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vii - cecco angiolieri | 121 |
CXVI
Si ars abbia nel vedere le ricchezze toccare a chi non le merita.
Tant’abbo di Becchina novellato
e di mie madr’e di babbo e d’Amore,
ch’una parte del mondo n’ho stancato:
4però mi vo’ restare per migliore,
ché non è si bel giuoco tropp’usato,
che non sie rincrescerne a l’uditore;
però vogli’ altro dir, che piú m’è’n grato,
8a ciascuno, che porta gentil core.
E ne la poscia’ muta del sonetto
i’ vi dirò tutto ciò, ch’i’ vo’ dire,,
11e chi lo’ntende si sie benedetto:
ch’i’dico ell’i’arrabbio di morire
a veder ricco chi dé’ esser bretto,
14vedendo bretto chi dovrie gioire.
CXVII
Ma finalmente, a dispetto dei maldicenti, è ricco anche lui!
I’ non vi miro perzar, morditori,
ch’i’mi conduca ma’nel vostro stato;
ché ’l di vi fate di mille colori
4innanzi che ’l volaggio sia contato.
Ciò era vostra credenza, be’ segnori,
per ch’i’ m’avesse a sollazzo giocato,
ch’i’ divenisse de’ frati minori,
8di non toccar delia’ picciol né lato?
M’assa’ ve ne potrá scoppiar lo cuore,
ch’i’ ho saputo si diciar e fare,
11ch’i’ho del mi’assa’dentro e di fòre.
Ma ’l me’, ch’i’ ho, e che miglior mi pare,
si è’l veder di vo’, che ciascun muore:
14ché vi convien, per viver, procacciare.