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18 i - rustico filippi

XXXIV

Perché il poeta si trattenga dal suicidio.

Madonna, quando eo voi non veggio in viso
tant’è forte e dogliosa la mia pena,
che’n su la morte mi conduce e mena:
4ma non m’aucide e tènemi conquiso.
E quando eo sto da voi, bella, diviso,
languisco, se l’Amor non mi rimena:
e ’l vostro bel riguardo mi dá lena,
8e mi ritien ch’io non mi sono auciso.
Volete audire, amor, gentil penzèro,
per ch’io donare a me morte non voglio?
11Ché dico: — Coni’ vedrei poi ’l viso clero?
E, sed io noi vedesse coni’io soglio,
come faria? — Però non mi dispero.
14Amor, merzé, ché tanto aggio cordoglio!

XXXV

Piangendo chiede pietá alla sua donna.

Dovunque eo vado o vegno o volgo o giro
a voi son, donna mia, tuttor davanti;
e, s’eo con gli occhi altrove guardo o miro,
4lo cor non v e*, poi ch’io faccio i sembianti.
E spesse volte si forte sospiro,
che par che ’l cor dal corpo mi si schianti;
allor piango e lamento, e non m’adiro,
8ma li ilici occhi bagno tutti quanti.
E dolzemente faccio mio cordoglio,
tuttor, mia donna, a voi merzé chiamando,
11umile-mente piú, quant’eo piú doglio.
Durar non posso piú disiderando;
non aggio ili voi quello, eh aver soglio;
14morrò per voi piangendo e sospirando.