Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/179

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e a far camicciole; i bambini a cercare nidiate nelle selve, finchè fatti grandicelli poterono aiutare il babbo nel faticoso mestiere. E recavano sulle loro spalle sacca di carbone alla città di Savona; la quale come avete inteso a dire è in riva alla marina, lontana dalle montagne dov’è la caverna parecchie miglia. Partivano alla punta del giorno, tornavano la sera, e non si stancavano mai. Una fra le tante volte che v’andarono soli, dice, che vennero carichi di balocchi, e senza quattrini, e quei balocchi erano pugnali, spade, elmi rugginosi che valevano un fico.

«Il babbo, sì che gli avrà sgridati!» disse Margherita, cui pareva di veder i fanciulli, l’armi, la caverna, ogni cosa.

«Che! neanco per sogno! Anzi, fuori di sè dall’allegrezza, e stringendo la moglie al petto: «Adelasia, — sclamò — Adelasia! il sangue nostro, parla ai nostri figli dei loro avi e di noi....» Una vecchierella, la quale praticava in quella grotta, intese queste parole; le ridisse maravigliata ad un’amica, l’amica se ne confidò ad un’altra, e via... via, ne venne a sapere tutta la montagna, insino a Savona. In quel torno venne l’imperatore d’Alemagna con grande esercito, a guerreggiare contro i Saraceni in questi monti; ponete come fosse ora, che abbiamo gli Alemanni a scamparci dai Francesi, i quali sono peggiori di tutti i Saraceni del mondo. Ebbene, dice, che quelle parole, quel nome d’Adelasia, giunsero all’orecchio del potentissimo sovrano, che volle vedere la donna, il marito e i fanciulli, e..., indovinate un po’...? La donna era la figlia dell’imperatore; l’uomo era Aleramo, che se l’aveva portata via dalla corte molti anni prima! Povero cavaliero, amato da lei, non la potendo sposare, l’aveva rapita; e penando chi sa quanto, erano venuti dell’Alemagna sui nostri monti, a passarvi quella misera vita.

«Oh! E poi padre, e poi? chiese Margherita vedendo il frate far pausa; racconti racconti ancora....