Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/31

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atto primo 23


Fessenio. Mangiare? Ah! ah! Calandro, pietá di lei. Le fiere l’altre fiere mangiano; non gli omini le donne. Egli è ben vero che la donna si beve, non si mangia.

Calandro. Come! si beve?

Fessenio. Si beve, si.

Calandro. O in che modo?

Fessenio. Noi sai?

Calandro. Non certo.

Fessenio. Oh! Gran peccato che un tanto omo non sappi bere le donne!

Calandro. Dch! insegnami.

Fessenio. Dirotti. Quando la baci, non la succi tu?

Calandro. Si.

Fessenio. E quando si beve, non si succia?

Calandro. Si.

Fessenio. Be’! Allora che, basciando, succi una donna, tu te la bevi.

Calandro. Parmi che sia cosi. Madesine! Ma pure io non mi ho mai beuto Fulvia mia; e pure baciata l’ho mille volte.

Fessenio. Oh! oh! oh! Tu non l’hai bevuta perché ancora essa ha baciato te e tanto di te ha succiato quanto tu di lei: per il che tu beuto lei non hai né ella te.

Calandro. Or vedo ben, Fessenio, che tu sei piú dotto che Orlando, perché per certo cosí è; che io non baciai mai lei che ella non baciassi me.

Fessenio. Oh! vedi tu se io il vero te dico?

Calandro. Ma dimmi: una spagnuola, che sempre mi baciava le mani, perché se le voleva ella bere?

Fessenio. Bel secreto! Le spagnuole bacian le mani, non per amore che le ti portino né per bersi le mani, no; ma per succiarsi li anelli che si portano in dito.

Calandro. O Fessenio, Fessenio, tu sai piú secreti delle donne...

Fessenio. Massime quelli della tua.

Calandro. ... che un architetto.

Fessenio. To’ lá! Architetto, ah?