Pagina:Abrabanel, Juda ben Isaac – Dialoghi d'amore, 1929 – BEIC 1855777.djvu/440

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434 nota

pertanto relegata in nota (v. a pag. 279) la frase sospetta. Ma per quanto si cerchi, non sembrano esservi nel libro altri casi consimili.

Nel 1541 l’opera, sottoposta (non sappiamo ad opera di chi) a una paziente e minuziosa, ma sovente arbitraria, revisione umanistica, era ristampata a Venezia per cura di Aldo Manuzio, col titolo di Dialoghi di amore composti per Leone Medico Hebreo, in nitido ottavo piccolo (pp. 261, doppie). Il titolo si trova poi modificato con la clausola di Natione Hebreo, e dipoi fatto cristiano nella seconda edizione aldina del 1545; si riduce alla prima ed esatta formula nelle edizioni dei figli di Aldo con le date 1549 e 1552 (di pp. 228). Attraverso le quattro edizioni aldine (ve ne sarebbe secondo il Graesse1 ancora una quinta, del 1558) il testo si presenta, nella sua nuova forma, sempre piú corretto e accurato: l’edizione del 1552 mostra in particolare di essere stata riveduta con nuova attenzione. Essa è il fondamento delle altre edizioni uscite a Venezia nella seconda metá del secolo, le quali per lo piú annunziano nel titolo i Dialoghi di amore di Leone Hebreo medico, di nuovo corretti e ristampati, o meglio guastati da piú libere mani: e cioè le edizioni del 1558 ap. Domenico Giglio, del 1562 ap. Nicola Bevilacqua, del 1565 presso Giorgio de’ Cavalli, del 1572 ancora del Bevilacqua, del 1573 del Bonfadino, del 1586 ap. Giovanni Alberti, del 1587 e del 1607 terza e quarta del Bevilacqua. Alle quali edizioni integre tutte e di palese origine, è da aggiungere una rara stampa dello stesso secolo XVI, con l’intestazione di Libro de l’amore divino et humano, che riproduce il solo dialogo II, e non porta indicazioni tipografiche, ma si suppone essere uscita dalle officine dei Giunta2. Sono dunque ben quattordici le edizioni italiane dell’opera, nel breve spazio di settantadue anni, e stanno a documentare materialmente la sua enorme diffusione.

I Dialoghi divennero immediatamente il trattato tipico della nuova erotologia, come appare dalle citazioni ammirative del Betussi3,



  1. Trèsor de livres rares et pricieux (Dresden, 1863), IV, 165-166.
  2. Cfr. G. Rossi, La collezione Giordani della Bibl. Comunale di Bologna, in «Giorn. stor. lett it.», XXVII (1896), p. 372 sgg.
  3. Il Raverta (1544): «se dall’opera di quell’ebreo che sí divinamente ha scritto dell’amore... voi non rimanete contenta, molto meno di me v’appagherete voi» (in Trattati d’amore del Cinquecento, a cura di G. Zonta; Bari, Laterza, 1912; p. 4).