo analitico, e tutto diviene interessante quando vien scritto dalla sua penna eloquente e filosofica. Ella sa trovare quel facile tanto difficile, di dire le cose in un modo sì naturale che ciaschedun possa immaginarsi di poterne fare altrettanto, ma che chiunque fa saggio d’intraprenderlo non possa riuscirvi con sudori e con pene; di sorte che ben le si può attribuire il detto del gentile ed energico Orazio:

                                                            Ut sibi quisque
               Speret idem: sudet multum, frustraque laboret
               Ausus idem.

Infatti un estratto di processi esposto da molti altri avrebbe formata un’opera nojosa; ma scritto colla di lei sagacità fissa l’attenzione, si per le riflessioni colle quali l’ha arricchito, come altresì per quelle che costringe il leggitore a fare. Se le esposizioni di alcuni processi mal fatti e di alcune [p. 62 modifica]procedure mal tessute, rapportate dall’illustre Voltaire e dall’autore del libro intitolato Le Cause celebri, hanno non poco raddolcita la durezza dei tribunali francesi, non vi è dubbio che un monumento sì evidente di barbarie, scoperto da lei, e presentato con tanto interessamento, debba ottenere l’intento di togliere la tortura dalle nostre procedure criminali e di raddolcirne lo spirito.

Io non lo adulo punto nell’assicurarlo, che il quadro spaventevole di tutte le funeste circostanze della pestilenza del 1630 e della catastrofe dei poveri Piazza, Mora ed altri, mi ha fatto ancora maggior impressione di quello dei Calas, dei Servet e De-la-Barre. L’esecuzione abbominevole derivata nella nostra allora desolata patria fa una sensazione più crucciosa, anche per il numero de’ giustiziati e prima tormentati per delitti impossibili, assurdi, confessati per l’atrocità del dolore, accompagnati da circostanze contraddittorie, inverisimili ed incompatibili. Tale esecuzione prova inoltre essere stati privi del sì raro senso comune e gli esaminatori ed i giudici. Vi è una sola differenza favorevole per la nostra nazione. Gli orrori della nostra città, sì pateticamente descritti da lei, sono del 1630, laddove le barbarie francesi sono del secolo XVIII.

Il chiarissimo signor Conte rimarca assai giudiziosamente quanto sieno straziosi i tormenti della tortura, e proprj a strappare assai più facilmente le menzogne che le verità. Cita ella a tempo i pensieri di uomini rispettabili, e fa assai ben sentire che i libri e le leggi che regolavano in quei tempi le procedure criminali, libri pieni di sentenze scandalose, proprie a far raccapricciare le anime sensibili, sebben meditati con attenzione e forse con piacere dai freddissimi legali, essendo quelli stessi libri e leggi che servono di norma anche oggidì, può arrivare che si ripetano i medesimi esempi di crudeltà e le medesime ingiustizie. Anche a mio credere è una cosa difficile sì, ma non però impossibile malgrado il perfezionamento sensibile della ragione umana, che si possano trovare nei tempi in cui viviamo giudici del pari ignoranti ed inumani quanto lo erano quelli del 1630. Il Portogallo ci ha provato questa possibilità, ed i tormenti colà stati praticati pochi anni fa contro di rei sovente immaginarj, di delitti ugualmente ideali, inverisimili e del tutto supposti quanto lo erano le unzioni pestilenziali, sono degni di rimarco, e servono a dimostrare vie più la necessità da lei sì bene esposta di riformare questi usi abbominevoli, queste leggi e procedure, o almeno di moderarne la pratica selvaggia.

Niente di più utile, dottissimo signor Conte, che il citare come ella fa i Codici stessi, le procedure ed i dottori medesimi, che risguardano la tortura come un mezzo fallace di scoprire la verità, e le di lei prove sulla ingiustizia della stessa, sono del pari trionfanti. Mi creda pure che gli esempi della Scrittura faranno impressione, perchè non si tratta di convincer filo[p. 63 modifica]sofi, ma legali, i quali sanno mirabilmente unire molta divozione colla molta inumanità. È una bellissima cosa il mostrare ad evidenza, dopo le tante ragioni addotte, come ella ha fatto, che la tortura non è ordinata nè dalla Scrittura, nè dai filosofi, nè da autori rispettabili, nè dalle leggi, ma soltanto da alcuni uomini oscuri che propalarono questa terribile scienza. Se poi sono interessanti le di lei ricerche sull’antichità della tortura, lo sono altresì le ragioni colle quali convince, non essere emanato dal Codice che abbiam noi il diritto di tormentare, ma solamente dai criminalisti che tanti giudici ignoranti rispettarono come legislatori, sebbene meritassero di esser più abborriti dei carnefici. Non posso cessar di dire che gli esempi fanno una breccia fortissima nel cuor dei legali, uomini i più essenziali a guadagnarsi per ottenere il di lei umanissimo intento. È cosa ottima il citare, come ha fatto, altresì in favore del bellissimo suo assunto, le autorità di autori conosciuti e stimati dai legali stessi, perchè costoro amano assai più l’autorità che la ragione. Anche i fatti di stati nei quali è abolita la tortura, ed ove i delitti sono assai più facilmente scoperti e puniti che da noi, sono proprj a combattere ed a finir di vincere i tristi partigiani della tortura. Non minore è stato il mio piacere nel leggere il modo con cui ella espone le più forti obbiezioni e le distrugge.

Non vi è dubbio che il chiarissimo sig. Conte, il quale ha mietuto molte palme letterarie, colle quali il di lei nome è sì noto negli altri paesi, otterrà la gloria d’essere un benefattore della sua patria con qualche utile riforma nelle procedure criminali, come già lo è stato e lo è col mezzo di più ottime provvidenze nell’eminente carica che esercita con somma lode di tutti e con tanta di lei modestia. Non vorrei che questa virtù, che sì bene lo caratterizza, servisse di ostacolo ad uno scopo sì degno di un animo sì sublime come il suo. Se io potessi esser felice a segno di meritare qualche credito nel di lei spirito, lo impiegherei nel persuaderla di non ritardare ai di lei concittadini la manifestazione di verità sì interessanti e sì utili.

Perdoni, di grazia, questo lunghissimo e troppo nojoso cicaleccio, e non l’attribuisca che alla libertà a me inspirata dalla di lei bontà e gentilezza. Se per questa sola volta ho lasciato in un cale le mie doverose espressioni, l’unica cagione è il desiderio mio di ubbidirla, assicurandola che non mi stimerò mai abbastanza soddisfatto di me, se non allora che le potrò pròvare la venerazione per i di lei talenti e la mia ammirazione per le di lei virtù, facendomi un dovere di protestarmi,

Li 18 dicembre, 1777

Umilissimo ed obbligatissimo servitore,
e se osassi ancora aggiungere il titolo lusinghiero d’amico,

Gorani.