Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/346

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338 gl’ingannati

uomo di conto, maturo, che sapesse fare i suo’ fatti e gli cavasse la pruzza! Ma la s’è imbarbugliata d’un fraschetta che a pena credo che, quando gli è sdiacciato, si sappia allacciare, s’altri non gli aita. E, tutto ’l di, mi manda a cercar questo drudo come s’io non avesse che fare in casa. E forse che ’l suo padrone non si crede che facci l’ambasciate per lui? Ma gli è, per certo, questo che viene in qua. Ventura! Fabio, Dio ti dia il buon di. Vezzo mio, ti venivo a trovare.

Lelta. Ed a te mille scudi, la mia Pasquella. Che fa la tua bella padrona? e che voleva da me?

Pasquella. E che ti credi che la facci? Piagne, si consuma, si strugge, che stamattina non sei ancor passato da casa sua.

Lelia. Oh! Che vuol ch’io ci passi innanzi giorno?

Pasquella. Credo ch’ella vorrebbe che tu stesse con lei tutta la notte ancora, io.

Lelia. Oh! Io ho da fare altro. A me bisogna servire il padrone; intendi, Pasquella?

Pasquella. Oh! Io so ben che. a tuo padron non faresti dispiacere a venirci, non. Dormi forse con lui?

Lelia. Dio il volesse ch’io fusse tanto in grazia sua! ch’io non sarei ne’ dispiaceri ch’io sono.

Pasquella. Oh! Non dormiresti piú volentieri con Isabella?

Lelia. Non io.

Pasquella. Eh! Tu non dici da vero.

Lelia. Cosí non fusse!

Pasquella. Or lasciamo andare. Dice la mia padrona che ti prega che tu venga tosto fin a lei, che suo padre non è in casa e ha bisogno di parlarti d’una cosa ch’importa.

Lelia. Digli che, se non si leva dinanzi Flamminio, che perde il tempo: che la sa ben ch’io mi rovinarci.

Pasquella. Viene a dirgliel tu.

Lelia. Io dico che ho altro da fare. Non odi?

Pasquella. E che hai da fare? Dacci una corsa; e tornarai subito.

Lelia. Oh! Tu mi rompi il capo, ora. Vatti con Dio.

Pasquella. Non vuoi venire?