Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/153

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atto primo 141

contento di saper d’esser amato da chi io amo, egli è tanto il dispiacere, quando io considero che fra lei e me non è altro che ci proibisca i nostri desidèri che tanto di ferro, che io resto morto. E vommi asimigliando a Tantalo il quale, stando in ^ continua sete, con i labbri tocca un rivo d’acqua fresca né per ciò ne mandò mai giú una goccia. E cosí io, stando con continuo desiderio di ritrovarmi con Fiammetta mia, me li accosto tanto ch’ogni po’ piú saria contento né per ciò toccare o baciare la posso. Oh! Almanco fussi stata la comparazione in tutto simile! che, cosí come Tantalo l’acqua mai ha gustato, io mai lei avessi gustata; che adesso arei molto minor dispiacere. Vedi a quel che io son condotto! A desiderare di non avere fatto quello che io desidererei di fare piú che di vivere: non per levar in tutto, ma per scemare el mio dolore.

Lucido. Venite a veder, Erminio, se volete ridere.

Erminio. Che cosa mi fará ridere? Bisognerá bene che sia da ridere!

Lucido. Tiberio e Livia, che stanno in letto e fanno le maggior bravate che voi sentissi mai. Lui vuole amazzar suo padre, s’ei torna di villa; lei el Ruffo, come e’ viene per il resto de’ danari. E cosi, infuriati, dicono le piú belle cose del mondo. Ma vi prometto che si sfurieranno, se fanno a questo modo. Ma venite drento, che ogni cosa è in ordine.

Erminio. Oh! Se son in letto, non si voglion e’ levare?

Lucido. Voglion desinare e cenare e dormire li.

Erminio. E loro savi.