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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/142

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136 vii - cecco angiolieri

CXLVI

Non c’è piú amor del prossimo.

Egli è si poco di fede e d’amore
oggi rimasa fra l’umana gente,
che si potrebbe dir come niente,
4per quello, che l’uom vede a tutte l’ore.
Chi peggio fa, tenuto ci è’l migliore;
e non si truova amico né parente,
che l’un per l’altro un danai’o’1 valsente
8mettesse per vederlo imperadore.
Chi non mi crede, si cerchi la prova:
vad’a qualunque gli è amico piú caro,
11e poi mi dica che novelle e’ trova.
Se fia cortese, diverralli avaro;
e ancor ci ha una foggia piú nuova:
14di se medesmo servir è l’uom caro.

CXLVII

Quello, che conta, non è il senno, ma la fortuna.

Senno non vai a cui fortuna è cónta,
né giova senno ad omo infortunato;
né gran saver ad omo non sormonta,
4s’a fortuna non piace e non è a grato.
Fortuna è quella, che scende e che monta,
ed a cui dona ed a cui tolle stato;
fortuna onora e fa vergogna ed onta,
8e parer saggio un folle avventurato.
E spesse volte ho veduto venire
che usare senno è tenuto en follia,
11ed aver pregio per non senno usare.
Ciò, ell’a fortuna è dato a provvedere,
non pò fallir, e mistier è che sia:
14saggio il tegno chi sa temporeggiare.