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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/99

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vii - cecco angiolieri 93

LX

Se avesse denaro in abbondanza, la bella non sarebbe cosí aspra

Ogn’altra carne m’è’n odio venuta,
e solamente d’un becco m’è’n grado;
e d’essa m’è la voglia si cresciuta,
4che, s’i’ non n’ho, che Di’ ne campi! arrado.
Quella, cu’è, mi dice ch’è venduta,
e ch’i’ son folle, ch’i’averne bado;
ché, s’i’le dessi un marco d’òr trebuta,
8non ne potre’ avere quant’un dado.
Ed i’, com’uomo, cu’la fitta tocca,
ché so che voglion dir quelle parole,
11si do ad altre novelle di bocca.
E Die sa come ’l cor forte mi dòle,
per ch’i’ non ho de’ fiorin a ribocca,
14per poter far e dir ciò, ch’ella vuole.

LXI

Ma qualche volta egli se la cava lo stesso a buon mercato

L’altrier si mi ferio una tal ticca,
ch’andar mi fece a madonna di corsa:
andava e ritornava com’un’orsa,
4che va arrabbiando e ’n luogo non si ficca.

Quando mi vide, credet

esser ricca;


disse: — Non avrestú cavelle in borsa? —


Rispuosi: — No. — Quella mi disse:—Attorsa,
8e levala pur tosto, o tu t’impicca! —
Mostravas’aspra come cuoi’ di riccio;
e’ le feci una mostra di moneta:
11quella mi disse: —Avesti caporiccio? —
Quasi beffava e stava mansueta,
che l’averi’ tenuta un fil di liccio;
14ma pur ne venni con la borsa quota.