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vii - cecco angiolieri | 131 |
CXXXVI
A Dante, rilevando la contraddizione, ch’è in un sonetto di lui
Dante Alighier, Cecco, ’l tu’ serv’e amico,
si raccontand’a te com’a segnore;
e si ti prego per lo dio d’Amore,
4il qual è stat’un tu’ signor antico,
che mi perdoni s’ispiacer ti dico,
che mi dá sicurtá’l tu’genti! cuore;
quel, ch’i’ti dico, è di questo tenore:
8ch’ai tu’sonetto in parte contraddico.
Ch’ai meo parer ne l’una muta dice
clic non intendi su’ sottil parlare,
11a que’, che vide la tua Beatrice;
e puoi hai detto a le tue donne care
che tu lo ’ntendi: adunque, contraddice
14a se medesmo questo tu’ trovare.
CXXXVII
Al medesimo, trovando in lui non minor materia di riprensione, che in sé.
Dante Alighier, s’i’ so’ bon begolardo.
tu mi ticn’bene la lancia a le reni;
s’eo desno con altrui, e tu vi ceni;
4s’eo mordo ’l grasso, tu ne sugi ’l lardo;
s’eo cimo ’l panno, tu vi freghi’1 cardo:
s’eo so’ discorso, tu poco raffreni;
s’eo gentileggio, e tu misser t’avvèni;
8s’eo so’ fatto romano, e tu lombardo.
Si che, laudato Deo, rimproverare
poco pò l’uno l’altro di noi due:
11sventura o poco senno cel fa fare.
E, se di questo vói dicere piúe,
Dante Alighier, i’t’averò a stancare,
14ch’eo so’ lo pungiglion, e tu se’ ’l bue.