Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/403

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atto quinto 395


Giglio. Vos me haveis burlado y mi tolleste mio rosario e non fazieste lo que me teniades promettido.

Pasquella. Zi! zi! zi! Sta’ queto, sta’ queto.

Giglio. Por que? es ninguno a qui que nos oda?

Pasquella. Zi! zi! zi!

Giglio. Io non veo a qui ninguno. Non m’engagnarete otra volta. Que dezite voi?

Pasquella. Tu mi vói rovinare.

Giglio. Tu mi vói ingagnare.

Pasquella. Va’ via, lasciami stare adesso; che ti parlarò otra volta.

Giglio. Renditeme mio rosario y despues parlate lo que volite, que non quiero que podiate dezir que m’engagnaste.

Pasquella. Tel darò. Credi ch’io l’abbi qui? Tu credi forse ch’io ne facci una grande stima? Mi mancare delle corone, s’io ne vorrò!

Giglio. Por que m’enseraste de fuore y despues aziades musigas y dizieste non so que «Fantasmas, fantasmas» y non so que orazion y non so que traplas?

Pasquella. Di’ piano. Tu mi vuoi rovinare. Ti dirò ogni cosa.

Giglio. Que cosa? Que noi dezite?

Pasquella. Tirate piú in qua in questo canto, che la padrona non vegga.

Giglio. Burlatime otra volta o no?

Pasquella. Ben sai ch’io ti burlo. Son forse avvezza a burlare, ch? Vero, ch?

Giglio. Hor dezite presto: que es esto?

Pasquella. Sai? Quando noi parlavamo insieme, Isabella, la mia padrona, era venuta giú pian piano e stava nascosta accanto a me e sentiva ogni cosa. Quando io volsi cacciare i polli, ella se n’andò in camera e da un buco stava a vedere quel che noi facevamo. Io, che me ne accorsi, feci vista di non l’aver veduta e d’averti voluto ingannare; tanto ch’io gli mostrai que’ paternostri. Ella me gli tolse e, credendo che io t’avessi giontato, se ne ríse e se gli messe al braccio. Ma io glie li torrò stasera e renderottegli, se tu non me gli vuoi aver dati.