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Ipazia morì come Eco; come Orfeo che fu dilaniato dalle Menadi, offerto in olocausto al dio delle orgie! Cantavano le ebbre baccanti, secondo il Poliziano:

Per tutto il bosco l’abbiamo stracciato,
Talchè ogni sterpo del suo sangue è sazio;
Abbiamlo a membro a membro lacerato
Per la foresta con crudele strazio,
Sicchè ’l terren del suo sangue è bagnato.1

E nessuno v’era a difenderla, non Oreste, nemmeno Sinesio, l’appassionato vescovo e poeta che le aveva scritto: «Se l’oblio avvolge i mortali di là dall’Erebo, là pure io mi ricorderò ancora d’Ipazia»!...

E se non fosse storia, confermataci da tante fonti, noi, assomigliando la morte d’Ipazia a quella d’Orfeo, a quella, anche, di Cristo, («et diviserunt vestimenta mea»), a quella della mitologica, soave vergine Eco, od, infine, di Osiride, Dio Redentore degli Egiziani, diremmo che la morte d’Ipazia è leggendaria, è simbolica; perchè, diremmo, piacque sempre così, figurar la fine della vita terrena degli Eletti che si sacrificarono per l’Umanità.

Longo Sofista2 scrive che le membra del bel corpo vibrante di canti della ninfa Eco, furono raccolte dalle compagne, pietosi spiriti delle

    contro pagani ed israeliti, ha forse una responsabilità solo indiretta. Così commenta il cristiano Socrate Scolastico; aggiungendo: Questo fatto trasse su Cirillo e sulla Chiesa alessandrina non lieve rimprovero. Poichè a coloro che seguono le vie di Cristo sono straniere e lotte e stragi e simili violenze.».

  1. Poliziano - «Orfeo», Atto V.
  2. v. Gli amori di Dafne e Cloe (Ultima versione italiana di P. Borrelli. Napoli, Soc. Editr. Partenopea, 1900). A pag. 97-98 sta scritto: «Vi sono, mia carissima, molte sorta di Ninfe, quelle dei boschi, le palustri e le cantatrici; tutte musiche; e ad una di esse fu figlia Eco, mortale, perchè suo padre fu un uomo, e bellissima perchè sua madre era bella. Fu allevata tra le Ninfe, le muse le insegnarono a suonar la fistola con tal perfezione che sembrava ora lira, ora cetra, or flauto, or qualsiasi altro strumento. Essa era in sul fiore della giovinezza, e danzava con le Ninfe e cantava con le Muse; ma amava tanto la sua verginità, che schivava tutti i maschi, uomini o dei: e Pane, geloso delle sue rare doti musicali e crucciato di non averne potuto ottenere i favori, mise tal furore ne petti dei villici e dei pastori che, come lupi e cani rabbiosi, si gettarono sull’infelice giovanetta e la tagliuzzarono e la sbranarono tutta, spargendo pei campi i brani del suo bel corpo ancora canoro. La terra, per favor delle Ninfe, raccolse tutti i canti di lei e ne conservò la musica; e per voler delle Muse, ripete le voci ed i suoni, come faceva giovanetta in vita, di dei, uomini, fiere, strumenti; e Pane stesso quando suona la zampogna, sentendo imitate le sue note musicali, balza e si precipita pei monti, non da altro spinto, che dalla gelosia di rintracciare l’alunna ascosa, che ripete la sua musica, e che egli non vede nè conosce.»