perché sopra di te non abbi alcuno
ne la mia casa ma ne sia signora.
E perché il nostro aver, per il passato,
maneggiav’io, mi truovo da appiattare
un cassettino ov’io missi da canto
1 molti ducati e gioie: ond’io ti prego
che mostri avere in te giudizio e ingegno,
che li salviamo; e fidarsi d’altrui
cognoscer dèi da te che non sta bene.
Io verrò qui istasera a le cinque ore.
Fa’ che mi attenda. — E le mostrai de l’orto
la fenestrella. E dissi: — Come dorme
tua madre, verrai qui, che gli avrò meco
e insegnerotti quel che vo’ che faccia. —
Semplicemente (come puoi pensare)
la mi rispuose che non sapea come
levarsi, che la madre non sentisse.
Rimase, al fin, di farlo. E la pregai
che facesse che alcun mai noi sapesse
e che a la madre ancor trovasse iscusa
perché non s’avedesse di tal cosa.
Non ti dico altro. La mi venne fatta.
E cosí fu la fin d’ogni mio affanno
e ’l principio d’un si felice stato
ch’io quasi par che a me istesso noi creda.
Che te ne pare?
Fileno Io, non sol mi stupisco,
ma, dentro, d’allegrezza mi confondo.
Bene è venuta a tempo: che comprata
l’hai con tanti disagi e tanti pianti
e tante amare notti e tanti giorni
che appena mi risolvo se ciò basti
a compensar tante fatiche e danni.
Hai ben da ringraziar tutti li iddíi
di tanto dono; ch’io cognosco certo,
se questo non riusciva, la sposavi.