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22 | i - rustico filippi |
XLII
Cerca invano di sottrarsi, fuggendo, ad Amore.
Tutto Io giorno intorno vo fuggendo,
credendomi campar davanti Amore;
e, s’io trovo nessun, forte piangendo
4lo prego che mi celi al mio segnore.
Oi lasso, com’gran pene solTerendo
condotto ho me medesmo in questo errore?
Ché, quando i’ sono assai gito languendo,
8io trovo Amor, che m’è dentro dal core.
Cosi la pena, c’ho, mi mena e caccia,
che mi fa sofferir l’Amore amaro,
11che spesso il giorno il cor m’arde ed agghiaccia.
E non mi manca pena, ched io saccia;
lo mal m’è vile e’l ben m’è troppo caro:
14Amor, merzé, ch’io non so ch’io mi faccia.
XLIII
Invoca la morte, che lo liberi dai suoi affanni.
Amor, poi che del mio mal non vi dòle,
piú siete inver’di me fèro, che fèra;
Amor, guardate inver’le mie parole:
4s’aggio fallato, piacciavi ch’io péra.
E, s’io non ho mancato, come sòie,
lo mio cor ritornate a quella spera,
ch’è tanto, quanto guarda o gira il sole;
8piú doglioso di me merzé non chera.
Oi Morte, chi t’appella «dura Morte»,
non sente ciò, ched io patisco e sento:
11ché, se mi vuoli aucider, mi conforte.
Ché la mia vita passa ogni tormento;
oi Morte, perché l’arma non ne porte,
14e falle far dal secol partimento?