Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/213

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atto primo 205

          passando, vidi in una gran caldaia
          il piú schifo belletto, che a la prima
          mi fé’voltar lo stomaco a vederlo,
          ove dicevano esser perle e gioie,
          oro e coralli. Poi ne vidi un altro
          d’un’altra fatta, che v’era ammarcito
          un mondo d’uova e colombi favacci
          e teste di castroni e pipistrelli
          e piú grassi e biturri e piú pastocchi
          che qualche volta.
          Crisaulo  Su! Fornisse, un tratto.
          Fa’ che si ceni. Che ora può essere?
          Fileno  È passato di poco un’or di notte.
          Entriamo in casa.

SCENA VII

Venendo di notte Filocrate a la posta a Lucia e non vedendola, si pensa che una pignata, ove era steso un fassoletto, sia essa e non li voglia rispondere: onde se ne parte tutto pien di sdegno. Pilastrino, in questo, cercando Listagiro, si imbatte a veder tutto quello che fa Filocrate; ed apre piú la cosa e mostra che la cena si indugerá a l’altra sera per non aver trovato Listagiro.

Filocrate solo, Fronesia fante a la fenestra, Pilastrino.

          Filocrate  E ch’io mi sia ingannato
          non può giá star; che questa è pure appunto
          l’ora che m’ordinò. Vo’ ritornare
          un’altra volta. Vincer pur devrebbe
          la lunga servitú, la mia pazienza
          si cruda mente. Visch’! visch’! ischi
          Oh! Eccola; è venuta. Pensai bene:
          che, s’io non ritornava, forse ch’ora
          s’andava al letto; e’ ha la scuffia in testa.
          Guarda come riluce! T’ho aspettato
          qui, giá tre ore. Io non credo che pensi